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Come ho imparato che non devi mai toccare una tavola Ouija dalla provenienza sconosciuta

"Non credo nel potere delle maledizioni, o almeno questo è quello che mi dico, ma quando ripenso a quella notte e a ciò che abbiamo fatto, sembra impossibile spiegare le nostre azioni in maniera razionale."

Foto via Flickr -

Ann Larie Valentine

Ancora non so come fosse finita lì quella tavola Ouija, ma ricordo di averla intravista in veranda mentre fumavo una Pall Mall a piedi scalzi. Era la tipica giornata piatta di inizio autunno. Il classico giorno così noioso da farti sperare che accada qualcosa di soprannaturale. Ma forse avreste dovuto esserci per capire.

Era l'estate in cui avevo finito l'università, e vivevo in una casa incasinatissima che mia madre chiamava 'lo spogliatoio'. Due dei miei coinquilini erano gemelli, cresciuti in un maneggio a Ocala da due genitori ipercattolici. Sean era un patito della corsa che aveva appena cominciato un master in pianificazione urbana; Dylan un gigante che una sera, da ubriaco, si era fatto saltare un dente inciampando mentre faceva pipì nella veranda, e non si era mai preoccupato di farselo controllare. Era così fissato con la sua televisione a schermo piatto, costantemente fissa sulla ESPN, giorno e notte, che quando mesi prima si era rotta aveva lanciato un urlo isterico e poi era entrato in camera passando dalla finestra per rubare la mia. Praticamente era il cane da guardia all'entrata della nostra cucina; ci sono volte in cui per settimane di fila non si è mosso dal suo trono nel salotto. Spesso ci dormiva anche, e russava.

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Per quanto diversi, ai due ragazzi era stata inculcato il timore di dio, e qualsiasi fosse il livello della loro fede, erano superstiziosi fino al midollo. Anche se pensavo che le uniche divinità da loro riconosciute fossero i giocatori della squadra di football della loro università, gli anni della formazione avevano radicato in loro la paura per le maledizioni e per le presenze demoniache. L'ho scoperto quando gli ho raccontato della tavola Ouija in veranda.

La loro prima reazione è stata quella di andare nel panico. Poi mi hanno fatto promettere che non l'avrei toccata. La promessa ha retto fino a quella sera stessa, quando Dylan si è scollato dal divano e ha deciso di dirigersi nella veranda, mentre io, Sean e il nostro terzo coinquilino, Michael, lo guardavamo da dentro.

Dylan ha girovagato per un po' intorno alla tavola, mentre Sean sembrava sull'orlo di una crisi di nervi. "Torna dentro, dai!" ripeteva ogni cinque secondi.

Dopo un lasso di tempo che è sembrato un eternità, Dylan è rientrato. Si è seduto sulla sua amata poltrona, ha buttato giù tre shot di Evan Williams e ha cominciato a piangere.

Se non avete mai visto un uomo grande e grosso piangere per i sensi di colpa, l'alcol, e il terrore di essere un peccatore vittima di un dio arrabbiato, lasciate che ve lo dica io: non è per niente divertente. Nel frattempo, Sean era in un angolo che ripeteva all'infinito, "oh cazzo, oh cazzo."

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"COSA TI HA DETTO LA TAVOLA OUIJA?" ha urlato alla fine. Dylan si è versato un altro shot, si è asciugato le lacrime con la manica della maglietta della squadra di football dell'università, e ha annusato il whiskey.

"Sessantanove diavoli," ha risposto.

"Oddio," ha urlato Sean prima di collassare a terra.

A questo punto è intervenuto Michael, che probabilmente aveva capito che qualcuno doveva pur fare la parte di quello ragionevole. "Dai, ragazzi, è una cazzata," ha detto a me e Sean. "'69 diavoli' neanche vuol dire niente. Ci sono dei diavoli? Sessantanove? Ce ne sono solo due e stanno facendo sesso?"

Incapace di riportarci alla ragione, Michael ha afferrato un'ascia appoggiata al muro (era quel tipo di casa) e ha portato la tavola in giardino, dove l'ha ridotta in briciole.

"Fantasmi, vi distruggo," ha annunciato mentre noi piangevamo.

Dopo averla distrutta ulteriormente ci ha fatto pipì sopra. Allora abbiamo tutti cominciato a fare lo stesso, per una ragione che adesso non ricordo ma che al tempo sembrava sensata.

Mi sono sentita immediatamente meglio.

Ma Sean non era soddisfatto. Aveva uno sguardo strano, e come gesto plateale finale ha annaffiato l'area circostante con un'intera bottiglia di accendigrill. Poi ha acceso il fuoco. Le fiamme si sono avvicinate pericolosamente alla casa mentre tutti piangevamo—per paura del fuoco, per l'esserci trovati faccia a faccia con il soprannaturale, per il fumo che riempiva l'aria, e per tutte e tre le cose insieme.

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Spento l'incendio siamo tornati dentro, estremamente stanchi. Nessuno parlava. Dylan era praticamente catatonico. Siamo giunti alla conclusione che la cosa migliore era andare a dormire e dimenticarci di tutto.

Anni dopo, ripensando a quella storia dei "69 Diavoli", ho chiesto a Dylan cosa gli fosse successo in veranda, e se ci avesse solo presi in giro. La sua risposta: Era uno scherzo.

Non so se è vero —il pianto era stato piuttosto convincente. Magari si era messo paura davvero, e adesso vuole solo far finta che fosse tutto uno scherzo. E qualunque sia la verità, quella è stata una serata molto intensa per noi, sia fisicamente che emotivamente. Michael è quello a cui è andata peggio, comunque, per una strana coincidenza che è quasi sfociata in un omicidio.

Tornando indietro: quando la mattina dopo mi sono svegliata ho trovato una persona che dormiva nella nostra veranda —una cosa non inusuale all'epoca—e Michael aveva l'aspetto di chi aveva passato la peggiore notte della sua vita.

A quanto pare, dopo che tutti siamo andati a dormire, Michael si è svegliato nel panico. "Fissavo il soffitto, perché avevo la sensazione ci fosse qualcosa accanto al mio letto," ha confessato. "Mi sono detto, 'Va tutto bene, è tutto ok, è solo una serata strana perché i tuoi amici si sono comportati in modo strano, non c'è nessuna presenza ostile accanto a te.'"

Quella notte si è rifiutato di controllare per non dare importanza al pensiero. L'idea era quella di fissare il soffitto, contare da dieci a zero, e chiudere gli occhi a zero. Ma quando è arrivato a "due," ha sentito che quella presenza si era mossa.

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"Non avevo idea di cosa stesse succedendo, così sono saltato sopra quella cosa, qualsiasi cosa fosse," mi ha detto.

"Mi perdoni, agente," ha detto quella cosa mentre Michael afferrava l'ascia che si era portato in camera dopo lo spavento della tavola Ouija. "Non sono ubriaco, giuro."

A quanto racconta, uno studente completamente ubriaco era entrato in casa mentre noi facevamo avanti e indietro nel tentativo di spegnere l'incendio, e a aveva provato a piazzarsi in camera di Michael, dove si era ritrovato ad un passo dall'essere ucciso a colpi d'ascia.

Non credo nel potere delle maledizioni, o almeno questo è quello che mi dico, ma quando ripenso a quella notte e a ciò che abbiamo fatto, sembra impossibile spiegare le nostre azioni in maniera razionale. Cosa sarebbe successo se il ragazzo ubriaco ci avesse denunciati alla polizia per aggressione e noi avessimo dovuto dare spiegazioni alla polizia, o a un giudice, o ai media? Cosa avremmo risposto qualora ci avessero chiesto cosa pensavamo mentre davamo fuoco al nostro giardino? ("Volevamo uccidere i fantasmi, agente"?) Perché il primo istinto di Michael, di fronte a una cosa della quale non conosceva l'identità, è stato di farla a pezzi con un'ascia? E comunque, perché la nostra casa era piena di asce?

Non so quali siano le risposte a queste domande. Tutto ciò che so è che a nessuno capita mai di dar fuoco alla propria casa giocando a Cluedo o aMonopoli. Continuate a giocare con i giochi convenzionali, bambini.

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