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Tecnologia

Diagnosticare la dislessia nei bambini prima che imparino a leggere

Grazie all'analisi delle onde cerebrali è possibile muovere i primi passi verso una terapia preventiva.

Oltre a rendere l'apprendimento di base molto arduo, la dislessia costituisce un problema perché è difficile predire quale bambino ne sarà affetto prima che impari a leggere. È stato provato che la dislessia non è correlata a bassi livelli di QI, né a una scarsa educazione o a disabilità fisiche, e una nuova ricerca suggerisce che questo disordine possa essere diagnosticato addirittura prima che i bambini imparino a leggere, grazie all'analisi delle onde cerebrali.

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Alcuni ricercatori dell'università di Amsterdam hanno testato questa ipotesi nel corso del Dutch Dyslexia Programme (DDP) durato nove anni, conducendo degli studi con l'elettroencefalografia (EEG) su bambini preletterati.

Il team di scienziati ha inizialmente misurato l'attività cerebrale a riposo nei soggetti a tre mesi d'età, e ha poi comparato i dati con i risultati di test di comprensione sottoposti ai soggetti fino al raggiungimento della terza elementare.

Nel report dello studio, pubblicato recentemente su Frontiers in Human Neuroscience, i ricercatori affermano di aver scoperto che scarse abilità di lettura sono fortemente connesse a un'intensa attività nella banda di frequenza delta (0,5-2 Hz) e a una bassa attività nella banda alfa (6-8 Hz). In altre parole, sono stati in grado di individuare dei biomarcatori cerebrali nei bambini di pochi mesi che indicavano una scarsa abilità nella lettura e l'insorgere della dislessia che si sarebbero presentate più avanti negli anni.

Alcune ricerche effettuate in passato avevano ipotizzato una connessione tra la dislessia e la struttura di determinate onde cerebrali durante gli esercizi di lettura. Tuttavia il profilo molto differente dei soggetti di questi studi—bambini e adulti di contesti socioeconomici e educativi molto diversi—hanno reso difficile l'elaborazione di una conclusione precisa sulla relazione tra l'attività delle onde cerebrali e la dislessia. Questa questione, secondo i ricercatori, è stata risolta grazie a un esperimento condotto su bambini controllati accuratamente per un lungo lasso di tempo, così da evitare variabili imprevedibili.

Nonostante l'insorgere della dislessia sia molto difficile da prevedere, i ricercatori hanno notato che i bambini con una storia familiare di dislessia sono esposti a un maggiore rischio. Hanno affermato che "la combinazione di uno status familiare a rischio, di test neurofisiologici e comportamentali" può migliorare la diagnosi del disordine, dando un grande aiuto sia ai genitori che agli educatori.

La tecnologia EEG non viene usata soltanto per rilevare le prime indicazioni di quella che potrebbe essere dislessia, ma viene usata in tutte le ricerche che mirano a comprendere il funzionamento del cervello. Recentemente, ad esempio, la FDA (Food and Drug Administration) ha approvato un casco EEG per effettuare i test della sindrome da deficit di attenzione sui bambini, con un approccio simile a quello degli scienziati dell'università olandese.

Alcune ricerche hanno poi esplorato le potenzialità curative dei dispositivi EEG: la stimolazione magnetica transcranica (TMS) ad esempio utilizza dei campi magnetici per stimolare l'attività elettrica in certe parti del cervello ed è stata usata come cura per la depressione. Altri ricercatori hanno usato la corrente elettrica per stimolare le frequenze cerebrali connesse alla consapevolezza di sé.

Nonostante il team dell'università di Amsterdam non abbia ancora parlato di potenzialità curative del metodo, l'osservazione di quali frequenze siano associate a una certa attività potrebbe essere il primo passo in quella direzione. E senza alcun dubbio lo studio costituisce uno sviluppo molto promettente verso la comprensione delle modalità con cui la dislessia si manifesta a livello cerebrale.