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Tecnologia

Perché insultare Mattarella sui social non è per niente una buona idea

Un'offesa scritta su Twitter equivale a qualsiasi altra offesa pubblica, il vero problema è che molti non sembrano averlo capito.
Immagine via Facebook

Se leggete Motherboard probabilmente ne sapete abbastanza del mondo di internet da capire che insultare chiunque su una qualsiasi piattaforma può essere molto rischioso. Se poi si insulta la più alta carica dello Stato, come è avvenuto in questi giorni nei confronti del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, le possibilità di pagarla cara aumentano a dismisura. In un periodo di delirio istituzionale, in cui Mattarella è chiamato a esercitare una specie di autorità assoluta, molti utenti hanno espresso delle opinioni più o meno condivisibili sul suo operato. Alcuni di questi però, come spesso accade, ci sono andati giù pesante, tanto che la Digos e la Polizia Postale hanno avviato le indagini e la Procura di Palermo, nella giornata di ieri, ha ufficializzato i nomi di tre indagati.

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L'articolo 278 del Codice Penale, Offesa all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica parla chiaro: "Chiunque offende l'onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Il reato si consuma quando sia comunicata, con qualsiasi mezzo, un'offesa relativa alla persona del Presidente della Repubblica sia in riferimento a fatti che ineriscono all'esercizio o alle funzioni cui è preposto, sia a fatti che riguardano l'individualità privata, anche in relazione anteriori all'attribuzione della carica." Quindi che si insulti il Presidente per il suo operato o per la sua persona, che lo si faccia a un concerto punk hardcore o su Twitter, con un tono più o meno minaccioso, per la legge è irrilevante.

Probabilmente, in momenti dal delicato equilibrio politico come quello che stiamo attraversando, ci sono solo più possibilità che le autorità decidano di avviare delle indagini sul web alla ricerca di violazioni. Ma per quanto il fatto di essere scoperti per un tweet o un commento su Facebook sia anche un po' questione di sfiga, non c'è vagheggiamento sulla libertà di parola che possa evitare la reclusione a chi viene condannato per questo reato. "Il legittimo diritto di critica, costituente un corollario della libertà di manifestazione del pensiero garantito dall'art. 21 Cost., può essere esercitato anche nei confronti del Capo dello Stato, ma trova un limite nel decoro e nel prestigio del medesimo," cita un il blog di diritto brocardi.it nella spiegazione dell'articolo 278.

Augurare la morte a Mattarella con il proprio profilo, o fare riferimento alla fine di suo fratello ucciso dalla mafia, come hanno fatto gli indagati, potrebbe non rientrare nella sfera di una manifestazione di pensiero legittima. Il che non vuol dire che la legge sia sempre corretta, o che si debba a tutti i costi censurare il proprio istinto anarchico o il proprio disprezzo per le istituzioni se non lo si ritiene giusto. Il punto, in questo caso, è che con tutta probabilità questi utenti di Twitter non avevano nessuna intenzione di apparire tanto sovversivi agli occhi dello stato da rischiare la galera. Semplicemente, viene da pensare, non erano coscienti del fatto che le piattaforme social sono dei non-luoghi con una risonanza "pubblica" tanto quanto un salotto televisivo o il parcheggio di un ipermercato. Una mossa ingenua che potrebbe costare loro dall'uno ai cinque anni di carcere, e che speriamo che tutti gli utenti di internet imparino a evitare in futuro.

Articolo scritto con il contributo di Vincenzo Tiani

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