Salute

Intervista a due persone che si sono sottoposte a trapianto fecale

In Italia, la trasfusione di feci viene impiegata per curare l’infezione intestinale provocata dal batterio Clostridium difficile—ma potrebbero esserci altri sviluppi.
Alessandro Pilo
Budapest, HU
DIY-Transplants
Josiah nel trapianto fai da te. Tutte le foto per gentile concessione degli intervistati.

Gli scarti di una persona sono il tesoro di qualcun altro, si dice spesso. Ma se applicassimo questo principio allo scarto per eccellenza, la cacca? Al Policlinico Gemelli di Roma lo fanno già tra le 300 e le 400 volte all’anno per curare da un’infezione intestinale. Si chiama trapianto fecale ed è esattamente quello che sospettate: usare le feci di un donatore sano per curare un paziente malato.

Vari studi confermano che la nostra salute fisica e mentale dipende ampiamente dal microbiota, l’ecosistema batterico che vive nel nostro intestino. Ma lunghe terapie antibiotiche possono indebolirlo e favorire il proliferare di patogeni dannosi. Dato che le feci contengono circa un 30 percento di batteri, l’idea è di aiutare la flora batterica debilitata di un paziente attraverso un boost esterno da un donatore in salute.

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Giovanni Cammarota è uno dei gastroenterologi dell’ospedale romano dietro questa terapia, e mi spiega telefonicamente che il donatore solitamente viene dall’entourage familiare, “ma non è il migliore dei sistemi, lo screening per individuare quello idoneo può durare settimane. Ecco perché dentro il Gemelli stiamo provando a creare una banca donatori.” Prima dell’intervento le feci vengono filtrate, omogeneizzate e poi “trapiantate” attraverso colonscopia, capsule o clisteri. Attualmente in Italia la trasfusione di feci avviene solo per curare l’infezione intestinale provocata dal batterio Clostridium difficile—l’unica patologia per cui c’è un’evidenza clinica di provata efficacia, e di cui, come spiega Cammarota, “oltre a causare diarree fulminanti venti volte al giorno, si può anche morire”—ma secondo il gastroenterologo da qui a cinque anni potrebbe trovare numerosi altri impieghi.

Per capire il potenziale di un trapianto fecale abbiamo raccolto le testimonianze di due persone che grazie all’intervento hanno visto migliorare drasticamente la loro vita.

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Marisa.

Marisa Capezzuto, 38 anni, fotografa, vive in Minnesota

Soffro di una malattia intestinale chiamata morbo di Crohn, a causa dell’uso costante di antibiotici il mio microbiota era debilitato e soffrivo di infezioni costanti di Clostridium difficile. Oltre ad attacchi di diarrea più di dieci volte al giorno avvertivo un costante senso di nausea, febbre, disidratazione e mal di stomaco. Era un po’ come essere incatenati al bagno, e anche solo uscire a portare il cane era un’impresa. I medici non facevano altro che prescrivermi un antibiotico costosissimo, il Vancomycin, 10-20 dollari [8-10 euro] a pastiglia, da prendere quattro volte al giorno per tre settimane. Tra l’altro serviva solo a coprire temporaneamente i sintomi dell’infezione e un mese dopo ero punto e a capo. Il costo dovevo anticiparlo io, in più la mia assicurazione sanitaria ne rimborsava solo una parte.

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A un certo punto il gastroenterologo mi ha consigliato di ricorrere al trapianto fecale; il primo l’ho fatto nel 2018 nell’ospedale University of Minnesota e il secondo alla Mayo Clinic di Rochester. In entrambi casi i donatori erano anonimi, venivano da una specie di banca apposita. Il primo trapianto è servito a proteggermi dall’infezione per sei mesi, poi è ritornata. Dopo il secondo avevo paura che il sollievo sarebbe stato temporaneo come la volta precedente. Ma nel giro di due o tre settimane ho avuto una sensazione inedita, come se i sintomi dell’infezione fossero passati una volta per tutte. Da allora non ho ancora avuto una ricaduta e finalmente posso vivere una normale routine. Può sembrare sciocco, ma il trapianto fecale mi ha salvato la vita.

Josiah Pugh, 35 anni, fotografo militare di New Orleans

Nel 2013 ebbi un incidente in cui quasi morii: rimasi in coma per 13 giorni, poi venni trasferito per sei settimane in terapia intensiva, curato costantemente con antibiotici. Da quel momento iniziai a soffrire di gonfiore e gas, il mio stomaco faceva rumori che potevano sentirsi da un’altra stanza. In più avevo attacchi di diarrea quasi ogni ora, anche la notte. Spesso non ero in grado di lasciare il letto o andare al lavoro, e ovviamente convivere con questo problema era così imbarazzante che iniziai ad avere sempre meno interazioni sociali.

Una colonscopia non fece emergere nessun disturbo; provai a visitare altri dottori, cambiare la dieta, ma niente, non si capiva l’origine del problema. Dopo un anno mi imbattei in un articolo su internet sul trapianto fecale; si spiegava che in ospedale veniva praticato solo per curare un’infezione ben specifica e che varie persone con problemi intestinali, incapaci di trovare soluzioni efficaci con le cure tradizionali, lo praticavano a casa propria. Mia madre è una patologa ed era ovviamente contraria alla medicina fai da te. Decisi di tenerla come un’ultima opzione disperata. Nel frattempo passò un altro anno, diventai ancora più debilitato e iniziai a pensare seriamente di togliermi la vita. A quel punto pensai che non avevo più nulla da perdere.

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[L’anno scorso negli USA due pazienti hanno contratto infezioni resistenti agli antibiotici derivanti dal donatore di feci, uno di essi è morto. Il trend del trapianto fecale fai da te negli Stati Uniti è in crescita, ma il prof. Cammarota avverte che se le feci non sono analizzate propriamente e clinicamente, si può anche morire. Ovviamente, sconsiglia vivamente di seguire l’esempio di Josh.]

Mio fratello acconsentì a farmi da donatore, congelai i suoi campioni, e seguendo le istruzioni su un sito realizzai un clistere a casa con l’aiuto di mia madre. Fu come se il subbuglio nello stomaco si fosse interrotto di colpo. Il giorno dopo per la prima volta in due anni le mie feci erano solide. Ripetei l’operazione per i successivi quattro giorni e per circa due settimane stetti bene, dopodiché ci fu una regressione—pur passando dal soffrire di diarrea venti volte al giorno a massimo cinque. Dopo aver risparmiato a sufficienza, finalmente nel 2019 sono riuscito a permettermi un trattamento nel Regno Unito, presso la Taymount Clinic, dove ho avuto una serie di dieci trapianti fecali. Il costo è stato di quasi 4.000 sterline [circa 4.500 euro]. Prima però ho dovuto firmare un documento in cui mi assumevo tutta la responsabilità in caso di effetti collaterali.

Taymount Clinic

Josiah alla Taymount Clinic.

[Taymount Clinic è una controversa clinica privata nel Regno Unito specializzata in trapianti fecali per patologie in cui mancano ancora prove cliniche di assoluta certezza. Cammarota avverte che qualsiasi impiego sperimentale andrebbe assolutamente evitato. “Questa pratica va trattata in modo strettamente scientifico, sennò diventa stregoneria. Purtroppo in questo campo mancano regole chiare e univoche.”

Intanto alcuni esperti si chiedono se non sarebbe il caso di creare il prima possibile dei prodotti sicuri e standardizzati, da prescrivere a pazienti che altrimenti potrebbero entrare nella pericolosa zona grigia del fai da te. Ma secondo il gastroenterologo del Gemelli è impensabile equiparare le feci a un farmaco e creare un prodotto standardizzato. Anche per questo motivo, in Italia si è deciso di equiparare il trapianto di feci a un trapianto d’organo.]

Dopo gli ultimi trapianti fecali sono finalmente tornato ad avere una vita regolare e il futuro, che finora mi appariva abbastanza tetro, non mi fa più paura. Consiglierei ad altri di seguire il mio esempio? Non so, bisogna essere consapevoli che le cose potrebbero andare storte. Ma quando la mancanza di equilibrio nella flora intestinale ti rovina la vita al punto da farti venire pensieri suicidi, come nel mio caso, probabilmente non si ha più molto da perdere.

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