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La papagna, l'oppio misterioso dei nostri nonni

Che fine ha fatto l'oppiaceo usato dai nostri nonni il cui principio attivo era lo stesso della morfina e dell’eroina?

"Damme nnu picca papagna ca sta mmoriu de tulori," ovvero, dammi un po' di papagna, un decotto di fiori di papavero ché le coliche fanno malissimo.

I rimedi della nonna ce li abbiamo tutti bene in mente: tecniche miracolose e prive di alcun tipo di fondamento scientifico evidente ma che riescono comunque a fungere da panacea. Perché funzionavano? Non ci ponevamo domande: nel momento del bisogno ci sottomettevamo alla sapienza tramandata delle nostre premurose nonne e dopo poche decine di minuti venivamo magicamente allievati da qualunque tipo di male.

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La sorpresona è che uno di questi rimedi, la papagna—un decotto di fiori di papaver somniferum che serviva a calmare le coliche e a conciliare il sonno dei più piccoli—era un infuso a base di oppiacei il cui principio attivo è presente anche in morfina ed eroina. Le care nonne del Meridione, in buona sostanza, somministravano ai loro nipoti dei rimedi a base di alcaloidi.

L'argomento non è scontato: la cultura del papavero è intrinseca a tutta la tradizione del Meridione, "generalmente veniva chiamato papagna o papagno, mentre in alcune parti del Salento viene denominato babà o babafaru e in Abruzzo papàmbre o papambrone," spiega Il Fiore Perduto, tesi di laurea di Maruzio Belperio.

Una testa di papaver somniferum. via DolceVitaOnline

La ricetta è quasi sconosciuta; sappiamo qualcosa sugli ingredienti necessari, ovvero fiori di papavero, ma il procedimento è una danza secolare intorbidita da dicerie popolari e la volontà di mantenere la papagna un occulto arcanismo, "si raccolgono le teste del papavero, quando cadono i petali e sono belle grosse. Si stendono al sole e quando diventano verdognole sono pronte. Per preparare la babafarina si fanno bollire insieme: tre foglie di alloro, un papavero ed una manciata di camomilla," si legge in un'intervista a una donna salentina su Il Tacco d'Italia.

L'origine della papagna è una questione complessa: alcuni fanno risalire l'apparizione della pianta nell'Italia Meridionale a 8000 anni fa, altri ancora parlano di oscuri intrugli denominati "eroine" apparsi nelle farmacie degli anni '20. La papagna vera e propria, in quanto infuso tradizionale preparato in casa, è però un mistero perso tra paesini e villaggi del Salento.

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Un breve saggio di Carla Grassano, medico del Ser.T, approfondisce l'argomento e accenna all'esistenza di alcuni volumi con riferimenti alla papagna come "Per curarsi con le erbe," del dottor Borsetta, che descrive la sostanza e riferisce anche i dosaggi in base all'età, sconsigliando però l'utilizzo nella preparazione delle teste di papavero, quelle che presumibilmente contenevano la maggiore concentrazioni di alcaloidi.

Grassano inoltre descrive i risultati di un questionario da lei stilato e sottoposto a un centinaio di soggetti, tossicodipendenti e non. Le informazioni che vi si possono evincere sono diverse:

  • Alla fine degli anni '50 la papagna cade in disuso, visto che nessuno dei soggetti testati di età inferiore ai 25 anni è stato sottoposto alla soministrazione.
  • La percentuale dei soggetti trattati aumenta proporzionalmente all'età degli stessi, con una evidente preponderanza a partire dai 35 anni di età.
  • Tutti sanno cos'è la papagna e cosa si intende per "appapagnarsi"—ovvero la sonnolenza post-prandiale, quella che si associa ad una sensazione di piacevole sazietà.
  • La papagna era usata da tutti: dalla fasce più basse a quelle più alte.

Per comprendere meglio quando la papagna fosse diffusa capillarmente su tutto il territorio italiano basta dare un'occhiata alle informazioni riguardo le diverse modalità di preparazione contenute in Consuetudini d'interesse nipiologico ed aspetti fisiopatologici "Consuetudini d'interesse nipiologico ed aspetti fisiopatologici," di Antonio Scarpa, 1969.

"Ad Aosta, Asti, Cuneo, Vercelli, si usa il decotto delle capsule immature private dei semi; a Biella, invece, lo sciroppo nella quantità di due-tre gocce; a Bergamo l'infuso di semi di papavero macinati; a Cremona lo sciroppo di papaverina; a Gorizia ed Udine, infusi, usando i semi a Trento. A Ferrara il papavero viene impiegato, ma non se ne conoscono le modalità; a Modena e Bologna in sciroppo; mentre a Forlì si usa la marmellata. Nella situazione di Ferrara trovasi anche Ascoli Piceno. A Firenze, Pistoia, Arezzo si adoperano le capsule o i petali; a Terni ed a Roma si ricorre tanto al decotto che allo sciroppo, mentre a Benevento e ad Avellino è comune l'infuso, ottenuto dalle capsule. In tutto il Meridione viene impiegata la cosiddetta «papagna», costituita da un succhiotto di pezza che viene imbevuto in varie preparazioni di papavero.

Più particolarmente le segnalazioni del Meridione riguardano: Matera dove si fa una decozione di camomilla con aggiunta di qualche capsula di papavero; Potenza per la quale il modo di somministrazione non viene indicato; Bari dove si usano i fiori di papavero e la «papagna»; Brindisi con l'infuso; Taranto con la «papagna»; Lecce con la «papagna» e il papavero masticato dalla madre e messo in bocca al lattante: Cosenza con la «papagna» e il laudano; Catanzaro con modalità non meglio specificate; Reggio Calabria con la «papagna», il decotto ed il laudano. In Sicilia si ricorre alla papaverina e all'infuso somministrate, a cucchiaini. In Sardegna, infine, specialmente nella zona di Orneri, si usa il decotto delle capsule."

Il mistero della papagna è tanto fitto quanto affascinante: realizzare che intere generazioni precedenti alle nostre siano state cresciute a suon di oppiacei ed alcaloidi è quantomeno straniante, ma senza dubbio fa riflettere sulle campagne di proibizionismo. Nonostante la papagna il mondo ha continuato a girare, possiamo vedere questo fenomeno come un altro motivo per evitare di demonizzare indiscriminatamente tutte le sostanze stupefacenti?