"Cos'è una mail?" - Il mio anno da commesso della Apple
Foto dell'Apple Store sulla Quinta strada via Wikimedia Commons.

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"Cos'è una mail?" - Il mio anno da commesso della Apple

Una cosa che mi capitava spesso era di dover spiegare a qualcuno come usare la mail, spesso cominciando da "cos'è una mail."

L'estratto che segue è tratto dal libro Not Quite A Genius di Nate Dern, uscito negli Stati Uniti per Simon & Schuster. Lo trovi qui.

Alle elementari, non mi sembrava di essere uno bravo. Chris Shrek era uno bravo. Non aveva mai problemi con le parole difficili quando le leggeva ad alta voce davanti alla classe, e finiva sempre le verifiche di tabelline prima di tutti. Io non andavo male a scuola, ma non ero bravo. Andavo benino, e mi andava bene andare benino.

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Poi, un giorno, abbiamo tutti dovuto fare un test che si chiamava Iowa Test of Basic Skills, e io mi sono piazzato nell'uno percento dei risultati più alti. Le conseguenze principali sono state che ho dovuto lasciare la mia classe normale per le classi per allievi dotati con Chris Shrek e gli altri bambini intelligenti, e che i miei genitori forse hanno capito che ero un po' più intelligente di quanto i miei modi goffi avessero fatto credere.

"Nathan è un genietto," ricordo mia madre dire a un parente al telefono. E alla cassiera al supermercato. E a uno sconosciuto dal benzinaio.

Dopo che le insegnanti mi hanno detto che ero dotato, e dopo aver sentito mia madre dire in giro che ero un genio, ho lentamente cominciato a pensare a me stesso come a uno dei bravi. Mi piaceva essere uno di loro. Ogni volta che prendevi un bel voto, era come se la maestra ti facesse una carezza e ti dicesse che eri un bravo bambino. Un bel voto per un bambino è come un biscottino per un cane. Visto? Quando sei bravo, ti vengono in mente similitudini perfette come questa. Bellissimo.

All'università però ho fatto fatica, e questo mi ha fatto pensare che forse non ero poi così bravo, e tutto il periodo dei vent'anni non ha fatto che confermarmi quel dubbio. I vent'anni anzi sono stati un calcinculo lento e costante di lezioni di vita che si chiudevano con una qualche variazione dell'epifania "Be', forse non sono intelligente come pensavo." Ed è un'epifania che puoi continuare ad avere, perché puoi sempre scoprirti un po' più scemo di quanto pensassi di essere il giorno prima. Il paradosso di Zenone, solo che al posto di diminuire le distanze, ti sorprendi dell'esponenziale aumentare della tua stupidità. È divertente.

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Questa lezione mi si è scolpita dentro grazie agli innumerevoli modi in cui ho fallito nei miei "lavoretti". Dato che non ho subito ottenuto il lavoro dei miei sogni, dopo l'università—come avevo dato per scontato sarebbe successo a un piccolo genio come me—mi sono obbligato a dire "lavoretto" quando parlavo dei modi in cui portavo a casa soldi, qualunque fossero, un modo sottile per indicare che se, sì, quell'impiego in particolare era quello che avevo per pagare le bollette, avevo anche ambizioni molto più grandi che mi aspettavo di realizzare entro breve.

Vi consiglio di usare la stessa formula la prossima volta che qualcuno vi chiede cosa fate. "Be', ho un lavoretto in un'impresa di piante finte di medie dimensioni specializzata nell'arredo degli uffici. Ma non è la mia passione, non so se mi spiego."

Mi sono trasferito a New York dopo l'università per cercare di "sfondare nella comicità" e ottenere un lavoro che avrei potuto definire tale. Ma dato che Lorne Michaels non era venuto ad aspettarmi quando sono atterrato al JFK, nel mentre avevo bisogno di un lavoretto.

La mia serie di lavoretti post-universitari è cominciata in un negozio di scarpe da corsa sulla 14esima vicino a Union Square. Dato che al liceo e all'università avevo fatto parte della squadra di atletica, pensavo di avere le qualifiche necessarie per vendere scarpe da corsa. Protetto dal mio scudo di ingenuità, sono entrato nel negozio di scarpe JackRabbit e ho chiesto un lavoro. La persona che aveva la posizione per darmelo si trovava casualmente lì, ed era un maratoneta e store manager di nome Chris Bergland. Mi ha offerto un lavoro su due piedi. Ho cominciato quella settimana.

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Poco più di un anno dopo, in seguito a un breve periodo in Inghilterra per il master e un ancor più breve periodo come insegnante di scuola media a Brooklyn, mi sono ritrovato di nuovo alla ricerca di un lavoretto nella Grande Mela. Anche se mi rimaneva lo scudo di ingenuità, i suoi poteri attiralavoro erano scomparsi. Ho visitato bar e ristoranti, ma invece che offrirmi un lavoro su due piedi, mi veniva offerto solo il favore di accettare il mio curriculum e "tenerlo in archivio." Anni dopo, un mio amico cameriere mi ha rivelato che i ristoranti non possiedono nessun mitico archivio, a parte una spazzatura o, se sono ambientalisti, un cassonetto per i rifiuti riciclabili.

Tra un lavoro di catering temporaneo e l'altro, di quelli che mi rimediava il mio amico, coinquilino e aspirante regista Isaac, facevo stupidi sketch comici con gli amici. Rendendomi conto che gli impieghi temporanei non facevano per me, ho deciso di prendere la via corporate e fare domanda a quelle grandi compagnie che avevano fama di essere posti di lavoro "ok". Whole Foods e Starbucks non mi hanno risposto. La Apple sì.

A differenza di quello del negozio di scarpe, il processo di selezione della Apple è stato lungo. È cominciato con una application online a cui è seguito un colloquio telefonico, poi un colloquio di gruppo, poi un altro colloquio telefonico, poi un colloquio individuale. Pensavo di essere sulla buona strada per avere il lavoro, ma poi un messaggio del tizio delle risorse umane mi ha reso edotto che dovevamo "chiarire una cosa." "Nate, c'è qualcosa che devi dirmi?" mi ha chiesto al telefono, come una madre a un figlio appena scoperto a scofanare ali di pollo sul pavimento della cucina in piena notte.

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Ho pensato di dirgli che ero un piccolo genio, ma non mi pareva alludesse a quello. E poi, probabilmente glielo avevo già detto. "Non capisco, quale cosa?" gli ho detto. Ha cercato di aggirare l'argomento, ma poi ha vuotato il sacco. "Nate, abbiamo visto il video," mi ha detto. Si stava comportando come se fosse Leon Jaworski davanti a Nixon con le registrazioni. Solo che io onestamente non avevo ancora idea di cosa stesse parlando. Gliel'ho detto, e con un sospiro di disappunto, il reclutatore mi ha detto che si stava riferendo a uno sketch comico online in cui ero comparso qualche mese prima, che si intitolava "Evil Genius Bar" e che era stato scritto da un mio amico. Mi ha detto che avrei dovuto "togliere il video da internet." Gli ho risposto che non era possibile. Mi ha detto che "gli dispiaceva" e ha appeso. Immaginavo che non avrei avuto il lavoro. Tre settimane dopo mi ha richiamato come se quella conversazione non fosse mai avvenuta e mi ha offerto posto, chiudendo con "Congratulazioni! E niente più sketch sulla Apple, ok?"

Mi hanno preso nell'assistenza del negozio sulla Quinta, a cui si accede con un ascensore cilindrico di vetro che porta sottoterra da un angolo di Central Park. Un addetto all'assistenza Apple è un po' come un Apple Genius, ma non proprio. Invece che fare supporto tecnico, il nostro tempo era diviso tra riparare iPhone e lezioni al pubblico. Senonché non c'era molto che potessimo davvero riparare, quindi il nostro lavoro consisteva soprattutto nello spiegare alle persone che la garanzia Apple non copriva i danni dovuti all'acqua. Durante una di queste conversazioni mi sono impegolato a spiegare a una donna vestita Eilee Fisher dalla testa ai piedi che il vino vale come danno dovuto all'acqua, al che lei mi ha risposto, "Be', allora lo dovreste chiamare danno dovuto ai liquidi."

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Touché. Dato che il negozio era vicino all'Upper East Side, molti dei clienti con cui avevo a che fare erano newyorkesi ricchi e vecchi che avevano comprato un computer Apple perché era più bello esteticamente dei meno costosi PC (mentre i colleghi che facevano il turno di notte mi hanno raccontato che la loro clientela era fatta di turisti ubriachi che arrivavano con lo schermo appena spaccato, e a me sembrava una folla ben più dura con cui avere a che fare). Una cosa che mi capitava spesso era di dover spiegare a qualcuno come usare la mail, spesso cominciando da "cos'è una mail." "È una corrispondenza, ma elettronica!" non funzionava.

Pensavo che sarei stato un bravo maestro. Durante il mio primo turno, ho messo in piedi una lezione per un uomo dalla barba bianca di nome Walter. Era felicissimo di poter mandare mail ai suoi figli, che vivevano in Ohio e California. L'illusione di essere un buon maestro è svanita quando Walter si è palesato di nuovo durante il mio quarto turno, dopo essersi dimenticato tutto. Mi sono accorto che il mio lavoro non consisteva tanto nell'insegnare agli anziani a usare la mail, ma piuttosto nel controllare la loro posta in arrivo e aiutarli a rispondere. Venivano all'Apple store proprio come sarebbero andati alle poste.

"Cos'è questo? L.L. Bean? Perché mi scrivono?" "Sembra che si sia iscritto alla loro mailing list." "Che? Non l'ho mai fatto." "Be', forse l'ultima volta che ha fatto compere sul loro sito gli ha lasciato il suo indirizzo mail." "Cosa? Non è possibile. Non l'avrei mai fatto." "Ok, bene, allora le mostro come disiscriversi se—" "No, lascia stare. Magari dopo ci guardo."

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C'erano eccezioni. Ho aiutato una donna, Natasha, a creare un blog di moda. Ci siamo anche fatti un selfie insieme, cosa che un commesso della Apple non dovrebbe mai fare, e poi lei l'ha postato sul suo blog con un breve paragrafo sui miei capelli e i miei occhiali (un don't, ne sono certo). Dopo qualche settimana che non veniva a lezione, ho controllato e aveva fatto update e aggiunte al suo blog. Mi ha fatto risplendere d'orgoglio.

Una volta è arrivato un ragazzino di dieci anni, Roger, perché gli insegnassi delle cose—in pratica, perché gli facessi da babysitter. Come tutti i giovani, Roger era bravissimo coi computer. Tutte le nostre lezioni standard erano troppo facili per lui. Per passare il tempo, ho deciso di mostrargli il programma più difficile che conoscevo, Final Cut Pro. Mentre i miei clienti anziani avevano paura che il computer si sarebbe rotto se solo l'avessero acceso, Roger proseguiva senza scrupoli. Non aveva paura di sbagliare. Invece che chiedermi a cosa serviva una cosa, la cliccava, vedeva cosa succedeva, e poi si regolava. Nel tempo in cui io gli avrei spiegato un comando, lui ne aveva provati cinque ed era andato avanti. Era la dimostrazione del fatto che l'ADHD potrebbe essere un beneficio evolutivo, nel nostro mondo moderno saturato dai media e dalla tecnologia.

Verso la fine di quell'anno alla Apple, ho cominciato a rivedere la stessa cliente arrabbiata, ogni settimana. Chiamiamola Edith. Il motivo della sua rabbia era che pensava che il sistema operativo del suo computer fosse stato creato apposta in modo idiota come un affronto a lei. Non si ricordava mai che avevamo parlato già la settimana precedente. Ogni settimana la stessa cosa. "Sei un Genius?" sogghignava. "Non proprio," rispondevo con un sorriso scafato. "Sono un Assistente."

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Stringeva gli occhi sospettosa. Guardava agli altri clienti con invidia, pensando che i loro Genius stessero facendo un lavoro superbo nel rispondere alle domande, a confronto con il non-Genius seduto con lei. Ogni settimana se ne andava senza dire grazie, delusa.

Col passare delle settimane, ho cominciato a trovare affascinanti i concetti dei computer che Edith faceva fatica ad afferrare. Per esempio:

  • La metafora delle finestre multiple aperte una davanti all'altra la confondeva. Vedeva un unico schermo, e tutto quello che non vedeva per lei era scomparso. L'idea delle finestre sovrapposte non aveva senso. Era come un bambino che deve imparare la permanenza degli oggetti digitali. La metafora di una scrivania fisica con più fogli di carta che potevano essere spostati e piazzati gli uni davanti agli altri non funzionava.
  • Ogni elemento digitale era un "file". La differenza tra file, cartelle, documenti, programmi, applicazioni, software, sistemi operativi e browser era insensata o inutile. Edith chiedeva "Dove sono i miei file?" o "Il mio computer terrà i miei file al sicuro dai virus?" o "Posso usare questo per guardare i miei file?" e in ogni frase file indicava una cosa totalmente diversa.
  • Nel suo cervello non c'era una vera e propria differenza tra e-mail, internet e Google, e mi sembrava sempre sospettare che le stessi mentendo quando le spiegavo che erano cose diverse. Continuava a usare i termini come se fossero intercambiabili.
  • Ho cercato di essere paziente con Edith, ma era frustrante vederla così chiaramente delusa dalle nostre interazioni, ogni volta. Ogni settimana cercavo una metafora nuova. Alcune volte le lasciavo fare tutto, senza toccare trackpad o tastiera.

A volte prendevo il comando, pensando che se le avessi mostrato le cose nel modo giusto, avrebbe finalmente capito. Ma nulla funzionava. Le mie lezioni con Edith cominciavano a sembrare un mix di La forza della volontà e Ricomincio da capo, con un finale molto triste.

Alla fine, a corto di idee, ho deciso di provare una cosa che non avevo mai provato. Le avrei mentito. Le avrei detto che ero un Genius. "Sei un Genius?" mi ha chiesto con voce preoccupata. "Sì, sì." Il suo volto si è disteso. "Oh, grazie a dio." È stata felice e collaborativa per tutta la lezione. Ha ascoltato tutto quello che le dicevo e si è applicata. I concetti hanno cominciato a entrarle in testa. Per la prima volta, non sembrava impaurita dal suo computer.

Mentre il nostro tempo insieme finiva, mi si è fatta vicino e mi ha sussurrato, "Sei stato fantastico. La settimana scorsa ho fatto lezione con uno che era, resti tra noi, non proprio un genio." Mi ha fatto una carezza e se ne è andata. In generale l'avrei considerato un atteggiamento condiscendente, ma non mi interessava. La carezza mi aveva fatto sentire la persona più intelligente del mondo.

Mi sono dimesso dopo circa dieci mesi, un tempo sufficiente a riempire un sacco di faldoni di idee per sketch comici sulla Apple. Contattatemi se volete comparire in uno.

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