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Tecnologia

20 anni fa 'Half Life' ha cambiato per sempre le regole degli sparatutto

Nel 1998 la neonata Valve ha dimostrato al mondo che un altro tipo di sparatutto in soggettiva era possibile, non facendoti toccare un’arma per i primi dieci minuti di gioco.
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Half Life. Screenshot via YouTube

Non capita tanto spesso che un videogioco arrivi e cambi per sempre le regole del settore. A volte ci pensa una tecnologia a rendere un genere più in voga: pensiamo per esempio alla PlayStation e al modo in cui ha rivoltato il mondo console come un calzino con un titolo come Tomb Raider, che sfruttava, insieme a Quake, l’arrivo del 3D; ma quando si parla di linguaggi, le pietre miliari sono un po’ più rare.

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Il biennio 1997/98 è stato un periodo d’oro per i videogiochi, perché hanno fatto la loro comparsa una scarica di titoli incredibili, destinati a influenzare in modo radicale gli anni a venire. È stata una vera e propria singolarità videoludica — da Mario Kart, Gran Turismo, Star Fox Pokémon Rosso e Blu, a Metal Gear Solid, Baldur’s Gate, Starcraft, GoldenEye 007, Age of Empire e Ultima Online.

Ma, soprattutto, il 19 novembre del 1998 è uscito Half Life.

Valve è stata fondata nel 1996 da Gabe Newell e Mike Harrington, due ex impiegati Microsoft che avevano trascorso anni nel colosso tech, lavorando al lancio delle prime versioni di Windows. Il loro primo progetto è uno sparatutto in prima persona, nome in codice Quiver, ispirato ovviamente a Doom, che qualche anno prima aveva ufficialmente sdoganato il genere. Tuttavia, Newell e soci hanno pensato ad Half Life come qualcosa che andasse in contrapposizione rispetto all’ondata di sparatutto identici che stavano invadendo il mercato. L’obiettivo era dimostrare al mondo che anche nella soggettiva è possibile creare qualcosa che sia più di un semplice macello di mostri — un gioco che sappia emozionare e raccontare una storia vera e propria.

Come ogni opera pop, Half Life ha tratto ispirazione da ciò che i suoi creatori hanno amato, letto o visto nel corso della loro vita. Una delle principali influenze dal punto di vista dell’atmosfera è The Mist, il racconto di Stephen King in cui una piccola città del Maine viene improvvisamente invasa da una nebbia che porta con sé mostri orribili. Brett Johnson, che si occupava del level design, ha cercato invece in qualche modo di rifarsi ambientazioni del cult cyberpunk dell’animazione giapponese Akira. Eppure, più il gioco procedeva, più il team di sviluppo si è reso conto che qualcosa non andava, era tutto troppo noioso. Così, nel settembre del 1997, piccole unità di designer e programmatori — composte da sei persone che lavorano per sei mesi in sessioni di sei ore e per questo 666 definite “Cabal” — hanno cominciato a riunirsi periodicamente per sperimentare ogni idea possibile da far vagliare ai tester.

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Screenshot via: YouTube

In ritardo sull’iniziale data di uscita di novembre dello stesso anno, i gruppi Cabal hanno lavorato senza sosta fino a trovare il tono giusto per il gioco: qualcosa che sta a metà tra Evil Dead e Die Hard: il trope narrativo è infatti quello di un uomo ordinario in una situazione straordinaria, con un deciso tocco di soprannaturale.

Per quei pochi che avessero passato gli ultimi 20 anni in una dimensione parallela senza videogiochi, Half Life narra le avventure di Gordon Freeman, uno fisico teorico che lavora nei laboratori della Black Mesa in New Mexico, qualcosa di simile all’Area 51. A causa di un esperimento andato male, la struttura viene invasa dai mostri provenienti da un’altra dimensione. Freeman può fare solo una cosa: prendere in mano un piede di porco e cercare di restare in vita.

Dal punto di vista tecnico, Half Life sfruttava il motore di Quake, modificato per supportare la tecnologia Direct3D e una serie di animazioni avanzate rispetto al gioco di id Software. Il risultato era qualcosa di mai visto per l’epoca dal punto di vista della resa grafica — ma la vera rivoluzione andava oltre la mera questione visiva.

In un’epoca di FPS in cui veniva semplicemente detto al giocatore “Ok, questa è la storia, adesso fai una carneficina” e doveva fin da subito sparare a tutto ciò che si muoveva, Half Life iniziava in maniera totalmente anticlimatica. La prima cosa che vedeva dopo aver avviato il gioco era un trenino a monorotaia, mentre una voce rilassante gli dava il benvenuto sul sistema di trasporto di Black Mesa. Non ci sono mostri da uccidere, armi da imbracciare o minacce incombenti. I titoli di testa scorrono mentre il vagone procede lungo un tunnel sotterraneo. Una volta arrivato a destinazione, i colleghi lo salutavano e chiacchieravano del più e del meno, mentre il protagonista proseguiva verso il laboratorio dell’esperimento per indossare la famosa tuta di protezione di colore grigio e arancione.

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Dopo quasi dieci minuti, il giocatore non aveva ancora sparato un colpo o detto una parola. In quel periodo, e per il genere, era come far iniziare un film d’azione di Schwarzenegger con un lungo piano sequenza di lui che fa la spesa mentre recita poesie Haiku. Era un atto uno, rivoluzionario, coraggioso. Forse per questo nessuno voleva pubblicare Half Life: era troppo ambizioso, troppo complesso, finché non si fece avanti Sierra.

L’obiettivo può sembrare banale a un esperto di narrazione lineare — cioè, come quella del cinema o della letteratura: mostrare la vita di Gordon Freeman prima che sia sconquassata dal disastro, creare un legame di normalità tra lui e il giocatore. Anche perché in tutto questo Freeman non diceva una parola, neanche un grugnito; senza la copertina del gioco non avremmo saputo neppure che è un tizio con occhiali e pizzetto. Gordon Freeman siamo noi.

Dopo questo incipit assurdo, Half Life proseguiva distanziandosi ulteriormente dai canoni del genere, assestandosi su un ritmo meno frenetico e più improntato verso una tensione costante. L’ambiente di gioco era studiato per reagire alla progressione del giocatore con eventi scriptati più o meno grandi che permettevano di raccontare ciò che stava succedendo dentro Black Mesa. Scienziati e guardie di sicurezza che venivano massacrate di fronte ai nostri occhi e alieni orribili che spuntavano al momento giusto costituivano una sorta di regia invisibile che manteneva alta l’attenzione del giocatore.

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Screenshot via: YouTube

Rispetto alla concorrenza, Half Life poteva contare su uno dei primi esempi di ambiente interattivo con un motore fisico convincente, che offriva al giocatore una serie di puzzle con cui variare il ritmo di gioco. Costruire una scala di casse per raggiungere un piano elevato, usare correnti d’aria per arrivare in zone inaccessibili, sfruttare getti bollenti per uccidere i mostri, oggi sono meccaniche banali, ma all’epoca facevano parte di una grammatica d’avanguardia del game design.

Contemporaneamente, Half Life è stato progettato fin da subito per essere un progetto modulare. Al gioco originale, sono seguite due espansioni, Opposing Force e Blue Shift, che ampliavano la narrazione seguendo punti di vista differenti; l’impatto più significativo, infine, come spesso accade, è stato confermato da chi ha poi modificato il gioco per creare qualcosa di completamente nuovo.

Esattamente come Doom, anche gli strumenti di level design del titolo Valve sono stati disponibili per una community di modder che in quegli anni poteva finalmente scatenarsi con strumenti estremamente potenti e flessibili. La stessa Valve per promuovere il kit convertì una famosa mod di Quake, Team Fortress, il cui seguito è ancora oggi uno dei titoli più giocati online. Un anno dopo l’uscita di Half Life, Minh Le e Jess Cliffe — due game designer indipendenti appassionati di mod — hanno sviluppato un gioco basato sullo stesso motore di gioco che contrapponeva terroristi e forze speciali: Counter-Strike. Dopo un anno, i due sono stati assunti in Valve, che, comprando anche tutte le proprietà intellettuali, si è assicurata uno dei giochi eSport più importanti di sempre.

Dopo il primo Half Life, con cui Valve ha fatto il botto in termini di critica e vendite, il secondo capitolo della saga ha lanciato un nuovo motore grafico, Source, che è diventato la pietra angolare di migliaia di giochi, legandosi all’arrivo di Steam. Con tutte le conseguenze del caso per quanto riguarda il modo in cui i giochi vengono distribuiti e sviluppati, Source e Steam hanno consolidato Freeman come uno dei personaggi più riconoscibili del settore. Ma questa è un’altra storia, di cui parleremo il 16 novembre 2024, quando sarà Half Life 2 a compiere i 20 anni.