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Tecnologia

La legge italiana sul cyberbullismo non è così male come sembrava

Dai, forse ce la possiamo fare.
Immagine via Wikimedia Commons/Angelica20

Lo scorso 17 maggio, il Parlamento italiano approvava definitivamente la legge contro il cyberbullismo. La definizione di cyberbullismo contenuta nel testo era così ampia e generica che questa legge avrebbe potuto facilmente diventare un bavaglio per la stampa. Per questo motivo, l’attivista canadese Cory Doctorow l’aveva definita “la legge censoria più stupida della storia europea.”

Il Parlamento italiano ha però modificato il testo prima dell’approvazione definitiva. Secondo Innocenzo Genna, giurista specializzato in regolamentazioni e politiche europee del digitale che all’epoca aveva manifestato alcune serie preoccupazioni su La Stampa, "la nuova definizione di cyberbullismo è stata redatta in modo preciso, in modo da evitare interpretazioni e applicazioni strumentali e pregiudizievoli per la libertà di stampa e di opinione."

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Il MOIGE (Movimento Italiano dei Genitori) ha espresso gratitudine per il lavoro di sorveglianza realizzato dalla Polizia Postale nell’arginare il fenomeno del bullismo online durante una conferenza tenutasi il 6 febbraio al Viminale. Tuttavia, c'è ancora da fare un lungo lavoro culturale per debellare il cyberbullismo, secondo quanto emerso da una ricerca condotta dalla Professoressa Anna Maria Giannini dell’Università La Sapienza. Per questo motivo, il MOIGE ha avviato un progetto che formerà 500 studenti come “Ambasciatori contro il cyberbullismo.”

Al momento dell'approvazione della legge, il MOIGE stesso aveva dichiarato che si trattava di “un risultato importante, anche se solo un primo passo”. Un ulteriore passo "sarebbe introdurre un’età minima pari a 16 anni per potersi iscrivere ai social network, dato che l’iscrizione fa perdere ai minori la capacità di tutelare la propria privacy,” ci ha spiegato Maria Rita Munizzi, Presidente nazionale del MOIGE, durante la presentazione tenutasi al Viminale.

Tra le critiche avanzate inizialmente da Doctorow, vi era anche la facile eludibilità del provvedimento. La maggior parte dei servizi internet utilizzati dagli italiani è infatti basato all’estero. Secondo il Prefetto Roberto Sgalla, con cui abbiamo parlato alla presentazione, “questa è una sciocchezza estrema. È evidente che oggi la rete è internazionale e dunque il tema è marginale. Io noterei piuttosto che l’Italia si è dotata di uno strumento importante non solo per la repressione del cyberbullismo, ma soprattutto per la prevenzione. E a dirlo è un poliziotto.”

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“I fenomeni di cyberbullismo avvengono soprattutto attraverso piattaforme o siti web online popolari e conosciuti. È da escludere che questi, ben conosciuti e consolidati presso il pubblico e le autorità nazionali, decidano di spostare le loro sedi solo per eludere le norme italiane sul cyberbullismo. Per quanto riguarda le piattaforme più popolari, come Facebook, hanno iniziato da tempo un percorso di dialogo con le autorità nazionali su vari fronti e sanno che la localizzazione all’estero di server e sede legale non li protegge dalla giurisdizione italiana,” ci ha spiegato in una mail Innocenzo Genna.

In effetti, nel corso del 2017 la Polizia Postale si è occupata di 354 casi aventi minori come vittime di reato. Tra i reati più diffusi, la diffamazione online (87 casi) e la categoria “Ingiurie, molestie e minacce” (116 casi).

Durante la conferenza si è inoltre parlato di fake news ed hate speech. Questi fenomeni, anche se non necessariamente legati al cyberbullismo, sono in pericolosa crescita. Uno studio di Doxa pubblicato su La Stampa mostra come più del 40% delle persone non sia in grado di riconoscere una notizia inventata. Secondo Roberto Pella, vice presidente vicario dell’ANCI, “La legge sul cyberbullismo, con i dovuti aggiustamenti, può diventare mezzo di contrasto per le fake news. Servirebbero condanne esemplari per chi diffonde notizie false”.

Più cauto invece Innocenzo Genna, secondo cui “il rischio di un’applicazione strumentale, politicizzata e tendenziosa è molto più elevato che con il cyberbullismo. Penso che un codice di autoregolamentazione da parte dei providers — soprattutto per quanto riguarda le fake news — sia per ora una soluzione più equilibrata. Ad ogni modo, la UE si sta occupando del problema.”

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