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Musica

Abbiamo chiesto a un neuroscienziato se la musica può insegnarti a parlare

Sì insomma, quel vostro compagno di classe in fissa con il jazz forse non era un totale coglione.

Ricordate quel vostro compagno di liceo un po' sfigato con cui interagivate il meno possibile? Sì dai, quello che ascoltava solo jazz e si ostinava a indossare terribili papillon a pois. Quando attaccava a parlare di "espressioni", "frasi musicali" e di quanto l'improvvisazione fosse basata sulla comprensione del "linguaggio" musicale, voi molto probabilmente alzavate gli occhi al cielo, gli sfilavate gli occhiali e poi lo pestavate. Ma, come è successo quasi sempre in passato, è emerso che anche in questo caso, i nerd ci avevano visto giusto. Tutti comprendiamo in linea di massima il concetto generale di notazione per musica strumentale, un linguaggio che, da Chopin a Miles Davis, possiede regole proprie, simboli e margini di incertezza, come ogni altro. Ma com'è possibile che l'ascolto di un brano jazz, di classica, minimalismo o pop riesca a scatenare lo stesso impatto emotivo su praticamente chiunque, senza distinzione tra chi è in grado di leggere la musica e chi non lo è?

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Al giorno d'oggi, solo una minima parte della popolazione può leggere la notazione musicale, ma quasi tutti afferriamo il messaggio che un brano musicale cerca di veicolare. Come possiamo coglierne i toni, gli umori e le intenzioni senza comprenderne il linguaggio? È possibile che la musica rappresenti una sorta di sistema di comunicazione universale dotato di poteri speciali?

I neuroscienziati stanno studiando il modo in cui il cervello elabora la musica, se analizza melodia e ritmo alla stesso modo di parole e frasi e quali conseguenze ne derivano per le questioni poste sopra. Attualmente è in corso anche un dibattito su cosa viene prima nel nostro sviluppo cognitivo: la disposizione naturale per il linguaggio o una sensibilità innata per la musica? Possiamo, in conseguenza di queste scoperte, adoperare la musica per aiutare persone che soffrono di disturbi del linguaggio?

La dottoressa Dominique Vuvan, ricercatrice all'International Laboratory for Brain, Music, and Sound Research (BRAMS) di Montreal, ha lavorato recentemente ad un articolo accademico intitolato "Sovrapposizione neurale nell'analisi della musica e del parlato", il suo lavoro evidenzia, nel cervello, una "comunanza" tra l'elaborazione della musica e quella del linguaggio. Ho telefonato a Dominique la settimana scorsa per saperne di più sull'effetto magico che la musica ha sul nostro cervello e sul perché, a tal proposito, il jazz in particolare, è speciale.

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Noisey: Ciao Dominque! Dunque, illustraci in termini a noi comprensibili, cosa si intende quando si fa riferimento a una sovrapposizione tra i modi in cui il cervello analizza musica e linguaggio?
Dominque: Allora, metti che le risposte a test che adoperano stimoli di tipo linguistico indichino attività in una certa parte del lobo temporale e che i test con stimoli musicali evidenzino attività nella stessa zona. Sembrano esserci le stesse attività neurali in risposta a test del linguaggio e test musicali. Sono questo tipo di risultati a portarci a supporre che esista una sovrapposizione tra il modo in cui elaboriamo musica e linguaggio.

Il problema è che a volte con "sovrapposizione" molti in realtà intendono "condivisione". La conclusione che cercano di trarre è che musica e linguaggio, per essere elaborate dal cervello, dipendono dalle stesse risorse neurali, ma questo potrebbe non essere del tutto corretto.

Chiaro.
Dieci o quindici anni fa, in occasione di una conferenza di musica cognitiva, lo psicologo Stephen Pinker ha dato il la a tutta questa serie di ricerche. In quell'occasione, ha definito la musica come una sorta di "ciliegina sulla torta del nostro udito", sostenendo che essenzialmente non è una capacità utile e funzionale alla sopravvivenza contingente; se paragonassimo le nostre capacità di comunicazione più elaborate ad una torta, la musica occuperebbe il posto di una semplice decorazione. Nell'ultima decade, idee come questa hanno alimentato la ricerca sulla sovrapposizione tra musica e linguaggio.

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Quindi Pinker ha sostenuto che in termini evolutivi, il linguaggio è venuto prima della musica, ovvero la nostra "ciliegina sulla torta" uditivia. Credi anche tu che ci siamo evoluti con una disposizione naturale per il linguaggio è che la musica ne sia solo un sottoprodotto bello ma tutto sommato inutile?
Penso che non ne sappiamo abbastanza per essere in grado di fare una distinzione tra le due. Ma questa è una delle questioni emergenti che guidano la ricerca. Puoi guardare la questione dalla prospettiva di Pinker, giudicando il linguaggio come l'abilità più importante e funzionale tra le due. Ma puoi anche vederla dal lato opposto. Se consideri ciò che viene coinvolto nell'analisi del linguaggio, scopri che include ulteriori processi rispetto a quelli della musica. Per esempio, la musica non ha una semantica, quindi il linguaggio richiede un livello di elaborazione in più. Da un certo punto di vista, possiamo dire che la musica è più primitiva del linguaggio e qualcuno potrebbe sostenere che è il linguaggio a poggiarsi sulle spalle della nostra capacità primordiale di elaborare suoni e musica, non viceversa.

Se possiamo usare la musica per comunicare emozioni e sensazioni, allora si tratta di un linguaggio in senso stretto?
Puoi certamente affermarlo in senso metaforico, in termini di comunicazione e di emozione. Molta della ricerca attuale guarda alla sovrapposizione dei modi in cui le emozioni vengono rappresentate nei casi della musica o del linguaggio. I risultati sono conflittuali: a volte le risorse e i processi sono condivisi, in altri casi no.

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Un altro studio della John Hopkins University ha rilevato che durante l'improvvisazione jazz, le aree del cervello che elaborano la struttura grammaticale delle frasi sono operative, mentre quelle che elaborano il significato sono disattivate. Ora, so bene che la musica non comprende cose come verbi e nomi, ma in termini di comprensione, la decifrazione della musica può essere analoga a quella della parola scritta?
Dunque, quello studio in particolare presenta risultati molto interessanti. L'improvvisazione sembra attivare le aree di elaborazione della sintassi in entrambi i lati del cervello in quella che è chiamata circonvoluzione frontale inferiore (IFG). Solitamente i test sul linguaggio attivano l'IFG sinistro ("elaboratore della sintassi del linguaggio") e i test musicali quello dell'emisfero destro ("elaboratore della sintassi musicale"). Nel caso dell'improvvisazione notiamo che sono entrambi attivi, suggerendo il coinvolgimento di qualcosa in più rispetto a quello che avviene durante la semplice percezione musicale. Quel "qualcosa in più" potrebbe avere a che fare con l'elaborazione grammaticale.

Quindi in breve, esiste una certa sovrapposizione tra il modo in cui elaboriamo la musica e il linguaggio, ma devono essere condotti studi più approfonditi per stabilire la natura e la estensione di questa sovrapposizione. Le future ricerche potrebbero essere d'aiuto nei campi dell'alfabetizzazione e nell'apprendimento del linguaggio?
Di base, l'idea generale è che se riuscissimo a scoprire casi in cui è presente una condivisione neurale e cognitiva tra l'elaborazione della musica e del linguaggio, questo potrebbe essere utile per agire su uno dei due domini allo scopo di aiutare l'altro. È difficile stabilire quali siano esattamente questi punti di condivisione, ma le ricerche stanno prendendo in qualche modo quella direzione.

E…?
Possiamo immaginare, ad esempio, di praticare terapie musicali per aiutare una persona che ha subito un trauma che ne ha danneggiato le capacità linguistiche. Di fatto, queste terapie esistono già: la più comune si chiama Terapia di Intonazione Melodica, si cerca di riabilitare i pazienti cantandogli frasi, questo può aiutarli a usare l'elaborazione musicale per sostenere in qualche modo il recupero del linguaggio.

Wow! Sarebbe incredibile! Grazie per la chiacchierata Dominique.