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In difesa di 'Grey’s Anatomy', la serie più femminista che puoi vedere

La serie è considerata da molti una specie di soap opera, ma Meredith Grey & soci possiedono un bel po' di meriti.
Still via ABC.

C’è stato un tempo in cui mi vergognavo come una ladra ad ammettere la mia dipendenza da Grey’s Anatomy—una dipendenza che, tanto per essere chiari, dura dal lontano 2005. All’epoca le serie tv non godevano affatto della stima e dell’attenzione da parte di grandi produttori e attori blasonati, e nel mio personale palinsesto rientravano E.R. Medici in prima linea, The O.C., Nip/Tuck, Dr. House e Desperate Housewives.

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A queste si era poi aggiunto Grey’s Anatomy, con la sua succosissima tagline "Operations. Relations. Complications." Le vicissitudini dei medici del Seattle Grace Hospital—ora Grey Sloan Memorial Hospital—sono state sin da subito modellate per incontrare i gusti di un pubblico particolarmente sensibile al genere sentimental-ospedaliero.

Nel corso della loro lunga carriera, tirocinanti e chirurghi si sono accoppiati tra di loro in maniera piuttosto randomica; sono stati vittime di incidenti aerei e automobilistici, violenti nubifragi, PTSD, alcolismo e tossicodipendenze; hanno operato l’inoperabile e impegnato le loro brillanti menti in ricerche ai limiti del verosimile, spesso ispirate a studi realmente avvenuti.

Mentre questi fatti—che avrebbero spezzato sia da un punto di vista fisico che psicologico chiunque, tranne Meredith Grey—avevano luogo, il panorama delle serie tv cambiava e si arricchiva. E più iniziavo a guardare i vari Mad Men, Sons Of Anarchy e Breaking Bad, più tenevo nascosto quel piacere proibito che, le rare volte in cui usciva allo scoperto, provocava reazioni tra l’indignato e il divertito: "Mari, da te non me lo sarei mai aspettato."

Nel sentito comune, Grey’s Anatomy viene a torto considerata una sottospecie di soap opera alla Beautiful, sia per la sua longevità che per la fitta trama di relations e complications che tende a oscurare e ad apparire come un pretesto per le operations. Per non fermarsi alla superficie e toccare con mano pure gli innegabili meriti che Meredith Grey & soci possiedono, occorre però fare un passo indietro e conoscere la mente geniale—a tratti diabolica—dietro l’equipe del Grey Sloan.

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La scalata al successo di Shonda Rhimes, sceneggiatrice, regista e produttrice inserita nel 2007 dal TIME tra le 100 persone più influenti al mondo, ha inizio a Chicago negli anni Settanta. Sin da piccola Shonda dimostra un’innata propensione a scrivere e a raccontare storie, e un periodo trascorso come volontaria in ospedale non fa che accrescere il suo interesse per ciò che concerne la medicina. Dopo il college si trasferisce a Los Angeles, si laurea e si trova a fronteggiare la bestia nera di qualsiasi studente: la disoccupazione. Ma lei non si arrende e continua a scrivere di notte, mantenendosi durante il giorno con lavoretti part-time. Più tardi arrivano i primi ingaggi come sceneggiatrice per Vi presento Dorothy Dandridge e Crossroads (sì, quel Crossroads con nientepopodimeno che Britney Spears).

La sua prima sceneggiatura inviata al network ABC viene rifiutata, ma nel 2005 sulla stessa rete debutta Grey’s Anatomy, di cui è ideatrice e sceneggiatrice.

Nata come rimpiazzo al posto di Boston Legal, la serie sarebbe dovuta durare soltanto quattro settimane. Ma il successo fu tale che venne confermato per l’intera stagione. I personaggi erano stati scritturati tramite un color-blind casting, ossia scelti senza basarsi sulla loro etnia: ogni ruolo era stato assegnato senza determinare a priori la razza del singolo attore, per preservare la multietnicità e la diversità. Ma non solo: l’universo creato da Shonda Rhimes è privo di discriminazioni, pietismi o favoritismi, un mondo in cui meritocrazia e assenza di pregiudizi la fanno da padrone.

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Giusto per citare qualche esempio, Bailey e Maggie—rispettivamente a capo di chirurgia generale e di cardiochirurgia—sono afroamericane; Arizona, master and commander di chirurgia fetale, è lesbica; Callie, primario di ortopedia, è bisessuale; Meredith Grey è una madre single che con perseveranza riesce a vincere il tanto agognato premio Harper Avery, l’Oscar della chirurgia; Amelia, eccellente neurochirurgo, ha un passato da tossicodipendente e Casey è uno specializzando transgender ex veterano di guerra, entrato nel cast in risposta all’iniziativa di Donald Trump volta a impedire ai transgender di arruolarsi nell'esercito.

Visto così, il rischio di trovarsi tra le mani un teatrino popolato da macchiette poteva essere dietro l’angolo, ma la bravura di Rhimes e del suo team di sceneggiatori si concretizza nel trattare temi quali la disabilità, l’amore tra persone dello stesso sesso e le dipendenze abbandonando qualsiasi forma di sensazionalismo o clamore, con una normalità e una delicatezza che raramente si sono viste in una serie tv.

E, cosa forse ancora più importante, i personaggi maschili non vengono dipinti come una banda di frustrati mangiati vivi dall’invidia e desiderosi di prevaricare il successo delle loro controparti. O, meglio, il medical drama è capace di mostrare un’evoluzione in tal senso, resa possibile soltanto da chi ha lottato per abbattere il maschilismo imperante che regnava nell’ambiente medico. "La prima volta che ho vinto l'Harper Avery l'ho dedicato agli uomini che mi avevano sempre tanto appoggiata… no, scherzo, scherzo! La prima volta che ho vinto l'Harper Avery ho pensato 'Al diavolo quei maschi!'. Stavo lì, con il trofeo in mano, e pensavo a quello che avevo sacrificato, che avevo superato. E ho dedicato quel premio a tutte le donne chirurgo che sarebbero venute dopo di me." Il discorso di ringraziamento di Ellis Grey, madre di Meredith, sottolinea efficacemente la differenza tra un passato recente dominato da machismo e celodurismo e un presente in cui donne e uomini collaborano fianco a fianco, sostenendosi vicendevolmente.

Ai detrattori che ne contestano la creazione di una realtà parallela ed edulcorata dove, quando avviene, la violenza sessuale viene effettivamente scoperta e punita, e gli eventi tendono (quasi) sempre a prendere una piega positiva per coloro che si sbattono pur di vedere riconosciuto il proprio talento, bisognerebbe domandare che male c’è ad apprezzare l’happy ending risolutore: si tratta forse di una questione di snobismo culturale?

Grey’s Anatomy non si distinguerà certo per innovatività, ma è riuscita a introdurre in tempi non sospetti tematiche che solo in seguito sarebbero state affrontate da altri prodotti televisivi. Lo ha fatto probabilmente in modi a tratti melensi e zuccherosi (come nel video poco sopra, uno dei momenti più 'femministi' della serie), dando però prova di aver compreso fino in fondo quali corde toccare per trovare un posto nel cuore del suo pubblico, mantenendo allo stesso tempo un occhio vigile e attento sul mondo e su come questo continuava—e continua—a mutare.

Nonostante la consideri ancora alla stregua di un guilty pleasure, non me ne vergogno più, anzi. Una volta ho pure convinto un amico a guardare un paio di puntate. Dalle ultime notizie che ho, pare non abbia più smesso.