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Tecnologia

Com'è l'internet nell'era del cybersquatting?

La giustizia di internet sta cominciando a perseguitare i cybersquatter? Non esattamente.
via WorkBetter.com

Internet, al netto della pedopornografia, degli snuff movie e delle aziende di sorveglianza ingarbugliate in beghe legali, è un bel posto.

Nella vastità della rete è possibile raggiungere qualunque luogo facendo riferimento ad una semplice stringa di numeri, gli IP, ma visto che ricordarsi una serie di cifre è piuttosto scomodo, siamo anche riusciti ad inventare il domain name system, un modello per il quale ogni indirizzo IP corrisponde ad un nome più semplice.

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Proprio a causa di questa architettura, una delle fasi più importanti nella creazione di un sito web riguarda la scelta del nome, visto che favorirà poi il posizionamento e la raggiungibilità del sito stesso. Era quindi ovvio che, prima o poi, qualcuno si sarebbe ritrovato a volere un dominio internet che qualcun altro aveva già preso. È il caso di tantissime aziende e startup, che spesso si ritrovano a non poter registrare il loro amato www.nomeazienda.com.

La prassi in questi casi è di contattatare il detentore del dominio e cercare un accordo amichevole, oppure tornare al tavolo da lavoro e inventarsi un altro nome. Nei casi più eclatanti si impugnano le carte che testimoniano la registrazione del marchio e in men che non si dica quel www.coca-cola.com reindirizzerà alla pagina della bibita e non a qualche strano ristorante in Venezuela.

È il caso di Jason Kneen, un programmatore che una quindicina di anni fa si era prodigato nell'acquisto di circa un centinaio di domini. Tra i tanti c'è anche www.workbetter.com, che nell'aprile dell'anno scorso è finito sotto gli occhi di OfficeLinks, una startup che offre spazi di co-working.

Harsh Mehta, CEO di OfficeLinks, vuole il dominio, è disposto a pagarlo, ma Kneen non vuole darglielo: la paura è che Mehta glielo voglia comprare per poi rivenderlo a qualche cliente più grosso, ma Mehta ha la coscienza pulita e gli offre un accordo per il quale, in caso di rivendita, Mehta avrebbe pagato a Kneen un compenso; niente da fare.

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Così Mehta si rivolge ai suoi avvocati, e il 29 giugno 2015 Kneen riceve una chiamata da un magazine che si occupa di domini di siti internet—un intero magazine che parla solo di URL: wow. In pratica era partita una procedura legale nei suoi confronti, senza che lui lo sapesse. L'accusa era di cybersquatting.

Si può parlare di cybersquatting quando:

  • il detentore del marchio possiede un marchio che è uguale o molto simile al dominio di secondo livello registrato
  • colui che ha registrato il dominio non ha diritto o interesse a possedere quel dominio; e
  • il dominio è stato registrato e utilizzato in cattiva fede.

La faccenda non ha dell'incredibile, visto che sono entrambi piccoli nomi, ma come espone giustamente TechCrunch, crea un precedente per il quale qualunque azienda o startup può, di fatto, appropriarsi di un dominio nel momento in cui le tre condizioni elencate sopra sono soddisfatte. Questo sembra essere un classico caso di cybersquatting?

Forse sì, ma non lo è per il giudice Kaplan, che ha letteralmente demolito l'accusa dell'avvocato di Mehta: in buona sostanza il legale di Mehta, parlando della natura da manager internazionale di Kneen, affermava che il suo non vendere il dominio a Mehta fosse un'azione palesemente in cattiva fede.

Kneen Transcript of Preliminary Injunction Hearing-2

Kaplan ha risposto in maniera piuttosto eloquente, chiedendo all'avvocato di Mehta in che modo potesse considerarsi "manager internazionale del mercato dei domini" un uomo che in 16 anni di attività era riuscito a venderne due, e ha ribadito il diritto di Kneen di acquistare qualunque dominio voglia e di decidere se cederlo o venderlo a qualcun altro.

Il caso potrebbe essere fortunato, ma per una volta un giudice ha messo da parte la meccanicità dell'era di internet ed ha messo al primo posto il diritto fondamentale di un essere umano di guadagnare quanto voglia dalla vendità di un bene in suo possesso.