smog Skopje Macedonia del Nord
Un uomo legge il giornale a Skopje, Macedonia del Nord, una delle città più inquinate del mondo. Foto di Nake Batev/Anadolu Agency/Getty Images.
Salute

L'aria in Macedonia è tra le più irrespirabili del mondo, ma ridurre l'inquinamento 'costa troppo'

D'inverno, Skopje puzza di cenere e plastica bruciata. Secondo gli abitanti la colpa è di decenni di corruzione e inazione da parte del governo—e c'entra anche una misteriosa azienda italiana.
Giacomo Stefanini
traduzione di Giacomo Stefanini
Milan, IT

Toni Nikushevski fissa con aria severa i due vecchi camion della spazzatura che arrancano sulla stradina verso la discarica Drisla, una delle più grandi d’Europa, pronti a depositare il loro carico giornaliero. Uno strato di immondizia—da bottiglie e lattine a sacchetti di plastica e pannolini sporchi—ricopre la carreggiata.

È una mattina del febbraio 2019, e Nikushevski fa parte del centinaio di attivisti radunatisi per denunciare i pericolosi standard operativi della discarica, la mancanza di trasparenza della sua gestione e l’inquinamento che riversa su Skopje, la capitale della Macedonia del Nord.

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“Chiediamo un cambiamento immediato nel trattamento dei rifiuti da parte di questo impianto,” Nikushevski dice ai reporter. “Drisla è uno dei maggiori agenti inquinanti della città e del paese.”

Discarica Drisla, Skopje, Macedonia

Un camion dei rifiuti entra a Drisla, una delle più grandi discariche d'Europa. Foto per concessione di Jana Cholakovska

Due settimane prima, a Skopje si era registrato un indice di qualità dell’aria pessimo, con valori di 8,6 volte più alti della soglia considerata accettabile dagli standard internazionali. I valori superavano sia Nuova Delhi in India che Dacca in Bangladesh, regalando a Skopje il poco edificante titolo di “città più inquinata del mondo.”

Quest’anno, mentre i livelli di inquinamento calavano in tutta Europa grazie alle severe misure messe in atto per il contenimento della pandemia di COVID-19, la Macedonia del Nord ha superato i limiti diverse volte.

La crisi ambientale del paese—che ha ucciso 3580 macedoni nel 2019—rischia di rivelarsi ancora più letale, dato che i ricercatori della T.H. Chan School of Public Health di Harvard hanno stabilito un collegamento tra inquinamento, ricoveri e morti da coronavirus. Il tasso di mortalità per Covid-19 in Macedonia del Nord—4,4 percento—è uno dei più alti dell’area.

Nel corso degli ultimi trent’anni, la Macedonia del Nord ha dovuto affrontare non solo l’inquinamento, ma anche le sfide che derivano dal lento processo di democratizzazione. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, la Macedonia del Nord ha conquistato l’indipendenza dalla Jugoslavia. Nel tentativo di trovare il proprio posto del mondo, il governo della neonata repubblica non ha avuto la capacità o le risorse per promuovere politiche votate alla sostenibilità, abbandonando a se stesse molte istituzioni pubbliche come Drisla.

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Sasho Todorovski, direttore esecutivo e dipendente di Drisla dal 1994, è orgoglioso del suo lavoro. “Dovete tenere presente che siamo l’unica discarica in Macedonia del Nord che usa un qualche tipo di processo tecnologico,” ha detto.

Gli addetti accumulano rifiuti solidi, li compattano e li ricoprono di argilla, sia per isolare potenziali agenti inquinanti che per attenuare l’odore. Drisla raccoglie, identifica, pesa e processa gran parte dei materiali pericolosi prodotti nel paese, e brucia metà dei rifiuti sanitari.

Tuttavia, è stata la gestione dei rifiuti pericolosi a scatenare l’ira del pubblico verso Drisla. I lavoratori raccolgono siringhe, pillole scadute, guanti e altre cose di questo tipo e lì chiudono in grossi sacchi sigillati, che vengono poi ridotti in pezzi più piccoli possibili e gettati in inceneritori “di seconda mano” (ottenuti nel 2001 dal governo inglese).

Il problema è che questi macchinari, fatti passare come aiuti umanitari, sono altamente inquinanti e fuorilegge secondo i criteri dell’Unione Europea. Sarebbe stato possibile renderli più sostenibili con qualche modifica, ma la Macedonia del Nord non può permettersele.

Sebbene abbia non pochi problemi, l’inceneritore ha comunque rappresentato un miglioramento rispetto a quello che si faceva prima—ossia impilare rifiuti tossici in mezzo alla discarica e appiccare fuoco. Dijana Veljanoska, capo del personale di Drisla, ha riconosciuto queste mancanze. L’impianto “non rispondeva agli standard ambientali,” ha ammesso. “Ma era il massimo che potevamo fare.”

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Negli ultimi 30 anni i risicati finanziamenti pubblici hanno mantenuto a galla la discarica, ma non le hanno permesso di funzionare a pieno regime. Quando l’inceneritore è arrivato, Drisla era sotto controllo municipale. La gestione però non era nemmeno in grado di garantire la separazione tra secco, umido e materiali riciclabili. “Non c’era alcuna regola,” ricorda Veljanovska.

Negli anni successivi, Drisla è stata ristrutturata diverse volte. Tra il 2009 e il 2010 è stata un’entità privata autofinanziata, finché un progetto sponsorizzato dalla Banca Mondiale non ha suggerito di adottare un sistema ibrido pubblico-privato: una compagnia internazionale di gestione dei rifiuti avrebbe acquisito l’80 percento delle azioni, assicurando investimenti costanti, mentre il comune avrebbe conservato la supervisione istituzionale.

Quello che doveva essere l’inizio di una nuova Drisla, più efficiente ed eco-friendly, si è rivelato l’esatto opposto. La compagnia scelta per gestire Drisla è stata FCL Ambiente, un’azienda italiana che nessuno aveva mai sentito nominare, aggiudicatasi d’appalto contro due delle più grandi ditte di gestione dei rifiuti d’Europa - la tedesca Scholz AG e l’austriaca Asa International Environmental Services.

Un’inchiesta di Balkan Insight ha rivelato che FCL Ambiente era stata fondata soltanto tre giorni prima della scadenza della gara. Sono così sorti sospetti di irregolarità o scorrettezze che hanno portato a una lunga battaglia legale. Nel decennio seguente, FCL Ambiente ha usato le controversie giudiziarie come scusa per giustificare il mancato investimento dei 73 milioni di euro promessi nel contratto.

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I mesi successivi sono stati un punto di svolta per la Macedonia del Nord. Nell’inverno del 2014 c’è stata un’ondata di proteste ambientaliste che ha portato l’inquinamento al centro del dibattito nazionale. Gorjan Jovanovski, ingegnere informatico e creatore di una app per il monitoraggio della qualità dell’aria (AirCare), ha detto che nessuno si rendeva conto della reale situazione. “Lo chiamavamo odore d’inverno,” ha raccontato. “Non sapevamo che quella puzza di smog era causata da un inquinamento fuori scala.”

Il caratteristico odore di cenere e plastica bruciata di Skopje è dovuto alla presenza di particolato, cioè alle microscopiche particelle allo stato solido o liquido sospese nell’aria. Per quanto possa essere minuscolo, il particolato è pesante. Nei mesi invernali l’aria più calda comprime quella più fredda e pesante spingendola verso la valle, intrappolando il particolato e creando una fitta coperta di nebbia e inquinamento.

Le montagne che circondano gran parte delle città macedoni, inoltre, rendono le valli praticamente impenetrabili; questo vuol dire che non arrivano i venti che potrebbero spazzare via queste particelle. L’unico sollievo arriva nella giornate primaverili, più calde e piovose.

Secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente, l’inquinamento atmosferico è il più grande rischio per la salute, dato che il particolato intacca il funzionamento del sistema immunitario e peggiora patologie come l’asma e l’ipertensione arteriosa.

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Petre Nikolovski è uno dei tanti residenti la cui salute è stata compromessa dell’aria macedone. L’ex ingegnere elettrico, oggi in pensione, ha passato gran parte della sua vita a lavorare dentro o vicino a complessi industriali molto inquinanti. Verso la fine degli anni Novanta, Nikolovski e la sua famiglia erano in auto quando sono passati in mezzo a una nuvola di cloro, formatasi dopo l’esplosione di un complesso idraulico non lontano da casa sua. I suoi polmoni, già compromessi, ne hanno risentito significativamente.

“Ora respiro con difficoltà,” ha detto. “A volte mi sembra di stare per esplodere. È come se avessi una persona seduta sul petto. Oltre al dolore, provi anche panico.”

Oggi Nikolovski vive nella periferia di Skopje. Sperava che la concentrazione di particolato fosse inferiore, fuori dai confini della città. Negli ultimi due anni, tuttavia, ha notato che la familiare nebbia grigia sta arrivando anche fuori città.

Sia l’UE che l’OMS hanno stabilito un limite legale per la concentrazione di particolato nell’aria; limiti che sono stati ripetutamente sfondati negli ultimi anni, anche secondo le stazioni di monitoraggio in Macedonia del Nord.

Il viceministro dell’Ambiente Jani Makraduli è convinto che il paese abbia bisogno di investire sull’identificazione e sull’eliminazione di possibili agenti inquinanti. “Siamo concentrati sulle fonti di inquinamento,” ha spiegato. “E stando alle informazioni che abbiamo, la principale è il riscaldamento domestico. È lì che dobbiamo guardare per trovare una soluzione.” E in un paese in cui lo stipendio medio si aggira intorno ai 400 euro, è difficile avere un impianto di riscaldamento all’avanguardia.

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Un altro grosso problema sta nella poca affidabilità dei dati sull’inquinamento atmosferico. Alcuni sistemi di rilevazione risalgono al 1988, e pur essendo fatiscenti non sono mai stati cambiati. Queste vecchie tecnologie sono difficili da mantenere e da riparare, e spesso vengono usate solo per pochi mesi alla volta. In questo modo, la Macedonia del Nord non può conoscere con certezza il livello del suo inquinamento. Tuttavia, il ministero è inoltre l’unico ente accreditato a raccogliere i dati; quindi la Aea e l’Oms usano quei dati per i loro rapporti.

Anche Jovanovski usa i dati governativi per la sua app. “I riscaldamenti e le auto hanno sicuramente un impatto, ma non sono le uniche cause dell’inquinamento,” dice. “Il punto è che qui non si conoscono le vere cause perché i dati sono inaffidabili.”

Makraduli ha detto che le stazioni di monitoraggio vengono riparate sempre il più velocemente possibile, ma che sostituirle del tutto costa semplicemente troppo. “Le richieste degli attivisti sono già state accolte nei documenti del ministero,” ha detto. “Nessuno dice che questo tipo di progetto non dovrebbe esistere. Solo che è troppo costoso.”

Proprio come quello nazionale, anche il sistema di monitoraggio di Drisla lavora a intermittenza. Veljanoska, il capo del personale, ha dichiarato che sarebbe impossibile far funzionare lo strumento in modo costante. “Non prendiamoci in giro,” ha concluso, “costerebbe troppo.”

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I costi, almeno a detta del governo, continuavano ad essere l’ostacolo principale. “In paesi poveri come la Macedonia del Nord è molto difficile fare una politica ambientale,” ha detto Makraduli. “Quello che dobbiamo fare è metterci insieme e chiedere: come farà questo paese ad approvvigionarsi dal punto di vista energetico in futuro? Come facciamo a trovare l’equilibrio tra sviluppo economico e protezione dell’ambiente?”

Si tratta indubbiamente di un equilibrio molto difficile da mantenere. L’accordo di Parigi stabilisce però che anche i governi dei paesi in via di sviluppo debbano impegnarsi per una “Giusta Transizione.” Per Makraduli questo è uno degli aspetti cruciali del suo lavoro. Dato che una transizione verso stili di vita più sostenibili comporta un calo di posti di lavoro, la sua idea è che questo cambiamento debba essere strategico.

Al momento, Drisla non ha la capacità di trasformare i rifiuti in energia. Ma Makraduli e Nikushevski sono convinti che questa sia la strada da prendere. Una totale inversione di rotta richiederebbe molta più trasparenza, investimenti e impegno da parte delle istituzioni statali, degli attivisti e dei cittadini.

Sia Drisla che l’intera Macedonia del Nord hanno fatto progressi negli ultimi mesi. A gennaio Drisla ha finalmente rescisso il contratto con l’azienda italiana; mentre a giugno si è sbarazzata dell’inceneritore. Al suo posto, ha acquisito un nuovo sterilizzatore che rende più efficiente il trattamento dei rifiuti sanitari. E a marzo—dopo trent’anni di tira e molla—la nazione è diventata ufficialmente il trentesimo membro della NATO, ricevendo anche un invito per iniziare un dialogo sul possibile ingresso nell’Unione Europea.

“Ottimisticamente, credo che entrare nell’Ue porterà ad un cambiamento completo della nostra società,” ha chiosato Makraduli. “Non ci saranno più scuse. Niente più alibi. Solo lavoro.”

Tutte le interviste sono state realizzate in macedone, tradotte in inglese e poi tradotte in italiano.

Jana Cholakovska è una reporter freelance che vive a New York City. Si occupa di ambiente, politica ed Europa Orientale. Seguila su Twitter.