Perché è importante che il prossimo Doctor Who sia una donna
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Perché è importante che il prossimo Doctor Who sia una donna

In una serie dove può succedere letteralmente qualsiasi cosa, un cambio di genere non dovrebbe stupire affatto.
Giulia Trincardi
Milan, IT

Domenica scorsa, il canale inglese BBC ha annunciato ufficialmente il nome dell'attore a cui sarà affidato il ruolo di protagonista nella prossima stagione di Doctor Who — una serie cult di fantascienza iniziata nel 1963 e che racconta le avventure di un alieno che viaggia in giro per il tempo e lo spazio accompagnato sempre da qualche meravigliato essere umano.

Il motivo per cui la notizia ha creato scalpore (e reazioni contrastate) è legato al fatto che, per la prima volta in 54 anni di attività, Doctor Who sarà interpretato da una donna — l'attrice inglese Jodie Whittaker, già nota per il suo ruolo nella serie poliziesca Broadchurch e nel film horror-comico-fantascientifico Attack on the Block, oltre che in Black Mirror.

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Questo passaggio di testimone è significativo per due ragioni principali.

La prima è legata al conflitto tra le tematiche stesse della serie — da sempre al servizio di un commento etico-politico genericamente progressista —, e la difficoltà con cui l'ipotesi di una protagonista donna è stata affrontata tanto dagli autori quanto dalla fanbase, da quando la serie è ricominciata, nel 2005. La seconda, invece, riguarda nello specifico il rapporto complicato che la serie stessa ha avuto con alcuni dei propri personaggi femminili, scadendo spesso — nonostante appunto il generale progressismo dei suoi temi — in un vago sessismo.

Tra gli amanti della fantascienza più pop, Doctor Who è considerata una pietra miliare del genere, che è riuscita negli anni a creare un immaginario estremamente potente, facendo di una paradossale povertà tecnico-produttiva e di buone idee di sceneggiatura gli elementi di forza del proprio racconto.

Dopo decenni, Doctor Who è ancora fatta di orrende scenografie di cartapesta, i nemici più temuti sembrano bidoni dell'immondizia con ventose e frullatori al posto degli arti, gli effetti speciali sono grossolani e l'unica arma che il protagonista usa è uno screwdriver (un cacciavite) sonico, con cui apre, hackera e fa esplodere più o meno qualsiasi cosa; allo stesso tempo, la sua fantascienza è caotica e impenitente: non cerca — a differenza delle grandi produzioni cinematografiche — di essere verosimile a tutti i costi, ma insiste nel giocare su una dimensione assurda, teatrale e tragicomica.

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I suoi protagonisti viaggiano a bordo di una Police Box che è misteriosamente "bigger on the inside," e il paradosso di una dimensione temporale percorribile avanti e indietro è stato notoriamente liquidato con la frase "time […] is a big bowl of wibbly wobbly timey wimey… stuff." Alla faccia di chi nel mondo reale, da un secolo a questa parte, cerca di mettere insieme teoria della relatività generale e ristretta.

In tutto ciò, la serie riesce (più spesso che non) a trascinare il pubblico all'interno del proprio discorso, prendendosi gioco della nostra necessità di regole logiche e costruendo un processo di immedesimazione che ricorda — e qui sta il suo bizzarro valore — la sospensione dell'incredulità dei bambini che creano mondi e avventure con scatole da scarpe, cuscini e lenzuoli.

Doctor Who è una serie dove tutto può succedere e, negli anni, ha traslato questo principio non solo nelle trame degli episodi, ma anche nella plausibilità dei suoi luoghi e personaggi: ci sono città che galleggiano nello spazio sul dorso di balene preistoriche, mostri di ghiaccio bio-ingegnerizzati, statue di angeli con poteri quantistici, soldati dell'impero romano di colore e apertamente gay, e una quantità di paradossi temporali da far venire il mal di testa.

Non c'è letteralmente niente di impossibile nell'universo di Doctor Who, un alieno che basa le proprie azioni su una filosofia di conoscenza e rispetto dell'altro e che — davanti alla morte — sa rigenerarsi in una nuova versione di se stesso.

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Proprio l'espediente narrativo della rigenerazione — che permette di sostituire l'attore protagonista ogni due o tre stagioni — è alla base dell'incredibile longevità della serie, e, allo stesso tempo, è uno dei motivi principali per cui un Doctor Who sempre interpretato da attori uomini e caucasici, appare come un limite senza senso. Se il cambiamento è una chiave metaforica fondamentale all'interno della narrazione, il sesso non può essere escluso dal discorso, anzi: dovrebbe essere una banalità per una razza aliena indubbiamente superiore a quella umana.

Immagine via Tumblr

Qui ovviamente entrano in gioco questioni più prettamente legate alle dinamiche di una produzione televisiva: come ha spiegato lo stesso Steven Moffat — che è stato showrunner della serie dal 2010 e sarà sostituito da Chris Chibnall per la prossima stagione — Doctor Who è stata per tanto tempo una serie con un pubblico a maggioranza maschile. Per questo, un protagonista che reitera il cliché del mentore/messia che istruisce/si lascia coinvolgere umanamente dalla sua assistente donna è stato difficile da mettere in questione finora. A detta persino di chi ha interpretato nel passato il ruolo, un Doctor Who donna destabilizzerebbe il pubblico.

Ma qui sta il punto: Non c'è niente da temere in una protagonista donna perché il sesso non dovrebbe essere una costante a cui aggrapparsi a priori, soprattutto in una serie che lavora tanto sull'infinitamente possibile, quanto sul potere della conoscenza intima ed emotiva del prossimo come chiave di risoluzione di ogni conflitto. Inserire un Doctor Who donna (o appartenente a qualsiasi altra minoranza sessuale, di genere e etnica) è fondamentale per scardinare la presunta neutralità dell'interprete bianco e uomo su cui il cinema occidentale fa troppo spesso affidamento.

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Doctor Who ha saputo già in passato introdurre personaggi femminili fenomenali, giocando spesso sulla sovversione di stereotipi narrativi già esistenti, ma ha anche faticato a mantenere una coerenza in questo senso, scivolando spesso, anzi, in dinamiche problematiche. Il caso di River Song e del suo passaggio da donna complessa, forte e sessualmente esplicita a stereotipata femme fatale, è un esempio emblematico di questo discorso.

Lo stesso vale per altri personaggi femminili, la cui sorte è stata troppo spesso di sacrificio nei confronti dell'alieno che li travolgeva nelle sue avventure. L'amore, il sacrificio e la solitudine sono tematiche fondamentali in Doctor Who: non sto certo dicendo che sia sbagliato metterle in scena. Per evitare però che la relazione tra un alieno sentimentalmente goffo e un rappresentante della razza umana dotato di vere emozioni si riduca allo stereotipo dell'uomo di ghiaccio e della donna isterica/compassionevole, è necessario provare a invertire e sovvertire i ruoli dei due protagonisti, sperimentando in antitesi a qualsiasi cliché di genere e sessuale.

Doctor Who ha sempre affrontato discorsi di interesse socio-politico — condannando attraverso metafore più o meno esplicite qualsiasi forma di oppressione, d'ignoranza e di discriminazione —, e i suoi protagonisti umani incarnano sempre persone comuni, con cui il pubblico si relaziona facilmente e che ci ricordano che la fantascienza è per tutti. La rappresentazione di genere è un tema caldo in questo momento ( il successo di film come il recente Wonder Woman è prova del fatto che " boys' club" non significa più niente) ed era pressoché inevitabile che Doctor Who decidesse di affrontarlo.

Nonostante i suoi molteplici difetti, Doctor Who è sempre stata, prima di tutto, una serie che ragiona sul valore del cambiamento e della conoscenza; nel far innamorare il proprio pubblico di un nuovo protagonista ogni due o tre stagioni, è sempre riuscita a dimostrare che le prime impressioni non valgono nulla.

In altre parole, essere contrari a un Doctor Who donna per principio non è solo sintomo di un certo sessismo, ma anche di una mancata comprensione della filosofia più profonda della serie.