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Musica

La crociera di Salmo è stata una specie di miracolo

Red Bull Open Sea Republic, una crociera piena di rapper e gente di ogni tipo, senza regole né polizia. Poteva essere un disastro, invece ha mostrato il volto migliore del rap italiano.

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Porto di Olbia. Son qui nel backstage, Salmo tra un po’ scende da questo balcone blu e suona sul palco più grosso della crociera (la sua, anzi diciamo sua e di Red Bull Open Sea Republic). Oltre Salmo qui, che chiacchierano, ci sono una ventina di persone: Massimo Pericolo, Nitro, Ketama126 e altri col pass “Musician”, ma pure produttori come MACE, Slait, Frenetik&Orang3, e noi giornalisti. Per un po’, per gli occhi miei che poi di questo evento dovrò scriverne, non succede niente di eclatante: solo che si chiacchiera, a gruppetti. Poi, a un certo punto, una scena che merita. Arriva un gruppetto di ragazze, tutte di quel tipo magra+bella+capelli lunghi, tutte maglietta bianca di un locale qui della Costa Smeralda e perizoma. Però ricevono quasi zero attenzioni.

Un tempo, in questo ambiente fatto di gente tatuata in faccia, adolescenze in periferia e passaggi da polo rubate a polo in edizioni limitate, di fianco a quei culi avrebbero sventolato mazzetti di banconote. Nel caso di videoclip o simili non sarebbero mancate pacche, pose da hey, I’m the hustler e così via. Ora nulla, zero. Potrei avvicinarmi per chiedere se ci sia o meno una collaborazione col locale, trovare una scusa per capire perché le ragazze (c’è pure un ragazzo con loro, uno solo, stessa t-shirt bianca) sono qui in questa specie di privé, ma è molto meglio stare a vedere le reazioni, gli sguardi e gli eventuali approcci. Niente: la mano più vicina a quella natiche è a tre metri di distanza, è disinteressata, e tiene un drink. Ma anche gli occhi: non sono riuscito a beccare uno sguardo di un rapper, di uno solo, che potesse anche lontanamente essere indirizzato verso quei culi. Le ragazze poi, dieci minuti, vanno via.

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Mi si avvicina una collega, sempre giornalista, un paio di anni in più di me, e mi fa notare che per essere un privé pieno di rapper non c’è chissà quale bordello, nessun comportamento esagerato, nessuna cosa sopra le righe.

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Franco126, Gemitaiz

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Salmo

Spiegazione: innanzitutto di questi tempi nessun personaggio famoso, e quindi nemmeno un rapper, vuole passare per “porco”. Sarà anche il #metoo, sicuro, ma soprattutto è il femminismo che finalmente si è fatto pop, ha influenzato direttamente e indirettamente enormi fette della nostra vita quotidiana, soprattutto nel mondo dello spettacolo. Basta farci caso: le tipe, nei video del nuovo rap e della trap, non ci sono più. E nei rari casi in cui ci sono hanno ruoli meno passivi e oggettificanti di un tempo. Non sono scelte opportuniste, non è che produttori e rapper stanno pianificando testi e video per essere apprezzati da noi giornalisti o dal pubblico femminista; semmai è che c’è molta voglia di dire la verità: le tipe le vorresti, ma quasi sempre non ce le hai. C’è un verso di Pericolo che rende l’idea: “Voglio tutte quelle cose che Gesù non vuole / Soldi e troie, ma per ora solo paranoie”.

Le ballerine che twerkano hanno sempre meno a che fare con l’immaginario del rap. Lo ammette Nitro quando in un suo pezzo canta che sarebbe vergine se non facesse rap, ma è evidente per chiunque: in questo mondo della musica le cose vanno a imbuto, ce la fa solo uno tra i mille e quello che ce la fa se lo ricorda bene, che all’inizio non hai niente, né soldi né tipe. Poi, se il mercato e le cose ti dicono bene, allora si passa dal niente al “Scelgo una tipa, nessuna dice di no / Me la portano in camera con una vodka”. Ma sempre con la consapevolezza che nessuna dice no solo perché, per qualche motivo, le cose sono andate per il verso giusto con la musica.

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Massimo Pericolo e i nuovi rapper, tutti arrabbiati, che urlano come urla Speranza, possono sembrare gente che dice cose sgradevoli: ma trasmettono sentimenti che sono comuni, sinceri. I rapper come ambasciatori dei sentimenti degli incel? Forse un filo sì, anche se può sembrare assurdo, perché è gente intelligente (chi se li immagina come dei tossici sbaglia tutto) che subisce le turbolenze emotive del proprio mondo e in fondo sa che la follia di un mercato da tutto-o-niente fa male, crea disagio. Si passa da fumare “canne a sgamo dietro al reparto” agli "sbatti da ricco tipo / Devo lavare jeans griffato / Al contrario la maglia Armani a mano”.

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Frenetik&Orang3, Victor Kwality

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Speranza

C’è un pezzo di Salmo e Fibra, (l’hanno ballato e cantato tutti qui sul ponte della nave) che a un certo punto fa: "Più soldi fai più ci sono drammi", e sicuramente è vero. Dalla provincia povera e disagiata puoi pure scappare, ma poi dell’ansia e delle paranoie non te ne liberi mai nemmeno se fai il cash. Perché è così che funziona un mercato schizofrenico come questo: ad ascese e discese velocissime e impossibili da sostenere, se non con l’aiuto di alcol, droga o tranquillanti. E tu, rapper, questo disagio non lo sfoghi più verso l’esterno, ostentando soldi e ballerine, ma lo interiorizzi, lo sfoghi su te stesso con beveroni alla codeina e testi intimisti. Se la trap diventa emotrap c’è un motivo.

Un tempo, magari, nell’hip hop il musicista di successo portava avanti lo storytelling dell’uscita dal ghetto: "Prima andava male perché ero povero, ora sono ricco e tra droga e tipe faccio la bella vita”. Ora i rapper sono più intelligenti e più sinceri, i soldi magari li ostentano ancora, ma molto meno, e anziché fare finta che sia tutto risolto dicono la verità, scrivono canzoni introspettive e piene di ansie (quelle di Massimo Pericolo, ma anche di Ketama) o persino canzoni d’amore ("Il cielo nella stanza" di Salmo).

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*Ah, a proposito di Ketama, quando dice “se muore un tossico a nessuno frega un cazzo, a meno che quel tossico non sia tuo padre o il tuo ragazzo”, non è solo che dice la verità, ma dice la verità degli ultimi di cui non si occupa nessuno: di tossici e di cosa subiscono i carcerati non se ne occupa la sinistra, anche se dovrebbe occuparsi degli ultimi, e nemmeno il femminismo, perché alla fine tossici e carcerati son tutti maschi.

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Nic Sarno, Crookers, Massimo Pericolo

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Ketama126, Massimo Pericolo, Crookers

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Le grandi navi, ed è una regola che vale sempre, son posti strani, con un mood tutto loro. Sono labirintiche, con l’odore di salsedine sul metallo fuori e quello di disinfettante sulle poltroncine dei ponti e delle cabine dentro. Farci un evento, un festival di due giorni, non è una cosa facile: devi cambiare il sapore di traghetto con quello di festone, devi mettere in sicurezza una decina di concerti, far suonare Franco126 senza transenne in uno di quei teatri rosso scuro e in penombra dove di solito hai l’animazione per gli anziani, devi montare un palco (un palco vero) davanti alla piscina sul ponte principale facendo in modo che al posto del pogo ci sia gente che si tuffa, ma con qualcuno che vada e ripescarli se serve. Una festa del genere non credo l’abbia mai fatta qualcuno, sicuramente non in Italia, ed è andata bene. Mille ragazzi da mezza Italia, gente che ha preso aerei per andare a Genova a imbarcarsi, tutti a seguire un evento che, per la scena rap e trap italiana, può essere un po’ una svolta: perché la nave diventa una zona franca, durante la traversata non prende nemmeno il telefono. Non hai internet, solo Crookers che suona su uno dei ponti, e altri due concerti in contemporanea. Una cosa così non puoi farla in città, non con quei volumi, non per 48 ore di fila.

Io, che alla fine sono noioso e ormai c’ho trent’anni, a un certo punto me ne sono anche tornato in cabina a dormire, ma centinaia di ragazzini alternavano piscina, concerti, sigarette sul ponte affacciato sul mare e drink comprati col braccialetto apposta. Due giorni così sono quasi romantici, da sogno adolescenziale dove metti su una nave giovani, musicisti e te ne vai a largo dove non ci sono regole, polizia, orari e leggi da rispettare. Ma chi si immagina perdizione e degrado sbaglia completamente. Anzi, la cosa interessante è che per il clima che c’era, dovevi davvero essere Giovanardi per scandalizzarti e guardare la situazione col ditino alzato: erano tutti gentiluomini. Non una rissa, non una persona molesta (poi magari una, una sola, c’era pure chissà), ma io non ho visto altro che divertimento e rispetto per gli altri. Rispetto anche per chi aveva bevuto un drink in più, per chi aveva un aspetto più alternativo.

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MACE e Salmo

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Dani Faiv, Nitro e Slait

Così: arrivi in una crociera piena di fan del rap, di musicisti e gente con capelli rosa, tatuaggi in faccia e capelli doppia-base da periferia, e ci trovi un ambiente inclusivo, sereno, vivibile. La cosa può sorprendere solo perché i giovani, in un paese di vecchi scorbutici e perbenisti, vengono ancora raccontati male, capiti male, visti male e interpretati anche peggio. È una verità banale, ma ogni tanto va ripetuta: le giacche e le cravatte non valgono più di una tuta Givova. Anzi forse, a doverci scommettere dei soldi, si trovano più violenze, più giochi di potere, più sessismo, più omofobia e soprusi nei posti con la gente vestita “per bene” che in un festival rap, il genere musicale giudicato “irrispettoso verso le donne”, “omofobo” e così via. Non sto facendo un discorso sul passato eh, anche oggi è così, siamo ancora circondati da pregiudizi ammuffiti: basta andare a vedere cosa si è detto sui giornali di Sfera Ebbasta. Orde di editoriali che sembravano scritti dalla moglie di Ned Flanders.

Quindi? Quindi speriamo che Salmo la crociera la rifaccia (lui dice di sì, una all’anno d’ora in poi) e speriamo che altre aziende come Red Bull lo aiutino a farlo, che non è scontato. Più soldi a questi ragazzi coi tatuaggi in faccia e gli occhiali da sole anche di notte, più navi in cui c’è musica fino alla sei del mattino, più porti che le ospitano (sempre meglio dell’idea “per bene” dei porti chiusi, del “buonsenso” da salvinisti, che è buono solo se la tua idea di mondo ideale è un eden leghista, proibizionista e noioso). Ma anche, oltre che più soldi, più possibilità di organizzare cose come questa, muovere persone, proporre un modello di vita inclusivo, in cui artisti e fan si incrociano nei corridoi senza muri, transenne o buttafuori. Perché i soldi non bastano, ci vuole influenza: Kendrick Lamar ha fatto bene alla politica americana perché ha portato istanze, una voce… ecco, speriamo che pure i rapper di casa nostra facciano lo stesso qui.

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Il pubblico di Franco126

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Franco126

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Oh, poi, ultima cosa che secondo me vale la pena dire. Il mondo del mercato è vario: ci sono mille modi in cui i soldi vanno da un posto all’altro in cambio di qualcosa. E se un rapper organizza una crociera fa incontrare due pezzi molto, ma molto diversi di mercato: 1) il music business che è dinamico, anche volubile, ma punta tutto su trend, soddisfazione e gusti dei consumatori e 2) il mercato del trasporto marittimo, che è un carrozzone farraginoso e mal organizzato, un oligopolio che, almeno in parte, funziona da stipendificio: zero efficienza. Questo incontro tra due mondi lontanissimi si vedeva, e a volte faceva anche ridere. Tipo nel ristorante della GNV, dove alcuni del personale ti trattavano come ti tratterebbero nel peggior ufficio pubblico di Catanzaro.

Non è una critica alla nave di Salmo—non puoi scegliere una compagnia navale efficiente in Italia, son tutte così—ma un complimento: ha portato una ventata d’aria fresca, ha fatto incontrare tipi umani che non si incrociano mai. E grazie a eventi del genere c’è speranza anche per questi mercati chiusi e autoriferiti, come essere invasi da rapper, fan e giovani. Insomma, magari fosse che il mercato (1) si mangi, annienti, colonizzi il (2).

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Salmo

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Salmo

Salmo, parlando con noi giornalisti, diceva che oggi, nel suo mondo (cioè nel mercato musicale), non ci son soldi e per farcela devi essere il manager di te stesso, devi essere esperto di tutto, di palchi, di strumenti, di videoclip… non solo ha ragione a dirlo in modo che si sappia, che per stare a galla in un mercato difficile tocca spaccarsi il cervello imparando cose diversissime. Ma si può anche dire che questo è un concetto che lui dimostra continuamente, visto che—per esempio—riesce a stare dentro il mondo della trap continuando a fare concerti con gli strumenti, ed è l’unico rapper italiano ad aver tirato su un brand come Doomsday Society, che ormai è una realtà seria tanto quanto le case di moda che sponsorizzano gli altri rapper, con la differenza che non è un brand che veste Salmo, ma il brand di Salmo (e dei suoi colleghi, giovani talenti che hanno fatto la gavetta nell'underground come lui).

Insomma, ce ne fossero di pezzi di scena di questo tipo che arrivano a essere così influenti da fare eventi così grossi e importanti. Fa bene perché, lo dico di nuovo, questo qui è un mercato di bravi, di talentuosi e di gente che si ammazza a imparare cose si impone sul mercato opposto, poco competitivo, fatto anche di gente che si impegna meno, che fa le cose peggio, proprio tipo quelli del ristorante della GNV, gente che magari così, piano piano, si apre un po’ a come va il mondo. E le cose vanno meglio.

Enrico è su Instagram.

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