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Tecnologia

Il 2017 segnerà la fine di Youtube come lo conosciamo?

Abbiamo parlato con Alessandro Masala di Breaking Italy dello scandalo "Adpocalypse" scoppiato su YouTube.

Il 2017 potrebbe essere la fine di Youtube per come lo conosciamo. No, non lo diciamo noi, ma le decine di migliaia di ragazzi che, in tutto il mondo, hanno fatto di questa piattaforma la loro principale fonte di reddito e che ora rischiano di dover cambiare mestiere o quanto meno sito di riferimento.

Negli ultimi mesi le entrate degli youtuber sono calate mediamente di circa due terzi, con i principali brand che hanno smesso di investire in pubblicità sul sito e con Google che è stata costretta a introdurre una modalità con restrizioni pensata per il pubblico più giovane, oltre che a rivedere pesantemente l'algoritmo che decide su quali video far comparire la pubblicità —rendendoli monetizzabili — e su quali no.

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A far scoppiare la bomba è stato il London Times che, con un'inchiesta dello scorso 2 febbraio, fece notare come gli ads di marchi importanti comparissero in sovraimpressione su video a sostegno dell'ISIS, ma anche su altri contenuti particolarmente "discutibili", come quelli di un reverendo battista che ama ricordare al suo pubblico come "gli omossessuali siano dannati a bruciare all'inferno" o di un tizio che mostra come sia semplice fare a brandelli il giubbotto antisommossa della polizia inglese — per altro l'obiettivo di quest'ultimo era quello di denunciare un problema e non quello di incoraggiare ad attaccare la polizia, ma vabè.

All'articolo è seguito, lo scorso 24 Marzo, un approfondimento del Wall Street Journal dove si è denunciato come, a distanza di quasi due mesi dall'inchiesta del Times, nulla fosse cambiato: gli spot di Coca-Cola, Amazon e Microsoft erano nuovamente su video che incentivavano a discriminare le minoranze o, comunque, mostravano contenuti a cui un'azienda seria non è esattamente intenzionata ad associarsi.

E mentre la stampa più o meno blasonata cercava di fare il punto della situazione su quello che era effettivamente un problema non banale, i tabloid inglesi —minore — ne hanno approfittato per sguazzare nel fango con titoloni del tipo "I blood money di YouTube". Le conseguenze non si sono fatte attendere, in un primo momento i marchi più grossi si sono dati alla fuga tornando solo dopo che YouTube ha deciso di garantire le entrate principali ai video family friendly, mettendo tutti gli altri contenuti — dagli scherzi, ai game play, ai video di attualità — in un unico calderone a cui lasciare letteralmente le briciole della monetizzazione pubblicitaria. Un disastro.

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Un disastro che ha portato molti content creator a esporsi in prima persona: ad esempio, i The Show in un video si sono paragonati a un'azienda con veri e propri dipendenti che ora rischia il fallimento; Favij ha caricato un video dal rassicurante titolo "La fine di YouTube?"; Yotobi, invece, ha parlato di come ogni youtuber abbia una data di scadenza scritta a chiare lettere sulla fronte e molti altri ancora hanno seguito a ruota con considerazioni, sfoghi e iniziative più o meno furbe per racimolare qualche entrata extra. Chi bazzica anche solo saltuariamente il mondo di YouTube sa bene che quello delle entrate economiche è una sorta di tabù. Insomma, se nonostante ciò moltissimi dei content creator più grandi hanno deciso di sedersi davanti a una telecamera raccontando di come dall'oggi all'indomani potrebbero trovarsi disoccupati la cosa è grave.

Ho visto scendere le entrate quasi a zero quando c'è stata la fuga di massa degli inserzionisti.

Per questo motivo Motherboard ha contattato direttamente Alessandro Masala di Breaking Italy, per farsi spiegare meglio gli effetti reali che ha avuto Adpocalypse (sì, è il nome che gli hanno dato) sui content creator italiani e fare il punto della situazione sul futuro di YouTube.

Motherboard: Quanto è grave la situazione?
Alessandro Masala: La situazione specifica è grave, ma è in via di risoluzione. È chiaro che YouTube in queste settimane stia facendo di tutto per attirare di nuovo gli investitori. Loro vanno dove ci sono le persone, non viceversa. YouTube è andata incontro alle esigenze degli inserzionisti inserendo questi nuovi algoritmi più stringenti. Google ha fatto damage control, ma si è poi spaventata dalla reazione di chi crea i contenuti: se si muovono tutti assieme andando da altre parti, con la concorrenza di Facebook, il discorso si fa impegnativo.

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Hai già avuto modo di vedere qualche cambiamento a livello di entrate in seguito al cambio di policy?
Certamente, ho visto scendere le entrate quasi a zero quando c'è stata la fuga di massa degli inserzionisti. C'è stato un crollo incredibile, non c'erano le pubblicità e tutto il sistema è andato giù. Ora c'è un piccolo recupero, è come se l'algoritmo pian piano stesse imparando a fare il suo lavoro. Il fenomeno più grande è che è palese ci sia una difficoltà. Si è dimostrato che il sistema non è stabile, ma è molto dipende dagli umori degli inserzionisti, da questi scandali; è molto soggetto a fluttuazioni.

Hai avuto modo di confrontarti con qualche altro content creator su Adpocalypse?
Certo, ho parlato con molte persone. Quando è sorto il problema tutti hanno cercato di capire cosa stesse succedendo. YouTube ha faticato a raggiungere i suoi creator, è uno dei problemi. Mi rendo conto che sia difficile parlare con tre milioni di youtuber in tutto il mondo, però ovviamente se non c'è una rassicurazione si crea il panico. Molti creator sono particolarmente giovani e quindi spesso non si tutelano. Iniziano a creare qualcosa, ma non si accorgono che la piattaforma non è di loro proprietà. Ciò che mete in crisi il sistema mette in crisi anche loro.

Che misure hanno preso ad oggi gli youtuber?
Non si può parlare dei content creator come di un unico "corpo", parliamo di persone che fanno cose diversissime, che hanno in comune solo la stessa piattaforma. È molto difficile trovare una strategia che vada bene per tutti. I The Show, per esempio, hanno lanciato la settimana scorsa una campagna Patreon, ma non necessariamente può essere una soluzione per tutti, loro hanno un pubblico molto affezionato.

Non si potrebbe creare un sistema alternativo per instaurare relazioni dirette tra sponsor e youtuber, ed evitare di essere associati a video sgradevoli?
È complicato. Alcuni lo fanno, quelli più in vista o che si occupano di cose facilmente accostabili (tipo: faccio Make-up, pubblicizzo Sephora). Ma per altri non è così semplice attirare l'attenzione degli investitori, spesso questi ultimi non comprendono nemmeno il mondo di YouTube, nonostante sia una realtà da 10 anni. Poi per alcuni inserzionisti è più semplice affidarsi alla piattaforma piuttosto che dover contattare decine di creators singolarmente. È una macchina gigantesca, non è affatto banale da bypassare.

Riusciresti a fare un confronto tra la situazione all'apice di Adpocalypse, e quella attuale con l'algoritmo che è stato perfezionato?
Diciamo che è un po' presto, ci vorrà tempo ma credo che la situazione si stia assestando. È stata anche una questione un po' mediatica, un modo per mandare un messaggio. Tutto è partito sui giornali e tutto è tornato sui giornali. Abbiamo visto titoloni dai tabloid inglesi, cose non vere come "I soldi sporchi di YouTube" o, addirittura, "YouTube supporta l'ISIS". Gli inserzionisti sono sensibili a queste cose, è come la Borsa, quando c'è un problema tutti si ritirano un attimo per studiare la situazione ma poi tornano a investire.

Dopo questa esperienza, se potessi parlare direttamente con il CEO di YouTube cosa gli chiederesti?
Le direi di parlare in modo più trasparente della situazione con gli youtuber, soprattutto quelli più importanti, perché poi diventa una scala a scendere ed eviti che si creino casini incredibili come questo.