Se c'è una cosa di cui Stephen King ha paura è la tecnologia
Immagine via: Warner Bros. Picture/YouTube

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Tecnologia

Se c'è una cosa di cui Stephen King ha paura è la tecnologia

Per il maestro dell'horror il pagliaccio di 'IT' non è il vero incubo ricorrente, la dipendenza dalla tecnologia invece sì.

In una delle pagine conclusive di On Writing, la sua autobiografia dedicata all'arte dello scrivere, Stephen King afferma: "Io ho molti interessi, ma solo pochi sono profondi abbastanza da sostenere un romanzo. [Tra questi c'è] …la difficoltà — forse l'impossibilità — di richiudere il vaso tecnologico di Pandora una volta aperto."

Il maestro dell'horror made in USA ha spaventato intere generazioni di lettori con i suoi incubi: Cujo, il cane idrofobo, Jack Torrance, il papà impazzito di Shining, e IT, l'entità soprannaturale che prende le sembianze del clown Pennywise, tornata al cinema proprio questa settimana con la regia di Andrés Muschietti. Ma il mostro più pericoloso dei suoi racconti, quello contro cui i suoi personaggi soccombono miseramente, è qualcosa con cui facciamo i conti giornalmente: il progresso tecnologico. Qualunque lettore affezionato di King conosce il rapporto controverso che unisce lo scrittore e la tecnologia. Non che il vecchio Steve sia un luddista, ma divorando le sue pagine emerge chiaramente una certa remora nei confronti dell'uso sempre più invadente di strumenti, pratiche e macchinari che semplificano la nostra vita. Un'inquietudine che percorre le storie dello scrittore del Maine su due fronti: da una parte c'è la dipendenza tecnologica, dall'altra la passività con cui la subiamo.

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Da una parte c'è la dipendenza tecnologica, dall'altra la passività con cui la subiamo

Stephen King ha afferrato, prima di tanti altri autori, che la tecnologia ha in qualche modo trasformato gli uomini in schiavi. L'escalation tecnologica che ha reso gli Stati Uniti la prima potenza mondiale ha portato a cambiamenti importanti degli standard di vita legati al comfort e ha abbracciato in pieno il concetto di una società profondamente fordiana: minimo sforzo, massimo risultato. Così nascono i forni a microonde, le scale mobili, i telecomandi, i telefoni cellulari e le automobili. Strumenti dai quali oggi dipende una porzione sempre più generosa delle nostre giornate.

In tal senso uno dei lavori più famosi e interessanti di Stephen King è Christine - La macchina infernale. L'automobile è come un nuovo mostro di Frankenstein, solo che sbuca fuori da una catena di montaggio come l'emblema di un'epoca, quella reaganiana, in cui l'auto diventa simbolo edonistico per eccellenza. King ne approfitta per sancire questo rapporto di sudditanza: l'essere umano diventa vittima di una tecnologia ma ne risulta anche complice.

Il rapporto tra Arnie, il ragazzo protagonista, e Christine è consenziente, a momenti sfiora l'ambiguità sessuale e l'umanizzazione del veicolo innesta lo stesso meccanismo nella mente del lettore. Il cambio di paradigma è in atto: Christine è la vera protagonista del racconto, il ragazzo ne diventa asservito e, come lui, noi tutti esseri umani, costretti a lavorare all'infinito per mantenere tecnologie che dovrebbero semplificare le nostre vite.

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L'esempio più fulgido si trova nella raccolta A volte ritornano, nel racconto intitolato Camion. Un gruppo di persone viene tenuto in ostaggio in uno di quei punti ristoro americani che spuntano lungo le assolate autostrade della East Coast. I loro aguzzini sono dei camion impazziti che hanno preso vita. Il racconto termina con gli esseri umani ormai schiavizzati costretti a rifornire di benzina gli autoarticolati per l'eternità. Ecco in due righe la dipendenza tecnologica tanto temuta da King.

Stephen King è un romanziere nato in un periodo storico in cui il futuro faceva paura per motivi molto diversi da quelli per i quali lo temiamo oggi. Dagli anni '70 agli anni '90, l'arrivo del mondo virtuale cambiò ogni contesto della vita quotidiana imponendosi come un ottimo combustibile per le storie spaventose di una generazione di autori. Il "tecno-horror" sbarcava al cinema con David Cronenberg, tra gli altri, che con Videodrome ed eXistenZ immaginava un essere umano ormai costretto a subire passivamente la mistificazione della realtà, un contesto alienante dove tra autentico e virtuale non esiste alcuna distanza.

Ma trovava spazio anche sulle pagine firmate Stephen King: uno dei miei racconti preferiti è contenuto nella raccolta Scheletri e si intitola "Il word processor degli dei". Pare che King stesso fosse affascinato dal suo primo computer e dal potere dei tasti "INSERT" e "DELETE". Nel racconto, immagina la storia di un uomo che viene in possesso di un word processor maledetto che gli permette di cancellare o far comparire cose nella realtà utilizzando i suddetti tasti. Ovviamente, l'incoscienza lo porta a compiere numerosi errori a rovinare la sua vita e quella dei suoi cari.

Questa è l'idea da cui parte King per esprimere l'impossibilità di controllare la tecnologia. Una distanza netta che esiste tra ciò che possiamo affrontare, la nostra realtà, quella tangibile per quanto piena di "mostri", e ciò che siamo costretti a subire. Perché siamo quelli a cui la tecnologia viene consegnata quando è pronta, quelli che ne patiscono gli effetti senza possibilità di intervento.

È così in Cell, dove tutti gli esseri umani che hanno un telefono cellulare all'orecchio impazziscono improvvisamente per via di un segnale sconosciuto; è così ne L'ombra dello scorpione e in La nebbia dove esperimenti tecnologici da parte del Governo sono la scintilla da cui parte una sanguinosa apocalisse; è così in uno dei suoi ultimi lavori, Fine turno dove un serial killer ipnotizza le sue vittime attraverso il glitch di un videogioco. In nessuno di questi casi i protagonisti possono intervenire per impedire ciò che succede.

È proprio l'impotenza che rende questo "mostro" più pericoloso degli altri, secondo Stephen King. Non c'è possibilità di sconfiggerlo grazie a tartarughe magiche, l'incredibile potere dell'amicizia o un ragionevole colpo d'ascia: quando il vaso tecnologico di Pandora è aperto, se ne possono solo sopportare gli effetti e cercare di stare a galla quel tanto che ci è permesso.