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Tecnologia

I pesci non se la passano troppo bene nello spazio

Il monitoraggio in tempo reale delle ossa dei pesci a bordo della ISS ha rivelato dei mutamenti quasi immediati dopo l'arrivo a bordo.
Immagine: NASA/Philipp Keller/Stelzer Group/EMBL

I pesci che hanno viaggiato sulla Stazione Spaziale Internazionale nel 2014 hanno sofferto una riduzione quasi immediata nella densità ossea quando si sono scontrati con l'ambiente micro-gravitazionale presente in orbita. Questo secondo una ricerca recentemente pubblicata su Scientific Reports da un team di biologi del Tokyo Institute of technology che hanno condotto degli esperimenti di imaging remoto sui dei neonati pesci medaka appena lanciati nello spazio.

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I risultati ottenuti sono preoccupanti, ma non esattamente sorprendenti. Gli effetti della microgravità sulla densità ossea sono già stati osservati sugli astronauti umani a bordo della ISS, per cui la deteriorazione ossea è cominciata circa 20 giorni dopo l'entrata in orbita attraverso un processo che ricorda quello dell'osteoporosi. I meccanismi dietro questa meccanica, però, sono ancora sotto analisi, e la ricerca si sta consumando tenendo a mente sia i viaggi spaziali di lunga durata sia il potenziale emergere di scoperte utili per il trattamento dell'osteoporosi sulla Terra. E così abbiamo i pesci medaka, il cui processo di scheletogenesi è molto simile al nostro.

"In condizioni di microgravità si consumano diversi mutamenti al corpo degli animali, come spostamenti di fluidi, un aumento della pressione sanguigna e un generale stordimento," spiegano Akira Kudo, principale autore dello studio, e i suoi colleghi. "In particolare, la densità di minerali ossei in condizioni di microgravità diminuisce; ma non è chiaro come gli osteoblasti o gli osteoclasti rispondano alle condizioni orbitali."

Per comprendere meglio gli effetti biologici dello "stress microgravitazionale," sono due le varietà di cellula che bisogna osservare: gli osteoclasti e osteoblasti. I primi sono responsabili per la distruzione del tessuto osseo, e giocano un ruolo chiave nella riparazione e nella manutenzione delle ossa—Gli altri, invece, producono la matrice necessaria alla formazione ossea.

I ricercatori hanno potuto osservare l'attività di queste cellule da un laboratorio remoto, presso lo Tsukuba Space Center, utilizzando la fluoresceneza microscopica. Praitcamente, hanno creato un pesce transgenico capace di brillare se esposto a luci con diverse lunghezze di frequenza. I pesci sono stati cresciuti nel Cosmodromo di Baikonur, la base di lancio Soyuz in Kazakhstan, dopo che Akudo e colleghi hanno trasportato le uova dal Giappone.

I pesci hanno passato le prime sei settimane della loro strana vita nel sito di lancio prima di essere ricoperti da uno strano gel per il loro viaggio a bordo del volo Soyuz TMA-10M. Hanno poi passato i successivi due mesi a bordo della ISS. I primi otto giorni del loro soggiorno sono passati sotto un microscopio a fluorescenza, mentre i ricercatori sulla Terra osservavano il comportamento delle cellule ossee dei pesci in tempo reale. Queste osservazioni sono state messe a paragone con quelle effettuate su un gruppo di controllo di pesci medaka sulla Terra.

I marker genetici per entrambe le varietà di cellule ossee sono aumentati considerevolmente nel gruppo di controllo sulla Terra. Il primo giorno, questo incremento è stato osservato negli osteoclasti, ed è rimasto tale per otto giorni. Negli osteoblasti, l'incremente è arrivato quattro giorni dopo l'arrivo sulla ISS. L'aumento degli osteoclasti è stato osservato in particolare in due geni ossei molto specifici: l'osterix e l'osteocalcina. Normalmente, questi geni appaiono in diversi fasi dello sviluppo del pesce, e l'osterix si manifesta diversi giorni prima dell'osteocalcina. In questo caso sono apparsi simultaneamente, rappresentando così un nuovo indizio utile nella comprensione delle meccaniche fondamentali al decadimento osseo legato ai viaggi spaziali e, forse, anche alla comprensione dei meccanismi dietro l'osteoporosi.

Ovviamente stiamo parlando ancora di pesci cresciuti su una stazione spaziale, quindi c'è ovviamente bisogno di effettuare altre ricerche se vogliamo applicare queste conoscenze sugli esseri umani. Ma per ora, sulla carta, Kudo e il suo team affermano l'esistenza della possibilità di aprire la loro ricerca a un nuovo, intero campo di ricerca: la "biologia gravitazionale."