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Tecnologia

Ho pianto per la morte di un nano carpentiere che non esiste

In 'Dwarf Fortress' il maltrattamento dei nani è all'ordine del giorno: e se i suoi protagonisti fossero in grado di provare emozioni?
Immagine: Dwarf Fortress

Nella cara, vecchia, inestinguibile lotta a chi ce l'ha più lungo, quando si parla di difficoltà nei videogiochi la risposta è e sarà sempre una sola: Dwarf Fortress. L'opera di Bay 12 Games, piccola software house composta dai fratelli Tarn e Zach Adams, è circondata da una forte aura composta da timore reverenziale e curiosità. Un po' strano, considerato che si tratta soltanto di gestire una piccola colonia di nani.

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La paura che prova il giocatore occasionale alla sola idea di avviare Dwarf Fortress è però più che fondata: invece di una vera e propria grafica, sullo schermo scorrono caratteri in ASCII. Non esiste un tutorial accessibile direttamente dal gioco; e soprattutto la curva di difficoltà del titolo risulta decisamente più simile a una ripida retta tendente all'asse verticale. Eppure, armati di pazienza e coraggio, è possibile mettere le mani su uno dei videogiochi più incredibili che mente umana abbia mai concepito.

Imparare a giocare a Dwarf Fortress, capitolo 2.

Imparare a giocare a Dwarf Fortress, capitolo 3.

Alla guida di un piccolo manipolo di nani, il giocatore si ritrova a gestire ogni piccolo dettaglio di una neonata colonia nel bel mezzo di un mondo procedurale in cui tutto, e sottolineo tutto, non è mai piazzato a caso. Durante la creazione della mappa, allo spettatore è difatti concessa la modifica di ogni tipo di variabile, e in pochi minuti un complicato algoritmo riesce a creare un vero e proprio mondo in evoluzione, con popoli che nascono, si evolvono e, spesso, decadono, lasciando come ricordo rovine, vecchi edifici e una buon numero di artefatti storici.

È qui che il giocatore entra di prepotenza, scegliendo solamente un luogo in cui ambientare le proprie gesta, con i pregi e difetti che un particolare bioma può offrire, e le caratteristiche dei sette nani che fonderanno la futura fortezza sotterranea.

Mouse alla mano, siamo da sempre stati abituati a impartire ordini agli “omini” che si muovevano sullo schermo. Ebbene, su Dwarf Fortress ciò non è possibile. Impartiamo ordini di costruzione e produzione, scegliendone la priorità, e non ci resta che osservare i goffi movimenti dei piccoli lavoratori. Un'ottima gestione delle risorse, unita a una ponderata valutazione delle necessità dei protagonisti, fanno la differenza tra la vittoria — che, in realtà, non esiste — e l'inevitabile sconfitta che caratterizza il titolo, tanto da aver dato alla luce il tormentone “perdere è divertente”.

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Imparare a giocare a Dwarf Fortress, capitolo 4.

Dwarf Fortress, però, nasconde decisamente molto altro sotto i poco accessibili comandi: ogni essere vivente che si avvicina alla nostra fortezza (che si tratti di un nano, un elfo o di un animale da compagnia) possiede un proprio, personale e ben delineato carattere. Non si tratta solo di far amare la pesca o di far preferire il vino alla birra: i fratelli Adams sono riusciti a mettere in piedi una vera e propria simulazione psicosociale in cui ogni singolo fattore, nella grande equazione chiamata “Fortezza Nanica”, riesce a far reagire i nostri piccoli amici in maniera totalmente diversa agli stress. Tanto più se recentemente Bay 12th Games ha introdotto con un nuovo aggiornamento un parametro di memoria per i nani che abitano la nostra colonia, rendendoli in grado di ricordare le loro gioie, ma sopratutto i loro drammi.

Quelle piccole faccette bianche che si muovono attraverso corridoi di punteggiatura e simboli speciali sono, e rimangono, stringhe di codice, ma ammetto che vedere una giovane coppia di lavoratori, come Alvaro (conviene rinominare sempre gli abitanti, per tenere una specie di censimento tra i nani “anziani” e quelli appena immigrati), fiero carpentiere impegnato a tempo pieno al taglio del legname e alla produzione di mobili, e Clorinda, contadina che dedica la propria vita alla coltivazione di funghi sotterranei, prima diventare amici e successivamente innamorarsi, mi ha particolarmente colpito.

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Imparare a giocare a Dwarf Fortress, capitolo 5.

La fortezza diventava giorno dopo giorno sempre più grande: il dormitorio comune si trasformava un piccolo ospedale, mentre gli abitanti guadagnavano lentamente la propria indipendenza grazie a piccole stanze da letto; i magazzini cominciavano a riempirsi di strumenti e beni di consumo, che avrebbero permesso ai nani di avviare semplici trattative commerciali; richieste sempre più assurde, da parte dei nobili di turno, rendevano sempre più complicata la vita politica della colonia.

Eppure, continuavo ad avere un occhio di riguardo per Alvaro e Clorinda, e mi ritrovavo a sorridere come un ebete mentre la sera uscivano per una passeggiata lungo al fiume e si scambiavano i primi baci. Certo, la mia immaginazione ha fatto la sua parte, ma non c'è voluto troppo prima che il buon carpentiere desiderasse una stanza più grande per accogliere anche la sua promessa sposa. La fisiologia nanica, del resto, somiglia particolarmente a quella umana, e l'avvento di un neonato era solo questione di tempo.

Continuavo ad avere un occhio di riguardo per Alvaro e Clorinda, e mi ritrovavo a sorridere come un ebete mentre la sera uscivano per una passeggiata lungo al fiume e si scambiavano i primi baci.

Con l'aumentare degli abitanti era inevitabile la creazione di amicizie e antipatie, per non parlare dei rischi derivati dal vivere nelle profondità del terreno e dall'essere circondati da goblin sanguinari. Il piccolo Guido (ripeto, rinominare gli abitanti della fortezza è importante!), a soli tre anni di età, è stata la prima vittima di un'incursione dei pelleverde, durante una delle tante passeggiate all'aria aperta, assieme alla povera Clorinda, ancora nel fiore dei suoi anni. Sono un videogiocatore navigato, e come tale possiedo un cuore di pietra: la prematura fine dei due nani non ha scalfito minimamente i miei sentimenti, e pensavo di superare il “trauma” in pochi secondi. Poi ho posizionato il cursore su Alvaro.

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Lui era in laboratorio, dentro la fortezza, e non si è accorto di nulla fino a sera, quando il resto della famiglia non si decideva a rientrare. Dopo una lunga ed estenuante attesa il fiero carpentiere si è avventurato verso l'esterno, al buio, in cerca dei propri cari, per poi trovare, dopo poco tempo, i due corpi esanimi. È lì che il mio cuore si è spezzato. Alvaro è rimasto immobile, accanto al cadavere di suo figlio, per ore intere. Non una parola. Non un pensiero. L'alba non ha contribuito a cambiare nulla, se non che, a un certo punto, il nano disperato ha raccolto il corpicino e si è avvicinato alla riva del fiume, lo stesso che ha visto sbocciare l'amore tra i due membri della colonia. E lì, nuovamente, Alvaro è rimasto immobile per altre ore.

Mai saprò quali pensieri digitali sono passati nella mente, composta da stringhe di codice, di un padre che ha appena perso tutta la sua famiglia, ma ancora oggi non riesco a togliermi dalla testa quel folle gesto: dopo aver poggiato il corpicino per terra, il carpentiere si è gettato nelle profonde acque del fiume, ponendo così fine alle sue sofferenze.

Continuo ad amare Dwarf Fortress con tutto il cuore, e mi concedo di tanto in tanto una partita per vedere le modalità in cui la mia colonia finirà inesorabilmente distrutta da qualche catastrofe, ma dopo le vicende di Alvaro non riesco più a vedere quelle piccole faccine bianche con gli stessi occhi.

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