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Tecnologia

L’Italia vuole aumentare la sorveglianza per bloccare la 'contraffazione'

Presto saremo catapultati in un mondo orwelliano per colpa del copyright.
Riccardo Coluccini
Macerata, IT
Immagine: screengrab da YouTube

Lo scorso 13 settembre è stata votata alla Camera la Relazione sul fenomeno della contraffazione sul web. Nelle sue conclusioni, il documento suggerisce la necessità che i fornitori di servizi internet implementino dei sistemi di filtraggio automatico del traffico per bloccare contenuti che violano il copyright.

Questa relazione ribadisce i concetti dell'articolo 2 della legge Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea approvata con modifiche dal Senato il 10 ottobre. La stessa legge ha portato la conservazione dei dati di traffico telefonico ed internet a 6 anni.

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"Questo articolo," mi spiega l'avvocato Fulvio Sarzana, esperto di diritto dell'informazione e di copyright, "introduce il nuovo concetto di notice and stay down, ovvero, la possibilità per le aziende che possiedono i diritti d'autore di chiedere ai fornitori di servizi internet (ISP) di controllare che un determinato contenuto illecito non venga mai più messo online dopo che è stato segnalato." Per fare questo, però, è necessario introdurre un sistema in grado di monitorare, intercettare e bloccare l'attività degli utenti.

Immaginiamo che sia obbligatorio posizionare all'ingresso di ogni città dei posti di blocco per perquisire tutte le auto in entrata e bloccare che trasportano un determinato oggetto. Se siete percorsi da brividi lungo la schiena e sentite salire dalle corde vocali l'aggettivo orwelliano, non state sbagliando: si tratterebbe di uno Stato di sorveglianza di massa.

Se fino ad ora, nel caso di violazioni del copyright, sono stati implementati sistemi reattivi che consistono nella segnalazione alle autorità competenti dopo aver individuato un caso di illecito, mi spiega Sarzana, "ora si pone l'attenzione sulla necessità di introdurre dei sistemi proattivi in grado di anticipare ed evitare che le violazioni si manifestino."

La Commissione d'inchiesta che ha redatto la relazione ha ascoltato in audizione diversi soggetti, fra questi vi era Google che ha parlato del proprio sistema di machine learning chiamato Content ID utilizzato da YouTube, prodotto grazie a un investimento di 60 milioni di euro.

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Motherboard ha potuto visionare alcuni documenti inviati al Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) che identificano il costo attuale evidenziato dai provider per ogni richiesta di oscuramento di un sito: la cifra si aggira intorno ai 420€.

Siamo quindi di fronte già a cifre esorbitanti per i provider più piccoli. La richiesta di introdurre sistemi di filtraggio automatico simili a quello utilizzato da Google rischierebbe di danneggiare economicamente i provider e mettere Google in una posizione dominante, concedendo l'utilizzo del suo Content ID in licenza.

Si tratta di una situazione paradossale, ribadisce Sarzana, "nel momento in cui si sta discutendo e attaccando la posizione dominante di Google attraverso l'antitrust, in questo modo, si metterebbe in mano a Google stessa la possibilità di avere una delle chiavi di controllo dei filtri."

"Ci sono dei pericoli per la libertà di espressione perché il filtro non è in grado di distinguere un'opera amatoriale da una violazione di copyright vera e propria."

Oltre al problema economico, però, emerge soprattutto quello legato al rispetto dei diritti dei cittadini. I sistemi di filtraggio automatico sfruttano algoritmi di machine learning per riconoscere i contenuti illeciti. In realtà, però, sottolinea Sarzana, "ci sono dei pericoli per la libertà di espressione. Dato che il filtro non è in grado di distinguere un'opera amatoriale da una violazione di copyright vera e propria: un video di festeggiamenti di compleanno in cui sono inclusi tre secondi di una canzone potrebbe essere rimosso da internet senza possibilità d'appello."

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Inoltre, un dettaglio allarmante della legge approvata al Senato, sottolinea Sarzana, è quello di prevedere il notice and stay down per i provider italiani anche quando non sono proprietari del sito (hoster): "l'unica soluzione per fare ciò sarebbe l'introduzione della deep packet inspection," conclude Sarzana.

Questa tecnologia permette l'analisi del traffico internet per individuare, selezionare ed agire su determinati contenuti che si stanno cercando — è la stessa tecnologia utilizzata dal governo spagnolo per bloccare i siti internet del referendum catalano.

Ci troveremmo di fronte a un sistema che permette di rimuovere tutti i prodotti già online che violano il copyright, impedire che ulteriori copie della stessa opera siano caricate in futuro utilizzando sistemi tecnologici di filtraggio e blocco, ed installare sistemi di monitoraggio per ricercare attività illecite.

L'Italia, quindi, sembra destinata a dover implementare un sistema di sorveglianza di massa per garantire la protezione del diritto d'autore, un sistema che colpisce economicamente anche i provider internet, ma che soprattutto rischia di introdurre delle serie minacce per la libertà di espressione di tutti i cittadini. Questo sistema, però, sarebbe in contrasto con lo spirito e le disposizioni del regolamento europeo ePrivacy che dovrebbe entrare in vigore a maggio 2018.

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