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lavoro

Cosa pensano gli operai della fine della classe operaia?

Dopo il rapporto dell'ISTAT che dichiara scomparsa la classe operaia, ne abbiamo parlato coi diretti interessati.
Tutte le foto per gentile concessione degli intervistati. In foto Luigi, intervistato sotto.

Ogni anno l'ISTAT pubblica un rapporto in cui si propone di offrire una "riflessione documentata sul presente e le prospettive del paese" sopratutto per quanto riguarda il modo in cui cambiano e si ridefiniscono i gruppi sociali. L'edizione di quest'anno è stata particolarmente interessante e ha attirato più del solito l'attenzione mediatica, perché di fatto ha dichiarato il decesso dei due grandi baluardi della società industriale: la borghesia e la classe operaia.

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Secondo il rapporto, infatti, entrambe queste classi sociali sarebbero già scomparse o starebbero scomparendo. La piccola borghesia si sarebbe dispersa tra "le famiglie di impiegati e di operai in pensione" e le "famiglie tradizionali della provincia," mentre la classe operaia sarebbe ormai distribuita quasi equamente tra "giovani blue collar"—ossia i giovani operai, ma anche i giovani che lavorano nei call center e nella distribuzione commerciale—e le famiglie a basso reddito, di soli italiani o con stranieri (queste ultime, il gruppo sociale più povero).

Insomma, secondo l'ISTAT "la classe operaia ha abbandonato il suo ruolo di spinta all'equità sociale." Eppure, forse una spinta ci vorrebbe: stando proprio al rapporto le disuguaglianze sociali sono in aumento, non solo tra le diverse classi ma anche al loro interno. E questo a causa della sperequazione tra i redditi, ma anche delle pensioni, destinate a influire sempre di più con la crescita dell'aspettativa di vita. In compenso, l'ascensore sociale funziona solo in un senso: si può scendere senza troppa difficoltà ai piani bassi mentre salire è quasi impossibile.

Alla luce di tutto questo, siamo andati a chiedere direttamente a loro—agli operai—che fine ha fatto la classe operaia.

LUIGI, 40 anni, ispettore controllo qualità

VICE: Nel suo rapporto 2017 l'ISTAT dice che le vecchie classi sociali si sono ormai disgregate. Questo sembra valere soprattutto per la piccola borghesia e la classe operaia, rispetto alle quale, cito, "la perdita del senso di appartenenza a una certa classe sociale è più forte." Tu ti senti ancora parte della classe operaia?
Luigi: Personalmente mi sento ancora parte della classe operaia, ma il rapporto ISTAT ha ragione. Ho un'esperienza di 15 anni nella FIOM e quello che ho notato è che la coscienza di classe è quasi sparita. Qualcosa resiste nelle officine, ma si tratta prima di tutto di appartenenza politica che solo dopo si associa alla coscienza di classe. Ciò che conta ormai sono solo i singoli problemi concreti e gli interessi individuali.

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Come si è arrivati a questo, secondo te? Mi parli di sindacati, ma probabilmente molti lavoratori non ci si riconoscono nemmeno più…
Sì, molta colpa è del sindacato, che ormai c'entra poco con la classe che dovrebbe rappresentare e continua a perdere colpi e credibilità, infatti tanti lavoratori non si tesserano più.

Immagino valga in particolare per i giovani.
Soprattutto i giovani: tanti non hanno nemmeno un'appartenenza politica e vivono nella competizione più totale. Alcune piccole lotte funzionano ancora, ma si basano soprattutto sui rapporti personali di fiducia, come quando sono stato licenziato per avere pubblicato su Facebook un post critico sull'azienda e l'intervento dei miei colleghi è riuscito a far rientrare il licenziamento.

DOMENICO, 32 anni, muratore

classe operaia fine istat

VICE: Tu senti di appartenere alla classe operaia?
Domenico: Detto sinceramente, no. Penso alla mia esperienza: sono arrivato al punto di fare diversi lavori per tirare avanti e mantenere la mia famiglia e credo che al giorno d'oggi bisogna per forza sapersi adattare a quello che ci viene offerto e sapersi reinventare come lavoratori. Tutti gli altri ragionamenti meno personali li può fare solo se hai un contratto duraturo e una posizione specifica. Ormai gli operai si adattano a quello che hanno, anche se non è il mestiere che vorrebbero.

Nel rapporto dell'ISTAT da cui è sorta la questione si dice anche che l'ascensore sociale funziona solo verso il basso. Pensi che la promozione sociale sia sempre più difficile?
Parlando da genitore, spero che non sia vero. A mio figlio non potrei mai consigliare di fare il mio lavoro o quello di mia moglie, un genitore vuole sempre di meglio. So che oggi anche per i laureati è difficile trovare un lavoro e farsi una posizione, ma credo sia giusto e naturale che i figli cerchino un'occupazione migliore di quella dei loro genitori e intraprendano un percorso di studi che gli permetta di farlo. Questo è quello che vorrei per i miei figli.

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EMILIO, 55 anni, operaio elettromeccanico

classe operaia fine istat

VICE: Esiste ancora la classe operaia?
Emilio: Diciamo che è ancora viva ma non se la passa troppo bene, e non se la passa troppo bene da 20 anni. Ma non si può negare che esista ancora: c'è tutta una fetta di lavoratori che è in grosse difficoltà perché diminuiscono i salari, anche con mezzi subdoli come gli indicatori, diminuiscono i diritti e diminuisce l'assistenza sociale.

Le donne poi sono quelle più penalizzate. Stipendi bassi, zero possibilità di fare carriera e zero riconversione, perché con la scusa che sono precise e pazienti vengono quasi tutte lasciate alla catena di montaggio e alcuni settori sono loro preclusi. In genere gli sforzi di riconversione sono minimi, si taglia o si delocalizza.

Nell'indagine si dice anche che tra gli operai è venuta meno la coscienza di classe. Che ne pensi?
Questo è vero. E in parte è comprensibile, perché oggi reagire costa molto di più e quindi anche gli accordi individuali con le imprese sono più frequenti. Anche i sindacati devono affrontare il fatto che la gente si adatta a contratti di tre mesi perché è meglio di niente. Mancano anche i riferimenti politici e culturali. Le associazioni sono sempre più piccole e frammentate e i corpi intermedi sono sempre più lontani dai lavoratori. Il che non significa che vadano tagliati—come sostiene Renzi, ad esempio—ma che devono tornare a essere più vicini alla gente.

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DIEGO, 54 anni, metalmeccanico

classe operaia fine istat

VICE: L'ISTAT dice che la classe operaia non esiste più. Sei d'accordo?
Diego: Penso che purtroppo sia un dato oggettivo. Ti faccio un esempio: da casa mia per arrivare alla Franco Tosi, la fabbrica dove lavoro, ci sono circa quattro chilometri che faccio in bicicletta tutti i giorni. Ecco, una volta ogni mattina lungo quella strada si muovevano 15mila persone. Adesso tutte tutte le fabbriche, le industrie elettriche e le manifatture della zona hanno chiuso e la stessa Franco Tosi è passata da 5mila a 200 dipendenti.

Il mondo del lavoro è cambiato, adesso le aziende hanno in media 2,8 dipendenti ciascuna. Il mondo operaio si è assottigliato e il terziario avanzato non è più in grado di assorbire chi resta fuori.

Le altre persone che ho intervistato mi hanno detto che gli operai sono meno politicizzati di una volta. Secondo te è così?
Sì. Adesso la percezione che il lavoratore ha del sindacato è quella di un ente tipo l'INPS o l'INAIL, che serve solo a darti una mano con la dichiarazione dei redditi. Ad esempio quando c'è stata la questione del Jobs Act e dell'abolizione dell'articolo 18, una mattina ero alle macchinette del caffè, che sono sempre molto frequentate, eppure non c'era nessuno che ne stesse parlando. Perché al momento è già buono se lavori, figurati rivendicare diritti.

Pensi sia una tendenza generale, o che nel caso specifico degli operai ci sia qualcosa in più?
In parte è dovuto alla crisi, in parte al fatto che siamo in un momento storico particolare. Fatto sta che manca completamente la stabilità e questo ovviamente aumenta l'egoismo personale.

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DARIO, 58 anni, metalmeccanico

classe operaia fine istat

VICE: Hai sentito del rapporto ISTAT secondo cui la classe operaia non esiste più?
Dario: Certo, ho letto, ma il rapporto dice una cosa e allo stesso tempo il suo contrario. Si usa un termine straniero, "blue collar," per non dire "operai," ma di fatto cosa sono i "blue collar"?

E poi in realtà il numero degli operai non è in calo, ma è al livello degli anni Sessanta. Se mai sono diminuiti quelli impiegati nell'industria, ma sono aumentati enormemente quelli nei servizi: nella "classe operaia" non ci sono solo le tute blu dell'industria siderurgica. Devi metterci anche i lavoratori commerciali, le cassiere dei supermercati e via dicendo.

Quindi pensi che il rapporto abbia dei punti deboli?
Penso che sia influenzato ideologicamente. Vuole affermare che la classe operaia non esiste più per ridurre il contrasto di classe, mentre nei fatti questo contrasto è ancora in atto, per quanto disgregato. Il rapporto poi dice anche altro, ad esempio che l'ascensore sociale non funziona—o meglio, funziona solo verso il basso. E poi c'è anche la questione di tutta una serie di nuove professioni che vanno verso la precarizzazione assoluta.

Da come parli sembra che per te la coscienza di classe sia ancora importante.
Per me lo è molto. Ma è una coscienza che si costruisce giorno per giorno, nel contrasto e nelle rivendicazioni salariali e normative. Ora questo contrasto è venuto un po' a mancare, per l'individualizzazione del posto di lavoro e per la precarizzazione di cui ti dicevo.

D'altro canto però sta crollando anche un altro mito, quello della promozione sociale, e intere schiere di giovani operai si trovano imprigionati in lavori transitori o che considerano tali.

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