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La storia di Nicolae Minovici, il medico rumeno che si è impiccato 12 volte

Il dottore restava sospeso tra i 4 e i 26 secondi, per capire cosa provava il suicida.
Immagine: Juta

Quello del medico è un mestiere strano: da una parte professione, dall’altra vocazione per così dire “assoluta”, che dovrebbe prescindere dal tornaconto e dal benessere personale. In effetti, dal giuramento di Ippocrate in poi, ogni medico è tenuto a prestare soccorso anche al di fuori dell’ambito strettamente professionale, e non sono certo pochi quei dottori che mettono a repentaglio la propria stessa salute pur di curare, o anche soltanto comprendere, una malattia. Nicolae Minovici (1868-1941) era uno di questi uomini decisi a sporcarsi le mani pur di aiutare gli altri.

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Gran parte della sua vita è stata spesa per soccorrere i deboli, gli umili e i reietti che nella Romania di inizio secolo ricevevano ben poco sostegno da parte delle autorità: ha fondato uno dei primi servizi di ambulanza e pronto soccorso, ha dato cure e assistenza a più di 13.000 senzatetto, offrendo loro la possibilità di reintegrarsi lavorando per le unità di emergenza. Si è occupato anche delle ragazze madri, aprendo dei punti di accoglienza in cui le giovani donne potevano trovare aiuto prima e dopo il parto. È stato inoltre sindaco del quartiere di Băneasa, dove ha modernizzato fognature, fontane, ricoveri notturni.

La carriera professionale e accademica non era per Minovici altro che un’ulteriore declinazione del suo coinvolgimento nel sociale. Essendo stato medico legale, aveva potuto toccare con mano le realtà più drammatiche del suo tempo; i suoi studi di criminologia, anatomia patologica, psichiatria e antropologia lo hanno portato a interessarsi alla delinquenza (d’altronde suo padre era Mina Minovici, fondatore rumeno delle discipline criminologiche). Nel 1899 Nicolae ha pubblicato un saggio sulla presunta relazione fra tatuaggi e personalità criminale, arrivando alla conclusione — atipica per quei tempi — che non ve ne fosse alcuna. Ha fondato l’Associazione di Medicina Legale di Romania, e il Romanian Journal of Legal Medicine . Ma il suo nome è ricordato soprattutto per un altro lavoro: il famoso Studio sull’impiccagione del 1904.

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Il busto di Minovici. Fonte: Wikipedia.

La sensibilità umanista di Minovici lo portava a credere che la vocazione di un medico dovesse essere allo stesso tempo scientifica e morale, come dicevamo in apertura. D’altronde, non era tipo da tirarsi indietro di fronte al pericolo. Quando, all’inizio dei suoi studi sullo strangolamento, si è reso conto che non avrebbe potuto capire a fondo la dinamica dell’impiccagione senza provare a impiccarsi, Minovici non ha esitato.

Nel suo primo esperimento, Minovici ha provato a regolare personalmente l’intensità dell’asfissia. Ha fatto passare la corda in una carrucola fissata al soffitto, e ha attaccato un dinamometro al cappio (non scorsoio): poi ha tirato con tutte le sue forze sull’altro capo della fune. Immediatamente il suo volto è virato verso il rosso scuro, e Minovici ha udito un fischio continuo nelle orecchie, mentre la sua visuale diventava sfuocata. Dopo soli sei secondi, ha perso conoscenza.

Il sistema gli consentiva di interrompere la tensione della corda nel momento esatto in cui venivano a mancare le forze. Dopo aver sperimentato a questo modo diverse altre posizioni, annotando tempi di resistenza e sintomi, Minovici è passato a una fase di prove decisamente più pericolose. Aiutato da alcuni assistenti, ha stabilito di farsi sollevare per il collo, usando ancora una volta un nodo non costrittivo.

Un paio di assistenti tiravano la corda, uno di loro scandiva ad alta voce il conto dei secondi che passavano, in modo che anche Minovici lo sentisse al di sopra dell’acufene. Ma la prima volta che il professore è stato sollevato da terra e i suoi piedi hanno perso il contatto con il pavimento, un dolore lancinante gli ha attraversato la gola, mentre le vie respiratorie rimanevano strozzate e i suoi occhi si serravano involontariamente. Minovici ha segnalato freneticamente agli assistenti di riportarlo a terra, dopo pochissimi secondi.

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Il cadavere di Minovici. Fonte: Wikipedia.

Per nulla scoraggiato, Minovici ha deciso che gli serviva un po’ di pratica lasciandosi penzolare sei o sette volte, per quattro o cinque secondi per abituarsi. Dopo questo allenamento, il professore è riuscito a resistere fino a 25 secondi mentre era impiccato con i piedi a due metri dal pavimento: lo scotto da pagare per questo esperimento sono state due settimane di fitte ai muscoli del collo e alla gola.

Infine, Minovici si è preparato all’impresa più pericolosa ed estrema: avrebbe tentato di usare un nodo scorsoio.

Come al solito, i suoi assistenti hanno cominciato a tirare la corda, ma questa volta il cappio si è stretto in un attimo, artigliandogli il collo in una morsa di dolore bruciante. Lo shock è stato così intenso che dopo soli tre secondi Minovici ha fatto segno di lasciare andare la corda. I suoi piedi non avevano mai lasciato il suolo: nonostante questo, per tutto il mese successivo il professore ha deglutito a fatica e con sofferenza.

Oltre agli esperimenti su se stesso, Minovici ne ha condotti anche altri — meno drammatici — su volontari, che venivano strangolati tramite pressione della carotide e della giugulare. Anche in questi casi, mentre la faccia del soggetto diventava paonazza, si presentavano problemi alla vista, parestesia (sensazioni di formicolii e punture sulla pelle, o di avere gli arti “addormentati”), calore alla testa e acufeni.