Salute

L’ansia è un’emozione utile, il problema è che nessuno ci insegna a riconoscerla e gestirla

L'ansia funzionale è qualcosa che possiamo sfruttare a nostro favore—o, quantomeno, possiamo imparare a non andarle contro.
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Illustrazione via AdobeStock.

Isabel è autrice di Lebasi, un podcast dedicato alla salute mentale realizzato in collaborazione con il Centro Clinico Spazio FormaMentis di Milano.

“Madonna che ansia,” “mollami che mi metti l’ansia,” “non ci voglio nemmeno pensare che mi sale l’ansia.” Quante volte capita di dire frasi di questo tipo? La riconoscete l’ostilità nel tono? Se ci pensiamo, è vero: l’ansia non piace a nessuno. Ci infastidisce proprio, e da come ne parliamo si capisce benissimo. Eppure è un’emozione, e come tutte le emozioni ha una funzione ben precisa—che sicuramente non è quella di farci star male.

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Ho fatto un po’ di domande alla psicoterapeuta Maguy Viscardi e alla psicologa Giulia Caretto, entrambe socie del Centro Clinico Spazio FormaMentis, per conoscere meglio l’ansia. Qui non parleremo però di quella patologica, identificata come disturbo vero e proprio che limita l'individuo nella maggior parte delle sue attività quotidiane (come il disturbo d'ansia generalizzato, il disturbo di panico ecc). 

Spoiler: con una scala da 0 a 100 possiamo misurare il livello di “bontà” dell’ansia e imparare a riconoscerla. 

Cosa è l’ansia funzionale

Iniziamo dalle basi, con le parole della dottoressa Viscardi: “L’ansia si manifesta spesso nella nostra vita ed è un aspetto inscindibile dalla natura umana. Ognuno di noi prova ansia in condizioni e situazioni diverse, sia spiacevoli che piacevoli.” Entro certi limiti, continua, è qualcosa che “permette di migliorare le proprie prestazioni (livello 0 ansia), consentendo di utilizzare al meglio le risorse disponibili. Infatti l'ansia costituisce una reazione di difesa dell'organismo, che anticipa la percezione del pericolo prima che questo sia identificato.”

Presente quella sensazione prima di un esame a scuola o una presentazione a lavoro? Ecco, è lei: “All’inizio avremo un livello generale di attivazione basso (livello di ansia 0): poca concentrazione, poche energie dedicate, poca preoccupazione o paura per l’evento. Con l’avvicinarsi di quest’ultimo la nostra attivazione generale crescerà (livello di ansia 50), portando sempre di più ad attivarci anche in senso pratico: siamo più attenti, più concentrati e riusciamo a mantenere la concentrazione per più tempo (per esempio, possiamo stare tutta la notte prima dell’esame a studiare).”

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Ansia e malessere fisico

Arriva un momento, però, in cui l’ansia inizia a darci noia e fisicamente non ci sentiamo proprio benissimo. “Quando il livello di ansia supera una certa soglia (oltre il livello 60),” spiega la dottoressa Caretto, “questa maggiore attivazione diventa controproducente: passiamo il tempo a preoccuparci di cosa potrebbe succedere, immaginando gli scenari peggiori.”

Il tranello sta proprio qui. Come tante altre emozioni—la rabbia e la tristezza in primis—l’ansia di questo tipo non sempre è piacevole. Per questo tendiamo a non tollerarla, a sentirci infastiditi. Perché il suo compito alla fine è quello: darci fastidio per farci accorgere di qualcosa.

Come chiarisce Caretto, ci sono accorgimenti “per gestire questa escalation e prevenire l’eventuale aumento dell’intensità,” evitando che “la sovrastima del pericolo o la sottostima delle nostre capacità di fronteggiarlo” si trasformino in qualcosa di problematico. È questo il momento “in cui, anziché andarle contro, la si può ‘abbracciare’ e sfruttare a proprio favore.”

Come riconoscere l’ansia e come gestirla

Come individuare questo momento? “Tra i campanelli d’allarme più comuni ci sono sicuramente degli indicatori fisiologici che tutti abbiamo sperimentato prima o poi nella vita […], come l’aumento della frequenza cardiaca, l’iperventilazione, l’aumento della tensione muscolare, sensazioni di caldo/freddo,” spiega Viscardi.

A questi si aggiungono poi piccoli comportamenti che possono iniziare a metterci sul chi va là: grandi sospiri, necessità di stiracchiarsi, necessità di sedersi, continuare a coprirsi e scoprirsi—anche uno sbadiglio, “che sicuramente può indicare la necessità di ore di sonno o riposo, ma anche una compensazione naturale tra ossigeno e anidride carbonica che il nostro corpo mette in atto.”

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Cosa possiamo fare allora per evitare di andare in sbatti? Subito la dottoressa sfata il mito della respirazione. “Spesso si pensa che fare dei bei respiri profondi possa aiutare a calmarci, ma questo è vero solo se per respiro profondo intendiamo un respiro diaframmatico, che coinvolge quindi anche la parte bassa del torace, ovvero il diaframma. Se aumentiamo l’intensità del respiro riempiendo la parte alta dei polmoni, aumentando la quantità di ossigeno incamerato, rischiamo di favorire l’innesco dell’iperventilazione!”

Oltre allo strumento della respirazione lenta e diaframmatica, “c’è il rilassamento muscolare, che lavora proprio sulla tensione muscolare alla base del meccanismo ansioso. Ci sono diverse tecniche di rilassamento muscolare (progressivo, isometrico...) che servono ad aumentare la consapevolezza della nostra tensione e a ridurla. Per chi si approccia a queste tecniche per la prima volta—con l’intento di lavorare sull’ansia—consigliamo sempre, se possibile, di impararle con uno psicoterapeuta.” Dopo sarà possibile utilizzarle in autonomia, “praticando magari discipline che hanno alla base proprio questi esercizi, come lo yoga.”

Come spiega Caretto in conclusione, “Avere una maggiore consapevolezza di questi segnali può aiutarci a mettere in campo le strategie preventive e sfruttare l’ansia a nostro favore o, quantomeno, a non andarle contro.”

Le interviste sono state accorciate e condensate per ragioni di spazio.

Il podcast Lebasi, in 10-15 minuti, propone un tema e una mappa per (provare a) vedere le cose da un altro punto di vista, e il primo episodio è proprio sull’ansia. La prima stagione è disponibile su tutte le principali piattaforme.