Tecnologia

Ci stiamo facendo le domande sbagliate sul sesso coi robot

Ne abbiamo parlato con l'esperta di sessualità e intelligenza artificiale Kate Devlin, che sarà ospite all'evento TEDxRoma di questo sabato.
Riccardo Coluccini
Macerata, IT
sex robot
Immagine: Screenshot da VICE, Making The World's First Male Sex Doll | Slutever via: YouTube

Proviamo ad immaginare la sfera della nostra sessualità senza la tecnologia. Eliminiamo le app per chattare con i nostri partner; distruggiamo ogni videocamera che ci lascia condividere momenti di intimità anche a chilometri di distanza; cancelliamo dalla faccia della terra i sex toys e la possibilità di usare una connessione internet per accedere, in un secondo, all’enciclopedia sconfinata di piaceri e fantasie erotiche che condividiamo con tutti gli altri esseri umani.

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Le nostre vite andrebbero inesorabilmente in frantumi.

Nell’intrecciarsi e dialogare con la nostra sessualità, la tecnologia ci spinge anche a rivedere le nostre teorie, ad immaginare nuovi scenari, e a riformulare il rapporto con i nostri corpi e con quelli delle altre persone. Ora che siamo di fronte a una potenziale rivoluzione copernicana — l’avvento dei sex robot — dobbiamo capire innanzitutto se ci stiamo ponendo le domande giuste su corpi umani, corpi artificiali e piacere.

Per la prima volta, abbiamo la possibilità di toccare con mano corpi inorganici muniti di intelligenza artificiale, materializzazione di tutti i desideri descritti nei libri e nei film di fantascienza. Le implicazioni di questa rivoluzione sono molteplici e di alcune si discute da tempo — basti pensare al dibattito legato al successo delle sex doll, già presenti anche in Italia.

Un discorso che tendiamo invece a sottovalutare è come questo nuovo corpo estraneo, mix di elastomero e circuiti, promette di entrare nella nostra intimità stravolgendo ogni punto di riferimento e costringendoci a guardare l’oggetto inanimato come un corpo sessuale che offre — ma anche chiede — attenzioni e piacere. Quella che fino a poco tempo fa pensavamo essere un’attività esclusivamente interumana, insomma, ora diventa necessariamente multiforme.

“La discussione riguardo i sex robot si focalizza spesso sull’etica e sui rischi, malgrado al momento gli unici sex robots esistenti siano giusto una manciata di prototipi,” ha spiegato a Motherboard Kate Devlin, professoressa associata in Social and Cultural AI al Dipartimento di Digital Humanities del King’s College London, e autrice del libro Turned On: Science, Sex and Robots, ospite al TEDxRoma che si svolgerà il 4 maggio a Roma.

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Quando parliamo di sex robot, ha spiegato Devlin, “abbiamo bisogno di ricerche basate sull'evidenza dei fatti, non di risposte moralistiche istintive.”

Ci troviamo in un momento storico in cui “stiamo sicuramente assistendo ad un aumento dei tentativi di controllare la sessualità applicando dei valori conservatori,” ha spiegato Devlin, ed è “particolarmente evidente nel Regno Unito con il problema della verifica dell'età per accedere a contenuti pornografici e negli Stati Uniti con il ban del porno da Tumblr.”

In entrambi i casi, infatti, il messaggio che si vuole trasmettere è quello della protezione da contenuti pericolosi, “ma la realtà è che si tratta di una politica di controllo del comportamento legale degli adulti,” ha ribadito Devlin.

Quando parliamo di sex robot, ha spiegato Devlin, “abbiamo bisogno di ricerche basate sull'evidenza dei fatti, non di risposte moralistiche istintive.”

Pur essendo stati accolti con aperta ostilità — vi sono già campagne che cercano di metterli al bando —, i sex robot potrebbero offrire una via per scardinare i tentativi puritani di censura e offrire un nuovo immaginario in cui esplorare la nostra sessualità e scoprire cosa vuol dire non avere un genere prestabilito. Siamo giustamente preoccupati che i sex robot riflettano la visione più limitata e spesso discriminatoria della sessualità umana — il problema è che lo siamo al punto che rifiutiamo di chiederci invece quale tipo di nuova e sovversiva esplorazione del piacere umano potrebbero permetterci di avviare.

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Nel suo libro, Devlin usa infatti la parola sesso come abbreviazione per un più ampio spettro di attività sessuali, scavalcando la classica — e riduttiva — idea di penetrazione di un orifizio. Perché dobbiamo immaginare un sex robot dalle forme umane quando le tecnologie attuali ci permettono di creare nuove forme ed esplorare nuovi piaceri?

“Potremmo combinare tutte queste cose in nuovi tipi di tecnologie che sono indossabili, sensuali e intime.”

“Le tecnologie attuali sono piene di potenziale,” ha spiegato Devlin. Abbiamo a disposizione fitness tracker per monitorare la nostra frequenza cardiaca, il nostro respiro e i nostri movimenti. Ci sono nuovi materiali conduttori, inchiostro elettronico, sensori e motori vibranti, microcontrollori minuscoli, la connettività di internet, e persino intelligenze artificiali in grado di conversare. “Potremmo combinare tutte queste cose in nuovi tipi di tecnologie che sono indossabili, sensuali e intime,” ha aggiunto Devlin.

E proprio questa intimità fra corpo umano e robot ricorda il mondo post-genere teorizzato da Donna Haraway nel suo A Cyborg Manifesto. Distruggendo il confine tra naturale e artificiale è possibile scavalcare il bieco dualismo di genere che continua a frapporre maschile e femminile in uno scontro infinito.

“Haraway ha usato l’idea di cyborg, la fusione tra l’organico e il meccatronico, come un modo per parlare di un mondo in cui i confini tra i dualismi si dissolvono,” ha sottolineato Devlin. “I robot, e in particolare i sex robot, ne sono un esempio affascinante.”

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Secondo Devlin, tendiamo a considerare gli oggetti simili agli esseri umani come se avessero un genere, questo ci rende più facile interagire con essi, facendoli sembrare quasi come un soggetto che partecipa nella società. Questa, però, ha aggiunto Devlin, “è per noi un'opportunità per esaminare esattamente il motivo per cui sentiamo il bisogno di attribuire un genere a una macchina e capire cosa questo ci rivela dei nostri valori sociali.”

Non ha alcun senso inscrivere un’intelligenza artificiale all’interno di un genere prestabilito e lo stesso, per estensione, dovrebbe applicarsi anche agli esseri organici.

Lo stesso film Ex-Machina affronta in modo emblematico questo quesito quando Caleb chiede allo sviluppatore del robot Ava perché le abbia dato una sessualità e un genere — per Caleb, Ava sarebbe potuta essere “una scatola grigia.”

Gran parte delle opere di fantascienza continuano a dipingere i sex robot come macchine dalle fattezze di donna, iper-sessualizzate e con caratteristiche esageratamente pornografiche.

Queste domande, purtroppo, sembrano ancora ignorate in gran parte delle opere di fantascienza che continuano a dipingere i sex robot come macchine dalle fattezze di donna, iper-sessualizzate e con caratteristiche esageratamente pornografiche.

“È molto difficile scrollarsi di dosso questi tropi, anche se potremmo e dovremmo,” ha spiegato Devlin. L’idea di corpi umani artificiali risale fino alla mitologia greca, ha spiegato Devlin, ma è interessante notare come uno dei primi esempi di sex robot sia quello di Laodamia, moglie di Protesilao, che dopo la morte del marito nella guerra di Troia decide di fare una copia del suo defunto sposo.

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Da quel momento in poi, però, abbiamo letto solamente di corpi artificiali femminili, e la questione ha radici ben più profonde e non basta semplicemente scrivere nuove storie: questa situazione “sottolinea la mancanza di una voce per le donne, la cui sessualità è stata controllata dalla società per millenni, ed è anche una questione di scarsità di rappresentazione di tutto ciò che si trova al di fuori di una norma eterosessuale maschile,” ha aggiunto Devlin.

Se da un lato i sex robot ci aiutano a riflettere sulla nostra intimità e sessualità, offrendo anche punti di vista critici sulle storture della nostra società, dall’altro potremmo anche cominciare a pensare a una teoria del piacere per le macchine.

Questo scenario, però, sembra ancora distante dal momento che prima dovremo riuscire a creare delle macchine coscienti. “La comunità che studia l’intelligenza artificiale è divisa sul fatto che un giorno avremo o meno macchine che sono senzienti,” ha spiegato Devlin.

“Sono agnostica su questo aspetto: se creiamo in qualche modo una macchina cosciente, non è detto che la sua coscienza sia simile a quella umana,” ha chiarito Devlin, “e potremmo anche non riconoscerla come coscienza.”

Quel che è certo, ha concluso Devlin, è che “se creiamo in qualche modo una macchina che ha consapevolezza di sé, dovremo pensare ai nostri obblighi rispetto alla definizione dei suoi limiti.”