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Quali sono le vere conseguenze economiche e finanziarie della Brexit?

In seguito alla Brexit abbiamo assistito al crollo della sterlina, miliardi bruciati in poche ore, e i mercati mondiali a picco. Per capire se queste notizie hanno un impatto sulle nostre vite quotidiane, abbiamo parlato con un esperto.

Banchieri della City di Londra. Foto di Chris Bethell.

Il giorno dopo il funesto referendum sulla Brexit, mentre la maggior parte di noi cercava di capire se aveva ancora l'opzione viaggio low-cost a Londra e cosa sarebbe successo a livello pratico, le prime conseguenze finanziarie del risultato erano già evidenti. Più precisamente si parlava del crollo della sterlina, di 411 miliardi di capitalizzazione bruciati dalle borse europee (o un miliardo al minuto,) e di mercati mondiali a picco. Adesso, nonostante sia chiaro a tutti che non si tratti di notizie positive, la maggior parte di noi non possiede le competenze né il tempo per poter decifrare questo genere di informazioni.

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Così, mentre ci troviamo di fronte a notizie di banchieri pronti a lasciare Londra, miliardari che bruciano, analisti che prevedono ricadute sullo spread e l'economia interna, e confronti tra la crisi che ci spetta e quella del 2008, la reazione è di un velato panico surclassato dal forte senso di impotenza verso un mondo, quello dei mercati, che sembra troppo astratto per poterci riguardare direttamente.

Per cercare di capire se questi numeri hanno un impatto sulle nostre vite quotidiane, ma anche se vale la pena prenderli in considerazione, ho contattato Fabio Sdogati, professore di Economia Internazionale al Politecnico di Milano.

Questa foto non ritrae i mercati in seguito alla Brexit. Foto via Flickr.

VICE: Il giorno dopo la Brexit, i giornali parlavano di 411 miliardi di capitalizzazione bruciati dalle borse europee. Cosa vuol dire? Sono soldi che esistono nel mondo reale?
Fabio Sdogati: No, quei soldi non esistono. Non sono parte della ricchezza della famiglia e delle imprese, sono semplicemente titoli di credito e titoli di debito i quali smettono di esistere e che non hanno nulla a che vedere con l'economia reale.

Quindi sul piano reale, per la vita delle persone, queste perdite non significano niente.
Su quella che noi abbiamo stimato essere una porzione di circa l'80 percento della popolazione—la quale non possiede azioni né obbligazioni—quei soldi non hanno alcun valore.

Poi c'è un 15-20 percento circa, che è anche la parte più ricca della popolazione, che invece possiede questi titoli. Quella percentuale soffre o gode—dipende dalla parte in cui sta—di questi movimenti del mercato. Per il resto di noi, il mercato finanziario non ha quasi alcun impatto.

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Sono soldi che vengono recuperati con la stessa facilità con cui vengono persi?
Assolutamente no. Le crisi sono rapide e violente e per recuperare occorrono mesi o anni. Se guardiamo il 2008 e la crisi generata dal sistema del credito, quindi delle banche, ci è voluto molto prima di uscirne. Anzi, sul piano dell'economia reale l'Italia ancora fatica.

Si sono sentiti pareri diversi sulle conseguenze economiche della Brexit. Alcuni hanno paragonato l'accaduto al crollo della Lehman Brothers del 2008. Secondo lei si tratta di situazioni analoghe?
A mio parere i due avvenimenti non sono paragonabili: la Lehman era una storia privata, questa è una storia pubblica, una storia di istituzioni. Il Brookings Institution—un centro di ricerca statunitense—ha paragonato in via di principio quello che sta succedendo con il Regno Unito al crollo dell'Unione Sovietica. Quello che può succedere in conseguenza alla Brexit non è rilevante dal punto di vista finanziario; l'aspetto grave è rappresentato dal fatto che si potrebbe disintegrare la Gran Bretagna. Si tratta di un paese enormemente diviso, a livello generazionale, sociale e geografico—che rischia di perdere pezzi importanti come Irlanda del Nord e Scozia. Il problema vero è questo: non è finanziario come il caso della Lehman, ma un problema che nel lungo periodo si può rivelare di natura geopolitica.

E, chiudendo il cerchio, questo come si traduce sui mercati?
I mercati sono un'altra cosa dall'economia, questo deve essere molto chiaro. Voi giovani siete cresciuti in una fase in cui la parola mercato è stata santificata. I mercati sono della gente che compra e che vende: chi compra spera che il prezzo salga e chi vende spera che il prezzo scenda. Quando accade una cosa qualunque—ricordo bene l'attentato a Reagan, quando il dollaro si abbassò del 5 percento in venti minuti—i trader comprano e vendono immediatamente sperando di farci dei soldi.

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Questo non riguarda le persone come me o come lei, che facciamo parte dell'80 percento. L'effetto reale è la possibilità della fine effettiva dell'illusione dei britannici di essere ancora un impero. Si tratta di un problema politico, più precisamente di shock geopolitico.

L'effetto di — Luciano Fontana (@lucfontana)28 giugno 2016

Mario Draghi ieri ha parlato di un impatto negativo sul PIL dell'Eurozona fino allo 0,5 in tre anni. Come commenta la dichiarazione e cosa significa?
Draghi ha probabilmente ragione; gli effetti non si cominceranno a sentire prima della fine di quest'anno, in tutta probabilità l'anno prossimo.

Il problema è di natura psicologica: le persone cominceranno a essere intimorite da ciò che potrebbe succedere e quindi aumenteranno i tassi di risparmio. Chi lavora in un'azienda posseduta in tutto o in parte da capitale britannico, per esempio, avrà paura di perdere il lavoro in Italia e reagirà di conseguenza. Non vedo effetti positivi sull'economia reale a partire dall'anno prossimo, ma ovviamente tutto dipende da come andranno le contrattazioni.

Parlando di contrattazioni: crede che l'incertezza sia la condizione peggiore come in molti stanno suggerendo in questi giorni?
Continuano a ripeterlo tutti ma non è vero. Non capisco come potrebbe esserlo: incertezza vuol dire semplicemente che siamo dove eravamo. Sinceramente non capisco cosa possa interessare al giornalaio sotto casa mia se la Gran Bretagna esce o non esce.

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Potrebbe rappresentare un problema per chi possiede un'impresa: se io esporto un macchinario italiano in Gran Bretagna e non so cosa succederà, posso accusare l'incertezza. Ma se sono competitivo continuerò a esportare.

Parliamo invece del crollo della sterlina, che è al minimo dal 1985. Ancora una volta, in termini pratici questo cosa comporta?
Per me, per quell'80 percento a cui facevo riferimento prima, non vuol dire assolutamente niente. Io continuerò a comprare quello che compro allo stesso prezzo. Il consumatore si accorgerà che il prezzo della sterlina è caduto solo nel caso in cui l'importatore italiano di merci britanniche dovesse passare sul prezzo in Italia la caduta del prezzo della sterlina. Se la sterlina si deprezza del dieci percento, al supermercato il consumatore comune non se ne accorge, perché il distributore italiano delle merci fatte nel Regno Unito non passa al supermercato una caduta del prezzo pari a quello della sterlina. Lo lascia invariato.

Se ne potrebbe accorgere l'esportatore italiano, perché ovviamente la merce italiana a parità di costi in euro verrebbe a costare più sterline. Io credo che queste però siano situazioni molto poco rilevanti: se la merce è buona questi effetti sul cambio non hanno alcuna durata rilevante.

Allora come spiega tutta questa attenzione al crollo della sterlina?
Con il fatto che tutti sono alla ricerca dell'indicatore che spieghi loro se il mondo va bene o male. La sterlina va bene o male a seconda che tu le abbia scommesso a favore e contro. Non sono i cambi che cambiano la vita, è la produttività: è quella che fa la sfortuna o la fortuna del paese, il cambio non c'entra niente.

Quindi, per chiudere, lei crede che la Brexit sia più preoccupante a livello geopolitico che a livello economico.
Nel breve periodo vedo forti ripercussioni sui mercati finanziari, grande volatilità, grandi perdite e grandi profitti. Nel medio, effetti non positivi sull'economia europea in generale. Infine nel lungo periodo l'effetto veramente importante è la potenziale scomparsa del Regno Unito.

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