Salute

Come comportarsi con una persona cara che torna ad abusare di sostanze

Persone esperte nel tema della dipendenza e della salute mentale spiegano come aiutare una persona amata che ha una dipendenza da sostanze.
Daniele Ferriero
traduzione di Daniele Ferriero
Milan, IT
montaggio

Anche a distanza di decenni, il ricordo della mia prima ricaduta nell’uso delle sostanze rimane chiaro e cristallino come un pizzico di ottima ketamina. Ero al primo anno di università e frequentavo un centro di recupero su ordine del tribunale. Mio padre ed io ci trovavamo in una caffetteria dopo una sessione di terapia famigliare di gruppo.

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Con il suo solito fiuto da segugio, ha preso il mio cappello alla pescatora e ne ha tirato fuori una bustina di efedrina—detta lo speed dei camionisti. “È legale,” ho subito risposto. “La puoi persino comprare alle stazioni di servizio.”

Non la consideravo una ricaduta, ma non ritenevo nemmeno di avere una dipendenza. Tuttavia, la mia consulente durante la riabilitazione la vedeva in maniera decisamente diversa: avrei avuto 30 giorni per partecipare a 30 incontri degli Alcolisti Anonimi.

Vorrei poter dire che fu l’ultima ricaduta durante il mio periodo in libertà vigilata. La volta successiva scelsi una droga ‘migliore’, ma ormai la mia famiglia ne aveva avuto abbastanza. “Siamo stanchi delle bugie e delle droghe. Vattene da questa casa” fu il succo del discorso… e così feci.

Da allora, ho avuto modo di sperimentare entrambi gli schieramenti—sono stata sia la persona che consuma le sostanze che la persona cara che cerca di intervenire per fermare il consumo. Di recente, un membro della mia famiglia ha avuto una ricaduta dopo dieci anni di sobrietà. Ho trascorso molto tempo a pensare a queste ricadute e ai modi migliori per stare vicino e supportare una persona che abusa di sostanze.

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Ho quindi chiesto a delle persone esperte nel tema della dipendenza e della salute mentale come essere presenti e d’aiuto a una persona amata, in caso di necessità.

Cerca di capire la natura della dipendenza

Per avere il giusto quadro, prima di tutto è importate capire che la dipendenza non è un fallimento o una carenza morale. Non è un peccato e non implica che la persona sia debole. È una “malattia molto complessa che ha manifestazioni comportamentali. Una combinazione di genetica e fattori esterni,” afferma Lauren Grawert, specialista di medicina nell’ambito delle dipendenze e psichiatra presso Kaiser Permanente.

La American Society of Addiction Medicine definisce la dipendenza come una malattia cronica, proprio come il diabete o l’asma, basandosi sugli studi neurologici e psichiatrici. Per diverse ragioni, che includono la genetica, le esperienze di vita e l’ambiente, il cervello di una persona con una dipendenza ha una densità dei recettori di dopamina più bassa rispetto alla norma (la dopamina è un neurotrasmettitore coinvolto nelle emozioni, nella motivazione, nell’apprendimento e nel rinforzo; altresì detto, salienza motivazionale). Questo, come spiega Howard Wetsman, psichiatra specializzato nelle dipendenze, significa dunque un minor “tono di dopamina”, per cui le attività gratificanti per la persona “comune”—si tratti di videogiochi, volontariato o altro—non risultano poi così appaganti per le persone che hanno una dipendenza.

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“La dipendenza è un cervello ammalato che cerca di sentirsi di nuovo normale,” spiega Wetsman. “La cosa più importante da capire quando si parla di persone con una dipendenza è che non si comportano in quel modo perché si sentono come te, ma scelgono una strada diversa. La scelgono proprio perché non sentono quello che senti tu. Se tu ti sentissi allo stesso modo, probabilmente ti comporteresti proprio come loro.”

Il concetto stesso di “ricaduta” è da rimettere in discussione

John Mendelson, un direttore sanitario impiegato presso Ria Health e specializzato in dipendenze e medicina interna, ritiene sia il caso di modificare il linguaggio inerente alle dipendenze. Al posto di “ricaduta”, Mendelson preferisce utilizzare la parafrasi “ritorno all’uso dannoso delle sostanze”—che quantomeno evita le connotazioni giudicanti o moralistiche.

“Chi ha una dipendenza passa attraverso cicli in cui le cose vanno peggio, oppure ha dei periodi di miglioramento,” ribadisce Mendelson. “In medicina consideriamo una terapia efficace o ben riuscita quando trascorre un intervallo di tempo più lungo tra i periodi in cui le cose vanno male e quando i momenti peggiori si concretizzano in episodi più brevi.”

Stigmatizzare una persona in ricaduta può persino spingerla a fare maggiormente uso di droghe. Mentre i cervelli privati dalla dopamina si agitano alla ricerca di un salvagente, le persone care possono persino reinquadrare la ricaduta come un’esperienza in grado di portare nuovi e utili insegnamenti riguardanti la dipendenza.

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“Le persone con una dipendenza possono imparare: Cosa posso fare in maniera diversa per migliorare, quali sono i punti deboli e quali le cose che devo cambiare nella mia vita in maniera che non accada più?” riporta Grawert. In altre parole—per citare una massima che ho sentito spesso agli incontri degli AA—la ricaduta fa parte del processo di recupero.

Corri prontamente in aiuto se è in corso un’emergenza

Se la persona amata ha consumato grandi quantità di benzodianzepine o alcol potrebbe aver bisogno di un intervento supervisionato da personale sanitario, visto che l’astinenza improvvisa può causare convulsioni o morte. Se la state quindi aiutando a rimanere sobria nell’immediato, bisogna mettere in conto un viaggio d’emergenza all’ospedale.

È importante tenere sotto mano del naloxone e dei test a striscia per il fentanyl, se la persona in questione fa uso di oppiacei. “Le considerazioni in materia di sicurezza sono davvero importanti,” sottolinea Pat Aussem, professionista nella consulenza nonché vice presidente di Partnership to End Addiction. “Se una persona ha avuto una ricaduta con gli oppiacei, è essenziale avere a portata di mano del naloxone. Può ‘annullare’ un’overdose.”

Discuti delle terapie

Che la dipendenza sia una malattia e la ricaduta parte del corso naturale delle cose può anche essere facile da capire, ma sicuramente è difficile da accettare se si parla di una persona amata. Qual è dunque l’equilibrio a cui aspirare, e come si mantengono dei sani rapporti personali—che magari implicano la necessità di un po’ di distanza—senza far sentire abbandonata la persona con una dipendenza?

Il primo passo, sostiene Grawert, è quello di avere una “conversazione coraggiosa”—un dialogo onesto ed empatico con la persona amata sulla necessità della terapia.

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Non si tratta di una conversazione semplice, in special modo se la persona in questione sta tentando di nascondere o negare la ricaduta. Tuttavia, aiutarla a capire l’importanza della terapia è essenziale non solo per la sua salute, ma anche per la tua. Altrimenti, potresti trovarti nel ruolo di terapeuta surrogato. “Non puoi ricoprire il duplice ruolo di membro della famiglia/affetto e pseudo-dottore. Porterebbe a scontri, burnout e stress su entrambi i fronti,” rimarca Grawert.

Una volta entrata in terapia, la persona amata avrà uno sponsor, una persona alla pari che la sostiene oppure un terapeuta che la chiami a rispondere e metta in chiaro le responsabilità, in maniera tale che questi compiti non ricadano sui membri della famiglia. Tanto più che i professionisti sono tali per una ragione ben precisa e la maggior parte delle persone “normali” non è qualificata per questo tipo di lavoro. E, qualora lo fosse, comportarsi con i propri cari come un consulente o un dottore porta delle problematiche etiche e dei seri conflitti d’interesse.

Quando decidi di avere questa conversazione, è meglio impostarla a partire da uno stato mentale di sentito interessamento, secondo Diana Anzaldua, fondatrice di Austin Trauma Therapy Center e psicoterapeuta accreditata e specializzata nei traumi. “Ad esempio, una conversazione potrebbe cominciare con: ‘Ci tengo a te, va bene se ti faccio qualche domanda sul tuo uso di droghe e/o alcol?’” spiega Anzaldua. “Se la persona è d’accordo, puoi continuare con, ‘È tutto ok? Ho notato che hai ricominciato a fare uso, ma pensavo fossi in recupero.’”

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Se la persona amata non vuole parlarne, devi rispettare il fatto che possa non essere pronta a discutere i suoi comportamenti o cambiarli, sostiene Anzaldua. Anche le persone con una dipendenza hanno tutto il diritto di stabilire dei confini, incluso il parlare del loro stesso uso delle sostanze.

Stabilisci delle regole e dei limiti

Se ignori consapevolmente una ricaduta—magari fingendo di non aver trovato una scorta di droghe, o di non aver sentito l’odore di fumo—rischi di supportare o rinforzare un comportamento poco salutare—un atteggiamento definito da “facilitatore.” Cerca quindi di instaurare quel dialogo relativo alle terapie, a prescindere da quanto sia difficile, e stabilisci dei paletti. Questi confini ti aiuteranno a mantenere la tua salute mentale, gli sforzi della persona amata per rimanere sobria e forse salvaguarderanno persino il tuo conto in banca. È del tutto possibile impostare dei limiti che incoraggino comportamenti più salutari.

In fondo, molte persone si pongono questo tipo di limiti quando si tratta di soldi e del modo in cui vengono utilizzati. “Magari una persona ti chiede dei soldi per andare in un centro di recupero,” spiega Aussem. “Un membro della famiglia potrebbe dare quegli stessi soldi direttamente al proprietario dello spazio invece di consegnarli alla persona con la dipendenza, perché potrebbero scatenare la sua dipendenza.”

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La mia famiglia riteneva di aver “facilitato” il mio uso delle droghe permettendomi di vivere in casa con loro… tuttavia non c’è bisogno di sbattere fuori di casa la persona amata. Alcune persone stabiliscono un tipo di regole dove magari viene richiesto a chi fa uso di droga di andarsene solo per una notte, se utilizza effettivamente le sostanze, o magari di dormire in garage.

Altre persone invece scelgono di “non proteggere” la persona con la dipendenza dalle conseguenze delle proprie azioni. Ad esempio, i miei genitori hanno scelto di non pagarmi la cauzione e quindi di non farmi uscire di galera. “Ogni tanto la vita impartisce delle ottime lezioni,” sottolinea Aussem. “Ha un modo tutto suo di mostrare alle persone che esistono delle conseguenze per le proprie azioni, senza che tu debba metterti in mezzo.”

Evita scenari che scatenino l’utilizzo delle sostanza

Se la persona in questione sta di nuovo facendo uso di sostanze quando è fuori con gli amici, in circostanze di socialità o simili, può essere difficile stabilire se intervenire e se dire o meno qualcosa. Il modo migliore per supportare una persona che ha un disturbo da abuso di sostanze è evitare l’esposizione a situazioni che possono potenzialmente implicare l’uso, afferma Grawert.

“Se viene comunque a crearsi involontariamente questo tipo di situazione, è meglio cercare il prima possibile un modo per smarcarsi da questo momento di vulnerabilità,” spiega Grawert. Se tuttavia non è possibile, puoi chiedere direttamente se è di conforto e supporto al recupero se tu eviti di usare le sostanze con loro. Invece, se la persona ha ormai già fatto uso delle sostanze, puoi rimandare la conversazione al momento in cui sarete fuori da questa situazione o momento.

Prenditi cura di te

La dipendenza è una “malattia di famiglia”, e ciò non significa solo che ha una componente genetica—significa anche che la persona con la dipendenza impatta su chiunque le stia vicino. È importante cercare aiuto, perché altrimenti l’amore per la persona con la dipendenza diventa di per sé una dipendenza.

“Non fare i salti mortali per cercare di ‘aggiustare’ la persona amata,” rimarca Erica Caparelli, un’assistente sociale e psicoterapeuta. “La speranza è che quando verrà il momento trovi la sua strada. Tutto quello che puoi fare è sostenerla in questo viaggio.”

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