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Tecnologia

'Tecnologie del Dominio' è il dizionario per ribellarsi alla tecnocrazia

Il collettivo Ippolita ci insegna che conoscere il significato profondo di parole come 'crittazione' e 'pornografia emotiva' è un atto politico a tutti gli effetti.

A meno di altri grossi scandali dietro l'angolo, per il rapporto uomo-web, il 2018 sarà ricordato nei libri di storia come l'anno di Cambridge Analytica. L'anno in cui tutti, ma proprio tutti, gli utenti di Facebook hanno ricevuto una secchiata di realtà gelata dritta in faccia e si sono sentiti traditi e spiati da Mark Zuckerberg. Su Motherboard parliamo di problematiche legate alla privacy praticamente da sempre, e ci ha fatto un certo effetto vedere quanto questa ondata di consapevolezza abbia investito un pubblico ampio, cambiando profondamente l'approccio di molte persone — almeno concettuale — ai social, alle app di messaggistica e alla permanenza online in generale.

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Il rischio però, in questi casi, è che la nuova consapevolezza sia sommaria tanto quanto l'illusione precedente. Iniziative come #DeleteFacebook — detto con un po' di invidia per chi lo ha fatto davvero — sono reazioni tanto comprensibili quanto prettamente emotive. Ma una cosa l'abbiamo capita tutti, finalmente: internet e i social non sono politicamente neutrali e dobbiamo imparare a usarli nel modo più giusto. In questo, il collettivo Ippolita, un gruppo di ricerca attivo dal 2005 nell'underground e nell'accademia italiana, ci viene in aiuto con una produzione di libri a tema digitale e non solo.

Il loro ultimo lavoro: Tecnologie del dominio, lessico minimo di autodifesa digitale, pubblicato da Meltemi, è un dizionario di parole legate alla tecnologia e rivolto "a tutti gli abitanti del pianeta Terra, anche ai non umani, anche alle macchine." Abbiamo fatto loro qualche domanda in occasione della partecipazione a Simposio, un ciclo di incontri organizzato dagli artisti del NONE collective di cui Motherboard è media partner.

Motherboard: Come è nata l'idea di un lessico minimo di autodifesa digitale? Vi siete accorti della sua necessità sul campo, avendo a che fare con le persone, oppure è stato un lavoro più teorico?
Ippolita: Ci siamo accorti che spesso i discorsi teorici e persino le chiacchiere con gli amici danno per scontate certe parole. Chi ha una formazione più tecnica spesso non si preoccupa di esprimersi in maniera comprensibile; chi non è preparato, difficilmente pone questioni, perché non vuole passare per ignorante. Per non parlare di chi pensa di essere perfettamente informato e contribuisce alla diffusione di inesattezze e scorrettezze.

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Così, spesso, usiamo correntemente parole che non comprendiamo e di cui ignoriamo la storia, le implicazioni ideologiche e i presupposti politici oltre che scientifici. Avevamo bisogno di spiegare in primo luogo a noi stessi cosa significano quelle parole, creare una mappa di significati.

Come avete scelto i lemmi?
Innanzitutto abbiamo scelto i sintagmi usati nei nostri saggi precedenti: "pornografia emotiva", "trasparenza radicale", "panottico digitale", "società della prestazione", "pedagogia hacker". Sono concetti complessi, che abbiamo sentito l'esigenza di riprendere. Fra questi ci sono anche termini apparentemente banali, ma talmente abusati da diventare fonte di confusione e manipolazioni continue — per esempio "open" (aperto), viene utilizzato erroneamente come sinonimo di "free" (libero): un tema a cui abbiamo dedicato un libro.

Molti lemmi sono anglosassoni, come "Big Data", "blockchain", "crowdsourcing", "filter bubble", "disruption": parole che costellano tanti post, articoli e interventi come se fosse del tutto evidente di cosa si tratta. Altri ancora sono termini poco noti ma centrali dal punto di vista del discorso complessivo, perché ispirano le tecnologie del dominio, come "libertarianesimo". Infine, termini tecnici, come "algoritmo", "p2p" (peer-to-peer), "IoT".

E i percorsi di lettura che suggerite all'inizio, invece?
I percorsi sono pensati per suggerire ai lettori diverse strade possibili in questo labirinto di parole. Un'attenzione particolare è stata dedicata a educatori, insegnanti, genitori. Insomma a persone che si trovano a dover spiegare concetti complessi. Spesso sono disorientati e ci chiedono delle risposte comprensibili. Tecnologie del Dominio è un libro da consultare.

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Sapere è potere, da sempre. Perché è importante, politicamente, oggi, che le parole della tecnologia siano spiegate a tutti? A cosa ci dobbiamo ribellare?
Durante l'udienza scaturita dallo scandalo Cambridge Analytica, il senatore Brian Schatz (Hawaii) ha fatto la figura dell'ignorante chiedendo a Mark Zuckerberg se fosse in grado di fornire agli investitori pubblicitari indicazioni per piazzare le loro pubblicità a partire dai contenuti dei messaggi di WhatsApp. Zuckerberg, serafico, ha risposto: "WhatsApp is fully encrypted", è tutto crittografato. I media hanno avuto gioco facile a ridicolizzare il senatore per la banalità della domanda. Zuckerberg non potrebbe leggere, neanche volendo, i messaggi. Ma se le forze di polizia chiedono accesso a quei contenuti, a quel punto sono in grado? Non sono domande così stupide.

La questione politica è sempre la stessa: comandare è facilissimo, ma obbedire è ancora più facile. Questo è ancora più evidente nei media digitali di massa.

Non solo: studiando un po' la genealogia della parola, da dove viene e come è stata utilizzata, da chi e perché, scopriamo molte cose. Tra le altre, il fatto che non sono i dati crittografati a essere importanti, ma i meta-dati: chi, dove, quando e a chi è stato inviato quel messaggio, per esempio. La profilazione più lucrativa si fa su questo. Saperlo non è risolutivo, ma è un primo passo.

Esempio: mia madre ha 55 anni, quando è andata a scuola lei, internet non esisteva e nemmeno i computer. Ora ha WhatsApp, Facebook, uno smartphone. Rappresenta l'utente medio. Secondo voi, cosa si potrebbe fare di concreto per aumentare la sua consapevolezza digitale (a parte regalarle il libro)?
Intanto è importante rassicurare le persone sul fatto che le loro competenze analogiche non sono inutili. Tutto il contrario. Saper ragionare in maniera critica, ponderare e valutare prima di agire è più importante che saper smanettare. E poi nessuno, o quasi, ha ricevuto una formazione specifica su social, smartphone e via dicendo. Di certo non i cosiddetti "nativi digitali", che esistono quasi solo nella vulgata giornalistica. Tutti possono diventare abili a usare questi strumenti; ma bisogna capire cosa fare di queste abilità e come vogliamo acquisirle. Vogliamo seguire le procedure delle interfacce scritte per noi in maniera che seguiamo senza accorgercene una serie di stimoli prefabbricati?

Questa è la via dell'automatizzazione, della gamificazione, della delega cognitiva, della tecnocrazia. Vogliamo davvero vivere in un mondo in cui le "nuove tecnologie" ci stanno dando la possibilità di non dover scegliere nulla, perché scelgono loro al posto nostro e ci liberano dal fardello della scelta? Oppure vogliamo costruire relazioni basate sulla curiosità e il piacere di scoprire insieme alle macchine? Questa è la via dell'autodifesa digitale e della pedagogia hacker. Non è una questione d'età. Non siamo obbligati ad arrenderci al "progresso" deciso dalle Megamacchine, non è inevitabile, dipende da noi, da ciascuno di noi. C'è tanto da fare.

Lemmi come Gendersec chiariscono quanto in realtà le parole della tecnocrazia siano legate a doppio filo con altri dibattiti attualissimi, come quello gender. Secondo voi, c'è un fenomeno politico alla base di questa comunanza?
Il dominio non è una conseguenza inevitabile del potere. è frutto di scelte concrete, quotidiane, personali e collettive. Di per sé il potere è ineliminabile. Non è un problema, ma lo diventa quando viene accumulato e gestito per creare gerarchie fisse, sistemi oppressivi e iniqui. La questione politica è sempre la stessa: comandare è facilissimo, ma obbedire è ancora più facile; obbedienza e comando sono le due facce della stessa medaglia.

Il difficile è organizzare le cose, organizzarsi in modo da evitare entrambi. Questo è ancora più evidente nei media digitali di massa: in quanto utenti, obbediamo alle interfacce, ma è un'obbedienza piacevole, che ci fa sentire parte di un mondo interconnesso senza attriti, un mondo che si organizza da solo, obbediente alle nostre compulsioni e da esse comandato. Scegliere è difficile e faticoso, quindi non è ignoranza, semmai è pigrizia; è più facile e comodo andare al centro commerciale dell'esperienza prefabbricata che costruirsi un gruppo d'acquisto solidale. Quello che vale per il cibo, vale anche per il digitale.

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