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Una consegna per il Sig. Assange

Come passa il tempo nell'ambasciata dell'Ecuador in cui si è rifugiato? Per scoprirlo, un gruppo di attivisti gli ha inviato un pacco con fotocamera.

Vi capita mai di non riuscire a dormire—con il sudore che forma una pozza intorno a voi e i bulbi oculari che pulsano—a chiedervi come sarebbe poter entrare in una scatola di cartone e venire recapitati a Julian Assange? Be’, il collettivo di artisti svizzeri !Mediengruppe Bitnik ha fatto il possibile per curare la vostra insonnia inviando un pacchetto all’ambasciata ecuadoriana (dove Assange è stato rintanato negli ultimi sette mesi). Il pacchetto conteneva una fotocamera che scattava una foto ogni dieci secondi per poi caricarla automaticamente sul profilo Twitter del gruppo.

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Oltre a essere una miniera d’oro di immagini per chiunque abbia mai voluto seguire passo dopo passo una spedizione fatta con la Royal Mail, il progetto “Delivery for Mr Assange” ci ha dato la possibilità di osservare da vicino la vita del sosia whistle-blower di Carey Mulligan come ospite degli ecuadoregni. Assange non rilascia molte interviste, probabilmente perché il solo mettere il naso fuori dall'edificio gli costerebbe l'arresto e l'estradizione in Svezia, quindi spiare il suo mondo fatto di felpe di WikiLeaks e poster di animali è stato piuttosto esaltante.

Al contrario, seguire gli aggiornamenti live non lo è stato. Molte attese, un sacco di buio, una o due gambe e tutte le altre cose tediose che vi potreste aspettare dallo studio di due giorni di fotografie scattate dall’interno di una scatola. Poi, alla fine, è apparsa una fotografia della faccia sorridente di Julian, che ho accolto con un entusiasmo insospettabile. Ho parlato con Carmen Weisskopf, una dei fondatori di !Mediengruppe Bitnik, per scoprire come è nata la loro idea.

VICE: Ciao Carmen. Cosa vi ha spinti a spedire questo pacco ad Assange?
Carmen Weisskopf: Quando Assange si è rifugiato nell’ambasciata dell'Ecuador c’erano sempre polizia e attivisti lì intorno, era un'atmosfera molto intensa. Poi qualcuno su 4chan ha proposto di mandare una pizza all’ambasciata, una bella maniera di introdurre un po’ di normalità nella situazione. Quando gli è stato concesso l’asilo, la gente ha iniziato a mandare dei taxi per portarlo in aeroporto. Questo ci ha spinti a chiederci come saremmo potuti intervenire nella situazione per portare un altro po’ di normalità, cosa che speravamo avrebbe spinto le persone a riflettere sul sistema di cui stavano entrando a far parte.

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Cosa c’era nella scatola che gli avete spedito?
Avevamo un sacco di quell’imbottitura che si mette nei cuscini, e ne abbiamo tagliati dei pezzi. Abbiamo inserito diverse cose: un telefono Samsung che faceva una foto ogni dieci secondi, una batteria per far sì che il cellulare rimanesse carico per 40 ore invece di quattro, una scatola con dentro un adattatore dalla presa svizzera a quella inglese e un caricatore.

Non volevate metterci nient’altro?
No. Non sapevamo neppure se il pacco sarebbe stato estratto dal sistema e controllato. Non volevamo che la sicurezza dell’ambasciata fosse allarmata.

Un’immagine ai raggi X del pacco di "Delivery for Mr Assange".

Avevate avvisato Julian?
Sì, gli avevamo mandato un’e-mail.

Pensavate che avrebbe funzionato?
No, assolutamente no. Ne abbiamo fatti tre perché eravamo preoccupati che potesse non funzionare. Il piano era di spedire il primo pacco, e se fosse stato eliminato, di spedirne un secondo attraverso un altro canale. Non ci aspettavamo che sarebbe entrato nell'edificio. Ho guardato tutte le foto e ho visto che nessuno osservava l’indirizzo. Pensavamo che qualcuno si sarebbe allarmato—non solo per Julian Assange, ma anche per tutti i pacchetti che vanno nelle ambasciate. Pensavo che l’avrebbero gestito diversamente, ma è stato trattato come posta normale.

C’erano un sacco di immagini completamente nere. Ve lo aspettavate o avete pensato che il cellulare fosse rotto?
Non è una tecnologia sicura, perciò le preoccupazioni c'erano. Ci aspettavamo un sacco di nero, ma potevamo anche vedere la sua localizzazione. Sapevamo che era in movimento, quindi quello ha aiutato.

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E quando avete visto la fotografia di Julian Assange?
Siamo impazziti. Eravamo a Zurigo e a Londra, connessi su Skype, tutti contentissimi. È proprio quello che speravamo sarebbe successo.

Assange è una figura piuttosto controversa.
Già, le sue accuse sono gravi. Credo che lui sia in prima linea nel dibattito tra sistemi aperti e chiusi, ed è importante non dimenticare che rappresenta qualcosa di importante. Potrebbe anche non piacere a livello personale, ma è ingiusto screditare le sue battaglie.

Vi aspettavate che scrivesse di Bradley Manning, Aaron Swartz e tutte le altre cose che ha messo sui fogli?
No, eravamo davvero sorpresi. Gli avevamo chiesto soltanto di mostrarci una veduta dall’ambasciata, ma probabilmente non aveva il permesso. Ci siamo sentiti davvero onorati del fatto che si sia preso il tempo di pensare a cosa fare con la fotocamera. Ci aspettavamo che avrebbe usato il mezzo per inviare messaggi politici, perché è un attivista, ma mi sembra che l’abbia fatto in maniera molto personale, soprattutto con le immagini degli animali.

Già, cosa significavano?
Non ne abbiamo idea, ma sono stata felice di vederli.

Avete ricevuto molte attenzioni.
Non ci aspettavamo neppure quello. Eravamo molto contenti, la gente voleva seguire la vicenda, del tipo "Ho guardato queste immagini in diretta per 12 ore e non so perché." Avevano un che di affascinante e attraente, ma nessuno riusciva a dire cosa fosse esattamente.

Siete degli hacker?
No. Abbiamo cercato di portare la pratica dall'informatica alla cultura. Non credo che Anonymous sarebbe interessato ad avere a che fare con noi, in quel senso. Ma cerchiamo di prendere lo stesso pensiero e applicarlo ad altri sistemi, a un livello concettuale.

WikiLeaks vi ha citati in un tweet, quando il pacco è stato recapitato. Sono stati d’aiuto?
Prima di allora non ci eravamo mai sentiti in maniera vera e propria. Avevano avvertito Assange dell’esistenza di un pacco e volevano che fosse in grado di seguirlo. Noi speravamo che riuscissero a comprendere il lavoro, ma non ne eravamo sicuri.

Che cosa significa il "bitnik" nel nome del vostro gruppo?
Ci piace il "nick" alla fine perché suona futuristico, ma in stile anni Settanta—il futuro che è in qualche modo nel passato. Il “bit” viene da una delle più piccole entità presenti in un computer, i bit e i byte. Un sacco di gente crede che sia ispirato ai beatnik—quel gruppo di scrittori degli anni Cinquanta—ma no, noi non prendiamo così tante droghe.