Archeologia delle sigarette
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Archeologia delle sigarette

Da qualche giorno in Italia gettare un mozzicone per terra significa rischiare una multa, ma quante informazioni nascondono queste tracce antropologiche?

Gli anglofoni hanno una particolare espressione che manca di un corrispettivo italiano preciso, 'one man's trash is another man treasure', cioè l'immondizia di un uomo è il tesoro di un altro. Figurativamente, di solito. Ma anche letteralmente. E vale perfino per i mozziconi di sigaretta.

Nel 1973 un gruppo di antropologi e archeologi dell'Università dell'Arizona, guidati dall'intrepido Professor William Rathje, ha fondato un vero e proprio nuovo campo di ricerca: la spazzaturologia, lo studio dei rifiuti contemporanei usando metodi archeologici ed etnografici.

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Potrebbe sembrare un'idea bislacca o un progetto ironico, ma si tratta di un ambito di ricerca assolutamente serio. Del resto, l'archeologia si è sempre districata tra cocci, artefatti rotti e resti abbandonati di ogni genere, e molto spesso quelli che vengono chiamati in gergo archeologico tumuli sono poco più che montagne glorificate di terra e rifiuti. Da qui l'idea stessa di Rathje: perché limitarsi ai rifiuti di gente morta e sepolta? Se ci sono davvero informazioni utili che possono essere estratte dai rifiuti, sulla gente che li ha prodotti, sul loro mondo, sulla loro cultura, non c'è motivo di aspettare secoli. Negli ultimi 30 anni, a partire dal Tucson Garbage Project in Arizona, ci sono state molteplici ricerche che hanno analizzato come i nostri comportamenti e la nostra cultura si manifestano nei nostri rifiuti.

Quelli più su larga scala hanno impegnato centinaia di archeologi in scavi colossali all'interno e nelle profondità delle discariche; altri, più antropologici, hanno minuziosamente annotato le abitudini e gli scarti alimentari di centinaia e centinaia di famiglie. Ma mai un progetto era arrivato ad essere così ossessivamente minuzioso e compulsivamente interessato ad un particolare tipo di rifiuti come quello lanciato da Anthony Graesch e la sua armata di studenti dell'Università del Connecticut.

Come archeologo, Graesch è caduto vittima della deformazione professionale di guardare sempre a terra alla ricerca di preziosi artefatti. E, trasferitosi nel densamente popolato Connecticut per insegnare etnoarcheologia all'Università, ha cominciato a notare i mozziconi di sigaretta abbandonati ovunque guardandoli non come semplici rifiuti, ma come reperti dell'attività umana a tutti gli effetti.

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Le 'big tobacco', che le sigarette le devono vendere, identificano e realizzano diversi prodotti per diversi target demografici, e raccolgono attentamente statistiche su quanto e come il vizio del fumo possa essere trasmesso orizzontalmente. Certe marche di sigarette sono progettate per un sesso, un'età, un profilo socio-economico, etc. Ma sono tutte analisi di mercato che cercano di prevedere o causare un comportamento, al più raccogliendo informazioni tramite dettagli o focus group.

Se è vero che gli artefatti, nell'archeologia tutta, sono una guida materiale per studiare le comunità e le culture, e se è vero che persino i rifiuti possono contenere queste informazioni, allora, direttamente dal mondo reale, del passato e del presente, dai mozziconi si dovrebbe poter ricavare un sacco di informazioni sulle comunità dei fumatori.

All'inizio il lavoro di Graesh si è concentrato sui bar. Dal momento che anche negli USA è vietato fumare all'interno di luoghi pubblici, è fuori dai bar che c'è la più alta concentrazione di mozziconi di sigarette e rifiuti affini. Non solo: i bar sono nel mondo moderno il luogo sociale per eccellenza, e spesso sono distinti proprio in base al raggruppamento di persone che li frequenta abitualmente. Ci sono i bar gay e i bar hipster, i bar sport e i bar dei biker, gli irish pub e i disco pub, ognuno con i rispettivi regulars.

Quando improvvisamente ti rendi conto della quantità di informazioni che si possono estrarre dai mozziconi, fai molta più fatica a non notarli.

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Quarantaduemila mozziconi raccolti dopo, raccolti in 30 giorni, ogni giorno, più volte al giorno e in venticinque siti distinti, spesso in bar ma anche in campus universitari e fuori da Walmart, è cominciato il vero lavoro. Sì perché, se lo si vuole trattare veramente come un reperto archeologico, non basta semplicemente raccogliere un mozzicone, facendo incidentalmente un servizio alla comunità, per aver finito il lavoro: ciascun elemento deve essere adeguatamente catalogato.

Così, dopo aver passato le domeniche mattina piegati sui marciapiedi a raccogliere cicche, gli studenti di Graesh sono passati a catalogare in laboratorio la marca e il tipo di ciascuna sigaretta. Alcune marche ed alcune tipologie, ad esempio, possono essere riconosciute guardando la dimensione della banda immediatamente sopra il filtro, altre, più semplici, possono essere identificate da piccole icone. Dal tabacco stesso, tramite analisi di laboratorio, si può riconoscere il tipo (Al mentolo? Light?) e la qualità, perché anche la stessa marca usa tabacchi differenti per sigarette più economiche o "premium". E così sono stati in grado di identificare, dal loro insieme di mozziconi consunti e puzzolenti, 341 tipi di sigarette prodotte da 67 distinte marche.

Ma per avere un set di dati efficace, non basta identificare "l'identità commerciale" delle sigarette. Ergo ogni mozzicone è stato successivamente classificato in base a come è stato accartocciato o schiacciato o spezzato per spegnerlo, perché tanto quanto fumare in sé, il modo in cui la sigaretta viene spenta è spesso un'abitudine assimilata per imitazione. Dai pacchetti scartati è possibile tracciare da quale zona venisse chi ha lasciato il rifiuto, e le tracce di lucidalabbra o rossetto sul filtro permettono di estrarre altre informazioni. Non si può dedurre il genere del fumatore, perché non tutte le donne portano il rossetto e di sicuro non lo fanno tutto il tempo: ma insieme al resto della montagna di dati, permettono analisi incrociate per testare ipotesi.

Un bel mozzicone. Buttalo nel cestino, dai.

E questa gigantesca collezione è tanto un risultato della ricerca quanto una risorsa per testare ipotesi nel futuro. Lo studio è ancora in corso, ma già cominciano ad esserci i primi risultati preliminari. Ad esempio, Graesh può identificare il tipo di bar dal tipo di mozziconi di sigaretta gettati davanti ad esso, purché si stia ben attenti a distinguere i mozziconi raccolti durante la settimana lavorativa da quelli del venerdì e sabato sera, quando la popolazione degli habitué è invasa da un po' tutta la comunità vicina.

E quando improvvisamente ti rendi conto della quantità di informazioni che si possono estrarre dai mozziconi, fai molta più fatica a non notarli. Tanto più che, siccome i filtri delle sigarette non sono biodegradabili, possono rimanere come testimonianza del nostro passaggio anche per decenni. Se non siete etnoarcheologi urbani, questo comunque non rende i mozziconi di sigaretta un tesoro, ma rende bene l'idea di come la storia non è solo quello che l'uomo fa, ma anche quello che l'uomo getta.