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salute mentale

Di cosa parliamo quando parliamo di dipendenza sessuale

Pur non essendo riconosciuta ufficialmente come disturbo mentale, esistono rehab e terapie per curarla. E anche il produttore Harvey Weinstein sembra volercisi appellare.
Screenshot di Shame via YouTube.

Seguendo le orme di altri personaggi noti coinvolti in altri scandali, Harvey Weinstein—il produttore di Hollywood accusato di aver aggredito una trentina di attrici e collaboratrici, tra cui Gwyneth Paltrow, Angelina Jolie e Asia Argentosarebbe partito per l'Arizona per farsi ricoverare in un centro di recupero per dipendenza dal sesso.

Se sulle ragioni del presunto ricovero saranno gli operatori del settore a fare chiarezza (si tratta di un'onesta richiesta d'aiuto o di una trovata per tentare di redimersi?), molti esperti hanno già ribadito che non esistono giustificazioni psicologiche per i reati di un uomo che per decenni avrebbe usato il proprio potere per commettere abusi.

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Sentendo parlare di dipendenza sessuale, però, non possiamo fare a meno di chiederci: cosa si intende di preciso? Come la si identifica, e quali sono i suoi confini?

La prima cosa da sapere è che la dipendenza sessuale è un argomento controverso anche all'interno della comunità scientifica, al punto da non essere inclusa nell'ultimo manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (il DSM V, la "bibbia" della diagnosi) e non essere quindi formalmente considerata una condizione clinica a sé—a differenza di altre dipendenze "senza sostanza" come quella per il gioco d'azzardo. Nel 2014, anche l'Associazione americana degli educatori, counselor, e terapeuti della sessualità ha rilasciato una dichiarazione in cui nega che la dipendenza sessuale sia un disturbo mentale.

"È un'entità a cui diamo un riconoscimento in base all'esperienza clinica, a quello che ci racconta il paziente, piuttosto che in base a criteri diagnostici ben precisi," spiega la professoressa Roberta Rossi, psicologa, psicoterapeuta e presidente della Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica.

"In linea di massima, quello che caratterizza il dipendente sessuale è l'avere un rapporto molto stretto e continuativo con tutto quello che riguarda la sessualità," continua l'esperta. "Non per trarne piacere, ma perché le attività sessuali sono comportamenti che vengono messi in atto per sedare una forma d'ansia o un'emozione percepita come negativa."

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Per una persona dipendente dal sesso, la visione di un film o di immagini porno, masturbarsi, la ricerca continua di rapporti, sono tutti comportamenti che servono a sedare sensazioni che altrimenti si avrebbe difficoltà a gestire. È proprio la mancanza di piacere e di soddisfazione a distinguere una sessualità, magari intensa ma comunque regolare, e la cosiddetta dipendenza. "E poi, in questa modalità viene meno la possibilità di scegliere quale attività mi piace di più," Rossi aggiunge. "Ad esempio, non incontro quella persona perché mi piace. Ma magari incontro quella persona perché è la prima che trovo quando mi metto in macchina—intendendo una prostituta."

Sono comportamenti che hanno anche tratti compulsivi. Per esempio, una persona può trovarsi sul luogo di lavoro o in un contesto sociale e sentire di dover rispondere a un impulso. "Magari trovo il modo di isolarmi e di masturbarmi, oppure di guardare un film o altre immagini. Oppure di chattare continuamente in senso sessuale, cose di questo genere."

Mancando una diagnosi precisa, non è possibile stabilire i criteri per definire questa problematica, ma Rossi specifica che è caratterizzata da comportamenti ripetuti, a volte anche nell'arco della stessa giornata. E questi possono aggravarsi nel tempo: sia quantitativamente, andando a prendere sempre più spazio nella vita della persona, sia spingendola verso condotte più rischiose.

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"In linea di massima, il dipendente sessuale si mantiene il più possibile entro la legalità. Magari frequenta ambienti dello scambismo, i sex club, luoghi dove è protetto," specifica la psicoterapeuta. In alcuni rari ed isolati casi, la cosiddetta dipendenza sessuale può essere causa di eccessi che possono sfociare in violenza, ma Rossi ribadisce chiaramente: "Non tutti ovviamente ci arrivano e non tutti quelli che compiono violenza sono dipendenti sessuali. Assolutamente no. Non c'è una corrispondenza esatta delle due cose, l'incidenza sarebbe di circa il 10 percento, anche se in assenza di un riconoscimento ufficiale è difficile dirlo con certezza."

Eppure sempre più persone sembrano rivolgersi a specialisti per ricevere aiuto. Anche in Italia sono nati alcuni—pochi—centri di recupero dedicati, che trattano casi che vanno dall'eccessiva masturbazione, al sexting continuo, allo sfrenato desiderio di consumare materiale pornografico o rapporti sessuali. "Potrebbe essere aumentata la consapevolezza," fa notare Rossi. "Nonostante non ci sia una diagnosi precisa, se ne parla. È un tema che viene trattato, visto, anche nei film; c'è una letteratura non scientifica ma mediatica che fa sì che la problematica sia più conosciuta e chi riconosce in sé certe modalità e situazioni si interroghi un po' di più."

Nel 2013, all'uscita del film Don Jon, si era parlato molto della presunta dipendenza da porno del protagonista, ad esempio. E altre pellicole, come la commedia romantica Tentazioni (Ir)resisitibili (2012) o il film drammatico diretto da Steve McQueen Shame (2011) affrontano apertamente il tema della dipendenza sessuale e possono aver contribuito a sensibilizzare il pubblico.

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Il trattamento più appropriato, secondo Rossi, è quello che combina l'approccio farmacologico e quello psicoterapeutico. "Il farmacologico aiuta a ridurre gli stati di ansia e di angoscia, e quello psicoterapeutico all'inizio può essere di sostegno e poi può andare a cercare di rintracciare, con un lavoro più profondo, gli antecedenti che hanno portato la persona a muoversi in un certo modo nella sua vita."

Ma molti faticano a chiedere aiuto, soprattutto quando riescono a nascondersi dietro una vita lavorativa, affettiva e sociale che non desta sospetti. È solitamente nel momento in cui l'equilibrio precario tra autodistruzione e funzionalità si rompe—magari perché stare a guardare porno tutta la notte ha ripercussioni sulla giornata lavorativa, o perché non si riesce più a sostenere i costi di alcune attività sessuali a pagamento—che la persona è più propensa a riconoscere il problema.

Questo è il primo passo da fare. "Riconoscere di avere un problema, parlarne con le persone vicine per avere sostegno, poi chiedere l'aiuto di uno psicoterapeuta, o di uno psichiatra che lavori in maniera combinata, o di un centro che faccia questo tipo di percorso," dice Rossi. "Ma in Italia sono veramente pochi."

A livello macro, sociale, secondo la sessuologa, dovremmo riconoscere la dipendenza sessuale come disturbo a sé, perché questo potrebbe favorire una maggiore consapevolezza e lo sviluppo di percorsi terapeutici ad hoc: senza una diagnosi formalmente accettata non è possibile elaborare protocolli d'intervento, e ogni specialista lavora sulla base della propria formazione ed esperienza clinica. "Se hai una diagnosi che dice quali siano le modalità e, i tempi [di un disturbo], usi questi elementi per calibrare il modo in cui intervieni, come specialista. Invece così, siamo un po' tutti lasciati all'esperienza personale."

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