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Tecnologia

Perché il prossimo governo dovrebbe avere il pugno di ferro con i titani della Silicon Valley

Non abbiamo più bisogno delle loro scuse, abbiamo bisogno di regole.
Riccardo Coluccini
Macerata, IT
Illustrazione: Juta

Non vi siete già scordati delle audizioni di Mark Zuckerberg davanti al Congresso americano, no? L'importante è non scordarsi che quelli sono gli Stati Uniti, e non il nostro paese. Quando si parla di rapporto stato-internet, fino a questo momento l’Italia si è solamente permessa di inviare lettere a Zuckerberg o di applicare sanzioni per lo scambio di dati fra Facebook e Whatsapp — sebbene in quel caso sarebbe stato interessante invitare proprio il social network a fornire maggiori informazioni sul meccanismo di scambio e profilazione dei suoi utenti.

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Allo stesso modo, un approccio più pragmatico sarebbe stato quanto di più desiderabile per quanto riguarda la vicenda dei dati sanitari che potrebbero essere potenzialmente ceduti ad IBM, un progetto che sembra continuare malgrado le interrogazioni parlamentari siano rimaste senza risposta. È giunto il momento che il nostro governo cominci a fare sul serio.

Le audizioni al Congresso americano di Mark Zuckerberg sono state sicuramente un momento catartico — un rito collettivo che ha visto finalmente il CEO di Facebook scendere dal suo trono che poggia su oltre 2 miliardi di utenti per unirsi ai comuni mortali — ma allo stesso tempo ha fornito per l’ennesima volta l’opportunità a Zuckerberg di chiedere solamente scusa e indurre persino empatia nei suoi confronti: “povero ragazzo, costretto per ore ad ascoltare domande senza senso di vecchi senatori.”

Non possiamo lasciare che queste aziende si auto-regolamentino, come avvenuto nel caso dei post sponsorizzati per contenuti politici su Facebook, poiché possiamo star certi che le scelte effettuate saranno dei semplici palliativi per un problema che non è tecnologico bensì di natura politica: dobbiamo decidere come cittadini quali devono essere le capacità e i limiti di queste aziende.

Queste aziende hanno messo in piedi delle vere e proprie autostrade sulle quali chiunque può guidare a patto che accetti le richieste e i desideri dei rispettivi proprietari.

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Aziende come Facebook e Amazon hanno messo in piedi e si sono appropriate di infrastrutture critiche della nostra società: la prima gestisce la nostra attenzione mentre la seconda si occupa dei nostri acquisti. Ed è assurdo che un monopolio del genere non sia ancora stato messo seriamente in discussione come invece successo in passato con AT&T, che aveva pieno controllo su tutto il sistema delle tecnologie di telecomunicazione.

Considerando le loro dimensioni, la diffusione capillare, il loro potere di acquisire o distruggere altre aziende concorrenti e la capacità di sostituirsi a internet per intere fette della popolazione, Facebook e Amazon sono a tutti gli effetti due monopoli, e su questo anche l’Italia dovrà aprire gli occhi.

Queste aziende hanno messo in piedi delle vere e proprie autostrade sulle quali chiunque può guidare a patto che accetti le richieste e i desideri dei rispettivi proprietari. I media, i politici e gli inserzionisti pubblicitari cercano di percorrere l’autostrada di Facebook per ottenere l’attenzione degli utenti mentre invece i negozi devono necessariamente passare attraverso Amazon per garantirsi la vendita dei propri prodotti.

Oltre due miliardi di utenti attivi ogni mese su Facebook fanno gola agli editori ma, a seguito delle modifiche apportate all’algoritmo di Facebook per prediligere i post di amici e familiari, chi produce contenuti ha visto il traffico ridursi drammaticamente del 20% rispetto l’anno precedente. Allo stesso modo Amazon è il padrone indiscusso del e-commerce mondiale, secondo un report di Deloitte nel 2015 Amazon ha raggiunto quasi 80 miliardi di dollari di vendite e secondo i dati di PricewaterhouseCoopers (PwC) si nota un aumento di chi utilizza esclusivamente Amazon per fare acquisti.

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Facebook e Amazon controllano ogni singolo dettaglio di queste autostrade dell’informazione e allo stesso tempo ne traggono vantaggi competitivi grazie alla loro posizione privilegiata, sfruttando gli algoritmi che suggeriscono i prodotti e servizi di pubblicità mirate su siti terzi e app per smartphone.

Amazon sfrutta spesso l’analisi dei prodotti più venduti per copiarli e rivenderli, avvantaggiandosi attraverso gli algoritmi che suggeriscono i prodotti.

In Europa ci sono già alcuni esempi positivi di operazioni contro queste due aziende: recentemente è stato chiuso un caso dell’antitrust nei confronti di Amazon per clausole scorrette sugli ebook e allo stesso modo diverse autorità europee per la protezione dei dati personali hanno rivolto la loro attenzione a Facebook, come nel caso del Belgio che ha imposto una multa fino a 100 milioni di euro se il social network continuerà a tracciare gli utenti su siti terzi.

Sulla scia di questi esempi, le autorità e il governo italiani, insieme ai corrispettivi degli altri paesi europei, dovranno quindi capitalizzare la discussione che il caso di Cambridge Analytica ha sollevato. In particolare, dovrebbero:

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Amazon ha già dimostrato di poter distruggere completamente altri venditori sfruttando pratiche commerciali scorrette, come instaurare una guerra al ribasso dei prezzi per affossare i rivali.

Per evitare che la raccolta di dati di Facebook sia richiesta per il funzionamento del suo sistema pubblicitario sarà necessario prevedere inoltre una separazione fra Facebook inteso come social network e la sua piattaforma pubblicitaria che include anche il sistema Audience Network per il tracciamento sui siti e app di terzi. Una simile riflessione forse avrebbe potuto bloccare l’acquisizione di DoubleClick da parte di Google nel 2007. Facebook e Google raccolgono più della metà degli investimenti in pubblicità online negli USA e circa il 25% del mercato globale: con i loro strumenti di analitica delle inserzioni monitorano e tracciano tutte le nostre attività online.

Per quanto riguarda Amazon, invece, sarà necessario spezzare il suo monopolio in due diverse entità: da un lato una piattaforma di e-commerce classica, in cui tutti i soggetti possono partecipare alla pari e dall’altra Amazon inteso come venditore di prodotti. In questo modo si potrà salvaguardare l’interesse degli utenti proteggendoli anche dall’algoritmo di Amazon che suggerisce gli acquisti.

In questo caso non dovrà quindi essere applicata un’analisi antitrust miope che si focalizza solamente sui benefici legati ai prezzi vantaggiosi offerti agli utenti ma sarà necessaria una valutazione più ampia che tiene in considerazione anche la qualità e la diversificazione dei prodotti. Amazon ha già dimostrato infatti di poter distruggere completamente altri venditori sfruttando pratiche commerciali scorrette, come instaurare una guerra al ribasso dei prezzi per affossare i rivali.

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Queste aziende cercano di opporsi in ogni modo alle regolamentazioni, come nel caso dell’attività di lobby portata avanti da Facebook in Illinois contro una legge che rende illegale utilizzare algoritmi di riconoscimento facciale senza il consenso esplicito degli utenti, sventolando persino lo spettro che manovre sulla competizione potrebbero affossare del tutto le loro attività. Non dobbiamo farci ingannare e non dobbiamo cedere neppure un millimetro alla forte tentazione di lasciare che queste aziende possano auto-regolamentarsi.

Nel 2008, dopo che la Commissione Europea aveva imposto sanzioni pari a quasi 900 milioni di euro per pratiche commerciali scorrette e abuso di posizione dominante sul mercato a causa della gestione delle licenze e accesso alla documentazione tecnica dei propri sistemi operativi, Microsoft aveva affermato nel suo report annuale: “L'impatto della Commissione sulla progettazione dei nostri prodotti potrebbe limitare la nostra capacità di innovare Windows o altri prodotti in futuro, diminuire l'interesse degli sviluppatori della piattaforma Windows e aumentare i costi di sviluppo dei prodotti.”

Sembrava che Microsoft fosse destinata a fallire invece la storia ha mostrato un risultato diverso: i suoi ricavi continuano a salire e l’azienda ha progressivamente abbracciato la filosofia open source.

Il cambiamento tecnologico ha investito con forza e rapidità le nostre vite, non curandosi delle regole e dei diritti umani. È giunto il momento che un deciso cambiamento politico investa questi titani tecnologici.

Segui Riccardo su Twitter: @ORARiccardo