Attualità

La casa galleggiante dove i soldati affrontano i propri traumi con l'MDMA

A metà anni Duemila, Ben Timberlake ha creato un centro terapeutico ufficioso per curare il disturbo post traumatico da stress con l'MDMA.
Daniele Ferriero
traduzione di Daniele Ferriero
Milan, IT
Soldati

Dal 2003 al 2008, quando non lavorava o combatteva nelle zone di guerra, Ben Timberlake tornava nella sua casa galleggiante sul Tamigi. Non lontana dall’iconico ristorante londinese River Cafe, la sua barca si era trasformata nel ritrovo di un gruppo di terapia ufficioso, incentrato sull’uso dell’MDMA.

Dozzine di soldati di ritorno dall’Iraq o dall’Afghanistan visitavano la casa e passavano la giornata a stonarsi insieme a chef, personale del ristorante, documentaristi e chiunque altro passasse di lì con qualche questione irrisolta da affrontare.

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“Avevamo questa regola, di cercare di procedere con le droghe alle 9 di mattina, e in ogni caso assolutamente prima di mezzogiorno,” specifica Timberlake, dal suo ufficio vicino Portobello Road, a Notting Hill. Questi orari erano in parte dovuti alla possibilità di godersi il sole, ma soprattutto al fatto che, una volta entrate in circolo le droghe, i militari cominciavano a raccontare storie così forti, o persino raccapriccianti, da traumatizzare gli altri ospiti della casa galleggiante.

“Un amico una volta ha raccontato la storia orripilante di quando è dovuto intervenire su un veicolo colpito da un EFP, un esplosivo,” racconta Timberlake, riferendosi a un ordigno utilizzato in Iraq e altrove, conosciuto anche come “superbomba.” “Le esplosioni da EFP sono allucinanti: provocano una palla di plasma che taglia, penetra e brucia ogni cosa.”

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Una foto scattata a Ramadi, Iraq, da Ben Timberlake.

Timberlake non voleva che questo tipo di storie venisse raccontata di notte. “Abbiamo capito che se prendevamo l’MDMA alla mattina, la situazione migliorava,” dice. Chiunque fosse coinvolto metteva il proprio denaro nella cassa comune, in maniera da avere “un’ampia riserva di droghe, che poi venivano lasciate in alcune ciotole e assunte dai presenti. Eravamo strafatti.”

Un veterano inglese delle forze speciali—incorporato poi nelle schiere dei soldati statunitensi durante i combattimenti contro al-Qaeda a Ramadi, in Iraq—sosteneva che queste tetre storie di guerra gli “rovinavano la fattanza”. Dopotutto, non era lì per ripercorrere quello che lui e i suoi commilitoni avevano passato. Eppure, con il tempo, anche lui si è reso conto conto del potenziale catartico di quelle sedute.

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“Uno dei problemi principali del PTSD è che si tratta di un agglomerato di sintomi orribili che gravitano intorno a un episodio traumatico, o a diversi eventi traumatici. Qualsiasi piccolo sollecito o richiamo mnemonico può scatenare una grave reazione e risposta di ‘attacco-fuga’,” spiega. “L’MDMA riesce a incunearsi meravigliosamente in questo meccanismo. Quando hai assunto questa droga non esiste alcuna minaccia al mondo, e puoi quindi rivisitare gli eventi traumatici e parlarne a dovere.”

I soldati traumatizzati da quanto visto durante la guerra—nonché spesso delusi e abbandonati dal governo che li aveva inviati lì—trovavano conforto nella casa galleggiante. Inoltre, un simile approccio ai traumi trova riscontro nelle più recenti ricerche scientifiche: le terapie per il PTSD che prevedono l’assunzione assistita di MDMA stanno ora diventando di dominio pubblico e potrebbero essere approvate dalla FDA, la Food and Drug Administration statunitense, entro la fine del 2023.

Le droghe—utilizzate sia in combattimento che al di fuori degli scontri armati—sono una parte centrale del memoir di Timberlake, intitolato High Risk: A True Story of the SAS, Drugs and Other Bad Behaviour. Ad esempio, durante la notte di Natale del 2006, a Ramadi, Timberlake ha elargito ecstasy a diversi soldati americani, in gran parte depressi o direttamente in lacrime a causa della situazione infernale in cui si trovavano a vivere e operare. L’ecstasy ha fatto il proprio dovere e presto chiunque ha cominciato a fare casino e a smascellare, finendo però per aprire il fuoco contro gli edifici abbandonati tutto intorno. La nottata si è poi conclusa con una serie di abbracci collettivi, auguri di un felice Natale e “Silent Night” intonata da un soldato chiamato ‘Orso’.

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Timberlake lavora ancora oggi nelle zone di guerra come consulente per la sicurezza e medico. Conosce in tutta la sua complessità la realtà degli interventi armati in Medio Oriente—definiti “un fottuto disastro dall’inizio alla fine”—e il ruolo sempre più ampio che le droghe giocano nei conflitti moderni. Benché i diversi editori che l’hanno contattato volessero da lui una storia di guerra e di uomini in battaglia, Timberlake ha scelto invece una strada più personale, profonda e sorprendente.

Cresciuto a Londra, figlio di un giornalista americano, Timberlake ha partecipato alla guerra nell’ex Jugoslavia quando aveva soltanto 18 anni. Durante quei giorni, ha rischiato di essere ucciso in un bar da uno dei leader dell’HVO, un’unità paramilitare croata piena di fascisti. Dopo aver sparato all’uomo al suo fianco, il croato però cambiò idea, decise di far ubriacare Timberlake e di mettersi a cantare “Don’t worry, be happy” con lui.

L’eccezionale scarica di adrenalina causata da quest’esperienza ha lasciato un segno su Timberlake. Dopo aver finito l’università e aver svolto diversi lavori, si è recato in Iraq all’inizio della guerra, seguendo la storia di un riservista dell’esercito inglese accusato di aver ucciso diversi civili. Ispirato dal set di abilità e competenze delle forze speciali inglesi ha poi deciso a vent’anni inoltrati di partecipare alle selezioni per i SAS, lo Special Air Service e, contro ogni previsione, è riuscito a passare.

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Ben Timberlake a Ramadi.

Tornato a Ramadi, Timberlake ha potuto testimoniare di prima mano il modo in cui le droghe vengono usate in combattimento come carburante per tenere in piedi il personale militare. “I soldati statunitensi utilizzavano Provigil, Adderall e i cosiddetti stimolanti ‘Gucci’—eccitanti che i medici regalavano come caramelle. Gli inglesi, invece, avevano le Pro Plus, a base di caffeina,” racconta.

“C’erano sempre in giro contenitori di Jolt Cola e altre cose per tenere la gente su di giri. I soldati statunitensi lavoravano come dei matti, con orari folli. L’odore delle stanze operative era costituito dal puzzo del caffè ridotto a smalto per unghie, per riuscire a tenere tutti svegli e attivi. Non so se vedremo mai qualche ex soldato portare in giudizio le alte sfere, perché immagino che l’azione degli stimolanti in occasione di qualche evento traumatico potrebbe portare più facilmente a soffrire di PTSD.” Invece, i mal equipaggiati soldati inglesi, secondo Timberlake, non venivano nutriti con un afflusso costante di anfetamine. Dopotutto, “Barattavano riviste porno in cambio di munizioni dai militari statunitensi.”

In ogni caso, l’altra droga utilizzata in Iraq era costituita dagli steroidi, che “di solito erano presenti nelle basi più grosse e importanti, o nel settore militare privato, dove il personale voleva solo farsi grosso e recitare una parte.” Gli steroidi non ti aiutano a combattere, “ti rendono solo maledettamente aggressivo quando non dovresti esserlo,” spiega Tiimberlake. “La maggior parte delle volte, quando qualcuno crivellava di pallottole una macchina di una famiglia irachena, c’erano di mezzo gli steroidi.”

Le droghe hanno sempre fatto parte della guerra, basti pensare ai berserker vichingi sotto l’effetto dei funghetti o alle truppe della Wehrmacht con lo speed. Al centro del libro di Timberlake si trova l’idea della “crescita post-traumatica”: ovvero, che si possa recuperare, crescere e guarire dall’esperienze traumatiche vissute, trovando nuove riserve di forza e stabilità.

Questo concetto sembra averlo guidato e sospinto verso situazioni che la maggior parte delle persone cerca di evitare. Ispirato da un collega SAS, il cui padre era “dipendente dalle droghe da trent’anni,” Timberlake scelse consapevolmente di crearsi una dipendenza da eroina, “per toccare il fondo dell’abisso.” Nonostante abbia raccontato di aver trovato questa sostanza “un po’ noiosa”, Timberlake si recò poi in un paese del Medio Oriente (che preferisce non nominare) per smettere con la sostanza. Una volta arrivato sul posto, finì però per fumare un sacco di metanfetamine e rischiò di essere ucciso dalla polizia religiosa per aver venduto del porno.

Oggi, Timberlake si divide tra Cornwall e Londra, e passa ancora molto tempo a lavorare in Medio Oriente. Per i soldati sulla sua casa galleggiante, e per lo stesso Timberlake, questa è l’opportunità per redimersi attraverso le droghe, per capitolare di nuovo negli orrori della guerra, per poi uscirne e allontanarsene.