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Ho detto sì a tutto per una settimana, e sono finito in ospedale

La mia risposta alla maggior parte delle proposte e degli inviti che mi fanno è sempre "no". Ma dire sì si è rivelata la decisione più stupida che abbia mai preso.

Disclaimer: Michael adora il vino bianco ma odia praticamente qualsiasi altra cosa, e lo comunica regolarmente al pubblico tramite il suo canale YouTube. Quest'anno ha anche vinto un premio per il suo show "My Hate Lists"—per cui costringerlo a dire di sì a qualsiasi cosa per una settimana è stato parecchio difficile ma anche parecchio interessante. Questo è il racconto di quello che è successo.

Mi piace un sacco dire di no. La mia risposta alla maggior parte delle proposte e degli inviti che mi fanno è sempre "no" oppure un "certo" pronunciato in modo tale che tutti capiscano che è una palla—anche perché di solito subito dopo scuoto la testa e sussurro: "certo che no."

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Foto di Dominik Pichler.

Di recente, una mia amica mi ha telefonato per chiedermi, "Michael, ti va di farti una 'serata gioco' a casa mia?" Sono riuscito a stento a trattenermi dal chiuderle il telefono in faccia. Non riesco a immaginare niente di più noioso di una "serata gioco" a casa di qualcuno. "No, grazie," ho risposto. A quanto pare la mia risposta non l'ha soddisfatta. "Sei sempre così negativo!" mi ha detto infastidita. "Almeno una volta ogni tanto dovresti dire di sì!"

In generale non ho una grande considerazione delle persone la cui definizione di "serata divertente" ruota intorno ai giochi da tavolo. Ma in un certo senso, la mia amica aveva ragione. Ogni tanto mi capita di chiedermi cosa succederebbe se rispondessi sempre di sì—a qualsiasi cosa. Perciò ho deciso di provare: per una settimana avrei detto "sì" a ogni singola proposta dei miei amici. Chissà, forse avrei imparato qualcosa, o alla peggio mi sarei divertito.

GIORNO 1

Fin dal primo giorno del mio esperimento, dire sempre di sì a tutto è stato più difficile del previsto—anche perché praticamente non sono mai uscito di casa. Comunque sia, ho iniziato reagendo in modo entusiasta a tutti i titoli acchiappa-click che mi sono passati davanti agli occhi ("Scopri quale celebrità ha undici dita dei piedi"—"Sì!"), anche se forse non era questo lo scopo dell'esperimento.

Più tardi sono andato a cena con i miei amici e la situazione è un po' cambiata. Ho risposto di sì a tutte le domande che mi ha fatto il cameriere—tipo "Vuole un altro bicchiere di vino?" o "Vuole provare la nostra crème brulée?"—e nel frattempo guardavo con la coda dell'occhio le facce dei miei amici, per vedere se qualcuno di loro aveva notato la mia ritrovata gioia di vivere.

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Purtroppo l'unica reazione che ho ottenuto è stata un, "Oddio, Michael, quanto mangi stasera!" che mi ha fatto solo sentire in colpa. Ma in fondo bere vino e mangiare dolci non era chissà quale azzardo. Così ho deciso di sforzarmi per fare nuove esperienze.

Non ho dovuto aspettare molto. Tornato a casa, ho ricevuto una mail dal conduttore di programma in radio, che mi proponeva di comparire come ospite a un live show di un'ora sul tema dei social media organizzato per il giorno successivo. Leggendo le parole "radio," "live show," e "ospite" nella stessa mail mi sono a stento trattenuto dal vomitare la crème brulée sulla tastiera.

Sono talmente timido che anche solo ordinare una pizza mi causa problemi, perciò l'idea di andare a parlare in radio mi spaventava a morte. E se dico una cazzata di fronte a tutti in diretta? Massì, chissenefrega! Così ho risposto, "Certo, volentieri!"—mentendo spudoratamente—e ho mandato la mail.

GIORNO 2

Mentre andavo in radio, mi sentivo come se fossi stato diretto a un appuntamento: eccitato, un po' timoroso e decisamente pronto a fuggire a gambe levate se le cose si fossero messe male.

Sono entrato, ho salutato e mi hanno portato un bicchiere d'acqua che ho prontamente rovesciato sul tavolo. Il liquido ha coperto tutto il piano. Una classica mossa da me, bravo Michael. Non sono un grande esperto di linguaggio del corpo, ma sono quasi sicuro che alcuni dei presenti mi avrebbero volentieri picchiato a sangue coi microfoni.

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Ma al di là di questo piccolo passo falso, non me la sono cavata malissimo. Me ne sono uscito con qualche battuta e ho risposto alle chiamate del pubblico, producendomi in risate finto-entusiaste e dicendo cose come, "Ahahah Tamara ma sei una grande," anche se poi Tamara non è tutta questa simpaticona. Sono anche riuscito a non sbuffare in maniera vistosa per tutta la giornata. Insomma, un trionfo.

GIORNO 3

Galvanizzato da quell'esperienza radiofonica non così disastrosa me ne andavo in giro per strada finché non sono stato intercettato da una donna armata di cartelletta che mi ha chiesto sussurrando, "Hai qualche minuto per parlare della foresta pluviale?", come se volesse mettermi da parte di un qualche segreto importantissimo. Normalmente in una situazione del genere avrei indicato un punto a caso davanti a me per poi scappare nella direzione opposta.

Ma non oggi: "Sì, certo!" ho risposto un po' troppo ad alta voce. Ha iniziato a parlarmi e io ho iniziato ad annuire e dire "esatto" ogni 30 secondi, come un robot programmato per imitare gli umani. Sinceramente, non stava dicendo nemmeno delle cose così noiose. "Allora, che dici, lo vogliamo adottare quest'albero?" mi ha chiesto la mia nuova amica alla fine del suo discorso.

Lo so, lo so, avevo promesso di dire di sì a qualsiasi cosa. Ma se avessi dato dei soldi a quella donna, allora avrei dovuto fare un versamento anche al principe nigeriano che quella stessa mattina mi aveva fatto un'offerta piuttosto interessante via mail.

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Così ho deciso che mi sarebbe bastato evitare il "NO!". "Vedremo…" ho sussurrato misteriosamente un po' come farebbe la nonna di Pocahontas, che peraltro era appunto un albero. Mi sono lentamente allontanato e sono tornato a casa, dove ho ricevuto un messaggio da un amico.

"Domani palestra insieme?" Ughhhh.

Il mio amico è uno molto atletico. Almeno tre volte a settimana va in palestra alle 7 di mattina—un'ora in cui solitamente io sono ancora a letto a sognarmi i baklava—per spararsi una sessione intensiva di Crossfit. Sono mesi che mi chiede di andare a provare. "Ok," ho risposto, stavolta con le lacrime che mi scorrevano lungo il viso.

GIORNO 4

Sono tutt'altro che atletico. Se andassi a fare compere alla Decathlon, probabilmente la banca mi chiamerebbe allarmata per sapere se mi hanno rubato la carta. Così ho deciso di mettere per un attimo da parte la questione del sì per trovare una scusa credibile così da evitare la palestra.

"È che non mi sento benissimo… forse la crème brulée che ho mangiato cinque giorni fa mi ha un po' scombussolato," gli ho detto mentendo. Il mio amico ha annusato la bugia e ha cercato di convincermi. "Ma non ti preoccupare, è una situazione super-tranquilla. Saremo in quattro più l'istruttore, e se non ce la fai ti tiriamo su noi!"

L'autore in abiti sportivi.

Non riuscivo a capire perché il mio amico pensasse di farmi stare meglio descrivendo nei dettagli l'inferno a cui andavo incontro. Sono il tipo di persona che va a correre a mezzanotte o che si chiude a chiave in camera quando deve vedere uno di quei video alla "Perdi peso con Kim Kardashian", il tutto chiaramente per evitare di essere visto mentre il mio corpo fa qualcosa di atletico.

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GIORNO 5

Sono entrato in palestra alle otto di mattina (abbiamo deciso di fare "sul tardi") e l'istruttore mi ha accolto così: "Sei venuto nel giorno sbagliato." "Ogni giorno che comincia in palestra è un giorno sbagliato," ho pensato tra me e me. "Oggi, invece di fare un po' di tutto, ci concentreremo su una cosa soltanto: 1.000 sollevamenti con la kettlebell." La kettlebell è una palla di metallo molto pesante, di quelle che doveva usare la mafia per gettare in mare i cadaveri delle sue vittime. I sollevamenti con la kettlebell consistono nel farla andare su e giù tenendola con due mani tra le gambe. Insomma, una cosa divertente. "Pensi di essere in grado?" mi ha chiesto con gentilezza. "Sì!" ho risposto avvicinandomi alla kettlebell insieme ad altre tre persone del corso.

Dopo 100 ripetizioni ero già sudato perso, e dopo 200 le mani hanno iniziato a sanguinarmi per l'attrito con i manici. Quando ho finito avevo le mani coperte di sangue, come se avessi dato il cinque a Capitan Uncino. "Quante ripetizioni hai fatto, Michael?" mi ha chiesto l'istruttore dopo 30 minuti. "600," ho grugnito io. "Ok, basta così. Stai già sudando più di quanto dovresti." Quando il tuo istruttore ti dice di smettere di allenarti perché stai sudando troppo, capisci di essere davvero un caso disperato.

GIORNO 6 Ho passato anche questa giornata a casa, senza uscire. Ma questa volta l'ho fatto perché anche solo stare in piedi mi faceva male. Persino la ragazza delle donazioni che mi aveva avvicinato qualche giorno prima mi ha guardato con una certa compassione mentre le passavo davanti con il volto contorto dal dolore. "Dov'è finito il sorriso dell'altro giorno?" mi ha chiesto, come se niente fosse. Doveva aver intuito che quella mattina ci avevo messo tre minuti buoni solo per mettermi le mutande. Mentre pranzavo al ristorante sono andato in bagno—uno spostamento breve, ma che a me è sembrato il cammino di Santiago—e mi sono accorto che la mia urina era di un colore che l'urina non dovrebbe mai assumere. Preoccupato, sono andato dal medico. "Hai la rabdomiolisi," mi ha detto la mia dottoressa osservando i risultati delle analisi. "Significa che il tuo tessuto muscolare si sta sfaldando. Che cosa hai fatto?" "Sono andato in palestra," le ho risposto. L'ho guardata e ho capito che si stava trattenendo dallo scoppiare a ridermi in faccia.

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Mi ha consigliato di andare in pronto soccorso, farmi ricoverare e farmi fare delle iniezioni per rimettermi in sesto. "Sì," le ho risposto con tono entusiasta, anche se nel farlo mi sentivo piuttosto stupido. Dire sempre sì si è rivelata la decisione più stupida che abbia mai preso, e di recente ho anche comprato un paio di Crocs. Ho passato la notte una stanza d'ospedale fredda e silenziosa, rimanendo sveglio per il ticchettio dell'orologio e per il rumore delle gocce che cadevano nella flebo che avevo al braccio. Mi sono chiesto se quella fosse il genere di "nuova esperienza fuori dalla mia zona di comfort" che avevo ricercato tramite l'esperimento. In realtà, avevo in mente più cose tipo "provare nuovi formaggi" o "accarezzare gli animali allo zoo."

GIORNO 7

La mattina seguente mi è stato detto che stavo meglio e che potevo andare a casa. Per un attimo ho pensato di cantare "Thank You" di Dido all'infermiera, ma poi ho deciso che era meglio non farlo. Il giorno prima era stato alquanto turbolento e mi ero dimenticato di controllare il cellulare. L'ho fatto nell'ingresso dell'ospedale: oltre al solito spam ho trovato un messaggio della mia amica, quella delle serate con i giochi da tavolo. "Vieni con me a un concerto di ukulele?" Mi sono chiesto se per caso non si fosse iscritta a una newsletter tipo "100 cose orribili da fare insieme." Come potevo essere suo amico? E perché continuavo a frequentarla?

Comunque sia stavo per risponderle di sì, come un riflesso condizionato. Poi mi sono fermato un attimo a riflettere sulla mia settimana. Ho ripensato alla mia conversazione con la tizia che mi aveva proposto di adottare un albero e alla mia notte in ospedale. Poi ho scritto "No, grazie," e mi sono sentito di nuovo in grado di respirare normalmente, come se fossi finalmente tornato a dormire nel mio letto dopo una lunga assenza. Ho premuto "invia" con un sorriso soddisfatto sul volto e sono uscito dall'ospedale, lasciandomi alle spalle e a favore di tutti i degenti l'atteggiamento positivo nei confronti della vita che avevo avuto per tutta la settimana precedente.

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