Identità

Due esperti spiegano perché alcune persone 'odiano' il contatto fisico dopo il sesso

Esistono persone che non sopportano il contatto fisico dopo il sesso. Dipende da un sacco di fattori—fisici ma anche mentali e culturali.
Vincenzo Ligresti
Milan, IT
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Illustrazione via AdobeStock.

Hai appena finito di fare sesso, e la persona che fino a un attimo prima era avvinghiata a te si ritrae. Sembra non essere più interessata al contatto fisico. Anzi: lo evita totalmente, forse addirittura si sta già rivestendo o è sotto la doccia. Tu non capisci perché non potete stare ancora un attimo lì per due coccole o una chiacchierata—che ci sarebbe di male? Magari, quella persona che si è praticamente sfilata sei proprio tu. 

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Le reazioni post-sesso (o più plausibilmente post-orgasmo) sono molteplici, e anche se la letteratura scientifica in questo senso è ancora parziale, negli ultimi anni sono state più spesso oggetto di studio.

Per molto tempo l’attenzione è stata su chi prova “disforia post-coitale” che ora, come sottolinea questo studio del 2020 dell’Institute for Sex Counselling and Sexual Sciences di Zurigo a firma di Andrea Burri e Peter Hilpert, è preferibile definire “sintomi post-coitali”: una serie di sensazioni—sbalzi d'umore e tristezza, bassa energia—ascrivibili soprattutto a un calo di interesse dopo i momenti di piacere apicali provati durante l’amplesso. 

Queste sensazioni sono spesso intrecciate tra loro, e anche se non sono le uniche o non ne rappresentano una diretta conseguenza, possono contribuire alla necessità di abbracci e coccole, o al contrario al distacco completo.

Ma questa è solo una delle spiegazioni.

Perché alcune persone odiano il contatto fisico post-sesso? 

Molto spesso, dato che la letteratura scientifica si è concentrata più sul pene per ragioni storico-sociali, quando si pensa alla riluttanza del contatto fisico post-sesso si prende ad esempio il periodo refrattario.

Ovvero, quel lasso di tempo in cui il pene deve riposarsi prima di avere la possibilità di avere un altro rapporto. Si tratta di un periodo molto variabile a seconda dell’età: a 18 anni è in media di circa 28 minuti, mentre a 70 si impiegano circa venti ore.

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Secondo Fabrizio Quattrini, psicoterapeuta, sessuologo e docente di Clinica delle parafilie presso l’Università dell’Aquila, chiamare in causa il periodo refrattario può sviare: “Questo è un discorso più legato al ‘non riesco, non posso’ [fare sesso], quello [del contatto post-sesso] è più simile al ‘non mi va’.”

“L’ ipersensibilità, soprattutto dopo l’orgasmo, di alcune aree genitali che potrebbero dare anche dei fastidi” non riguarda del resto solo il pene: “Prendi per esempio glande del clitoride e glande del pene,” spiega Quattrini. “Ci sono persone ipersensibili sul glande del clitoride che devono essere stimolate in un certo modo per raggiungere il piacere, e altre che non vogliono sentir parlare di altre stimolazioni dopo averlo raggiunto, come capita esattamente per il pene.”

Stereotipi di genere nell’odio del contatto post-sesso

Eppure, per molto tempo la tendenza è stata la seguente: descrivere le persone con vagina più propense alle “coccole,” mentre le persone con pene più propense al distacco fisico. 

“Su questo fronte le branche evoluzionistiche dicono che a livello biologico le prime cercano di tenersi il partner per garantirsi la sicurezza della gravidanza, mentre le seconde a inseminare il più possibile per garantire la specie,” spiega Filippo Maria Nimbi, psicologo e sessuologo, docente e ricercatore presso la Sapienza di Roma di Psicopatologia del comportamento sessuale. “Ma è semplicistico, un concetto datato, dobbiamo superare il binarismo di genere e tutto gli stereotipi che si trascina dietro.”

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Come puntualizza sempre Nimbi, esistono infatti “studi come questi che dimostrano che molto dipende dalla cultura di riferimento in cui siamo immersi: nei paesi in cui la parità di genere è più alta, le percentuali tra uomini e donne [termini binari qui utilizzati perché è a ciò che fanno riferimento gli studi] che sperimentano tali sensazioni sono simili—perché probabilmente queste ultime sono più a loro agio nel dirlo.”

In sostanza, entrambi gli esperti concordano che lo “stereotipico ha avuto un ruolo assolutamente devastante nell’immaginario e anche nell’azione delle persone.” Spesso ci sentiamo di assumere ruoli, avere reazioni e comportarci in un certo modo a letto perché pensiamo che sia corretto farlo, non perché ci piace davvero—tanto nelle esperienze eterosessuali che omosessuali.

Quattrini, inoltre, aggiunge che nella sua esperienza clinica sarebbero più le donne [come sopra] ad essere restie alle “coccole post-sesso,” soprattutto nell’intimità sessuale con persone con cui si ha poca confidenza.

Componente fisica e mentale valgono allo stesso modo?

Oltre alla componente fisica, quindi, ce n’è anche una mentale, emotiva. “La sessualità consta indubbiamente di una componente biologica, ma tutto il resto è mentale: non siamo al servizio dei nostri ormoni, casomai l’esatto contrario,” spiega Nimbi.

Entrambi gli aspetti, puntualizza Quattrini, sono però strettamente legati “a una grande area, che è quella educativa.” Quando non si è stati educati correttamente all'affettività e alla sessualità, le sensazioni corporee ed emotive post-sesso possono “non essere comprese, gestite e rivalutate in maniera costruttiva, e quindi nel momento in cui le persone si incontrano e si scontrano con la sessualità non è detto che poi vada come si immagina.”

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Si possono, in pratica, venire a creare situazioni in cui “possono prevalere più gli egoismi che gli altruismi, o in cui si crede che un comportamento possa essere utile tanto a se stessi quanto al partner.”

Il grado di confidenza con la persona con cui facciamo sesso conta?

Ovviamente, anche il grado di confidenza e l’atmosfera che si viene a creare sono aspetti fondamentali.

L’accesso all’intimità con persone che si conoscono relativamente poco—come per le app di incontri—è piuttosto sdoganato. Eppure è spesso il nostro approccio alla sessualità, legato alle motivazioni più disparate, a crearne al contempo distanze. 

Dopo la nostra chiacchierata, Nimbi ha chiesto al suo pubblico Instagram se gli fosse mai capitato di sperimentare emozioni che non permettessero di rimanere più del dovuto a letto. Ecco alcune risposte: “quando ho avuto rapporti occasionali con persone con cui non è subentrato feeling sempre,” “coi rapporti occasionali,” “nì, ho avuto queste sensazioni, ma mi sono sempre controllato,” “mi succede raramente, ma nel caso non esterno nulla se conosco poco la persona,” “per la poca attrazione per l’altra persona, o per il rapporto insoddisfacente”, “no io adoro anche il dopo, nelle mie storie è diventato un momento di intimità.” 

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E se sono in coppia, e la persona con con cui sto odia il contatto fisico dopo il sesso?

Nel caso di relazioni più stabili e durature, e mettendo in conto che ogni coppia è un caso a parte, come conciliare una persona che vuole “le coccole” da una che le rifugge dopo il sesso e/o l’orgasmo? 

“Se la storia è importante, farei piuttosto delle controdomande: come questa casistica è apparsa? Prima [le coccole] c’erano e poi hanno smesso di esserci, oppure è sempre stato così e non si è mai affrontato il discorso?,” spiega Quattrini.

“Chiaramente se non ci sono mai state vuol dire che i due componenti si stanno rendendo conto di qualche assenza; se invece sono state presenti in passato ma non in seguito, probabilmente potrebbe essere un segnale di aver perso di vista qualcosa nella relazione. Bisogna sempre capire l’evoluzione della coppia.”

Ma c’è anche un ultimo caso, sintetizzabile in “Va tutto bene, ma il contatto fisico dopo il sesso non lo tollero.” Insomma: ci hai provato, ma se non ti piace, non ti piace e basta. Del resto, non tutto nell’intimità deve piacerci per forza.

Può capitare? “Assolutamente sì, se ne deve parlare, e deve essere affrontato l’argomento,” conclude Quattrini. “Soffrirne in silenzio, da ambo le parti, può creare distanze, quando invece si può introdurre il discorso, cercare il coraggio di dare delucidazioni o negoziare punti di incontro.”

In ogni caso, entrambi gli esperti con cui ho chiacchierato ribadiscono la necessità di veicolare il concetto di una “sessualità positiva.” Questa non ha nulla a che vedere col “pensare che il sesso e le esperienze dobbiamo considerarle tutte belle a prescindere,” ma al viverle senza giudizi e pregiudizi. “Se parti da questi presupposti, e non ti poni paletti, anche le diverse forme di relazione e intimità ne gioveranno,” conclude Quattrini.

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