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"The Russian Woodpecker" racconta il complotto dietro il disastro di Chernobyl

E se l'incidente nucleare più grave della storia non fosse stato un incidente?

Nella notte del 26 aprile 1986, un reattore della centrale nucleare V.I. Lenin di Chernobyl, Ucraina, ha sputato fuori una nuvola di materiale radiattivo che ha contaminato pesantemente l'area circostante, arrivando a toccare anche vaste aree dell'Europa e dell'America. Quello di Chernobyl è stato il più grave incidente nucleare della storia, collocato insieme a quello di Fukushima al livello più alto della scala INES che misura la gravità degli eventi radiologici. Secondo un report di Greenpeace, allargato a tutti i casi di malattie tumorali riconducibili in qualche modo al disastro, in questi 30 anni il numero di morti ha raggiunto i sei milioni.

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Se da quella notte il dibattito si è concentrato soprattutto sulla legittimità o meno dell'uso dell'energia nucleare, e sullo studio delle conseguenze, nessuno sembra aver davvero indagato approfonditamente sulle cause, anche perché la maggior parte dei documenti sono andati distrutti o sono inaccessibili. "Il complotto di Chernobyl - The Russian Woodpecker" è un documentario del 2015 diretto e prodotto da Chad Gracia che indaga sulle modalità dell'incidente da una prospettiva inedita, ai limiti del complottismo. Il film, che a un anno dall'uscita ha ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali, esce oggi in Italia.

The Russian Woodpecker di FilmBuff su Vimeo.

Ambientato nell'Ucraina rivoluzionaria del 2014, ha come protagonista un artista di nome Fedor Alexandrovich che indaga sulle cause del disastro nella convinzione che nell'Unione Sovietica del 1986, spietata come sempre e sull'orlo del declino, niente accadesse per caso.

Quello di Chernobyl, infatti, è stato l'unico grande incidente ambientale attribuito ufficialmente a un errore umano e l'ipotesi di Fedor è che qualcuno di politicamente influente abbia dato il preciso ordine di far esplodere il reattore. Ma perché provocare di proposito un disastro del genere? Chi avrebbe avuto i motivi politici e il potere per farlo?

Secondo l'azzardata ricostruzione dell'artista, che a tutti gli effetti è un sopravvissuto del disastro—a parte le ossa impregnate di stronzio—l'esplosione avrebbe a che fare con un radar enorme costruito nei pressi della centrale, il DUGA. Si trattava di un'antenna gigante la cui funzione, in piena Guerra Fredda, doveva essere quella di intercettare con un vantaggio di 25 minuti il lancio di eventuali missili da parte degli Stati Uniti. Un investimento paranoico e spropositato che, stando alle testimonianze raccolte da Fedor, si aggirava intorno a i 7 miliardi di rubli, più del doppio della cifra necessaria per costruire la vicina centrale.

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Ma il DUGA, rimasto attivo dal 1976 al 1989, non era tanto noto per la sua funzione di scudo missilistico quanto per il suono fastidioso che emetteva. Nel luglio 1976, infatti, le radio a onde corte di mezzo mondo hanno iniziato a intercettare dei segnali tra i 4 e i 30 MHz talmente potenti da creare problemi agli aerei di linea e ai circuiti telefonici europei. Questo suono insistente, causato di fatto dalle potentissime onde radar, è stato soprannominato negli USA The Russian Woodpecker, il picchio russo.

Il luogo d'origine del suono è stato individuato dalle autorità americane piuttosto facilmente, un po' meno chiara, però, era la sua funzione—nel delirio della propaganda antisovietica, alcuni ipotizzavano che si trattasse di un tentativo subliminale di controllare le menti degli avversari, altri di un modo per spiare le comunicazioni occidentali.

La questione del radar diventa centrale nell'indagine di Fedor quando alcuni dei tecnici che ci avevano lavorato gli confermano che in realtà, in quanto scudo missilistico, il DUGA non aveva mai funzionato. I segnali radar infatti, per quanto potenti, non erano in grado di superare efficacemente la barriera magnetica dell'aurora boreale. Un investimento di soldi pubblici spropositato, paranoico ma soprattutto inutile. Ed è qui che il cerchio del complotto si chiude.

[attenzione spoiler]

Il vero mandante del più grande disastro nucleare della storia sarebbe stato, secondo la ricostruzione del documentario, nient'altro che l'allora Ministro delle Comunicazioni che, nel tentativo estremo di distogliere l'attenzione del Partito e dell'opinione pubblica dal segreto malfunzionamento del DUGA, avrebbe ordinato l'esplosione del reattore in una telefonata di cui sono andate perdute le tracce. L'ipotesi, coraggiosa e sicuramente assurda, viene confermata però da alcune delle testimonianze raccolte.

"Sono ovviamente scettico nei confronti della maggior parte delle teorie del complotto," dichiara il regista in un'intervista "ma penso che finché i file e gli archivi riguardanti Chernobyl non saranno desecretati non potremo mai sapere la verità su quanto è accaduto. […] La gente in Occidente crede che Chernobyl sia un caso chiuso, ma in realtà ci sono molte domande irrisolte e molto materiale falsificato, a riprova che c'è un qualche tipo di insabbiamento. Non credo che possiamo sapere al cento per cento se la teoria di Fedor è giusta o sbagliata. Prima dovremmo vedere quei file."

Durante le riprese, comunque, Fedor Alexandrovich è stato più volte minacciato di morte dalla polizia segreta ucraina. Lo stesso cameraman è stato colpito alla mano da un cecchino in piazza Maidan durante le proteste. Poco dopo la fine delle riprese, inoltre, la Russia ha invaso la Crimea e la guerra civile ha avuto inizio. Che l'ipotesi del complotto sia più o meno credibile, nell'economia generale del film, diventa secondario.

Quello che emerge è un documentario sull'attuale situazione politica in Ucraina, ancora in tutto e per tutto succube dell'influenza russa, di cui un artista incompreso e pazzoide, perseguitato per le sue ricerche scomode, non è altro che il simbolo.