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Tecnologia

I poeti robot sono migliori di quelli umani

Gli automi dalla vena poetica fanno vera arte spopolando su internet, e non solo. Forse è il caso di farsi da parte.
Immagine: Dezeen

I robot ci stanno rubando il lavoro, e sta succedendo in fretta. Finora ci consolavamo pensando: non potranno mai fare lavori creativi. Non riusciranno mai a inventarsi giornalisti, artisti o poeti. Certo, come no. La startup Narrative Science ha da poco ricevuto sei milioni di dollari per sviluppare un nuovo settore giornalistico, e non sono previsti scrittori umani. Pochi mesi fa, ho visto di persona una stampante 3D eseguire una rappresentazione artistica dell'apocalisse, e ora, è stato oltrepassato un limite che sembrava insuperabile: i robot stanno scrivendo poesie. E lo fanno meglio di alcuni poeti in carne e ossa.

Software e automi si stanno facendo strada nella sfera più sacra del linguaggio astratto. E non sto parlando solo del dilagante fenomeno dei robo-poeti su Twitter, ci si mettono anche dei simil-Roomba—i robot lava pavimenti—e degli algoritmi che riscrivono Shakespeare.

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Questo robot, per esempio, è programmato per scrivere poesie con la sabbia, e ci mette così tanto a farlo che quando sta incastrando l'ultima rima, le prime righe sono già state cancellate. Skryf, come lo ha chiamato il suo creatore, l'artista olandese Gijs van Bon, è pensato per fare sperimentazioni con la forma dei componimenti, non con il contenuto. I testi li scrive van Bon, poi li passa al robot che li trascrive in tempo reale.

“Quando finisco di scrivere, i segni di sabbia lasciati da Skryf sono già scomparsi. È poesia effimera, esiste solo per pochi istanti e poi sparisce sotto i piedi dei passanti o spazzata via dal vento,” ha dichiarato van Bon a Dezeen.

Ma è Twitter, con i suoi celebri 140 caratteri, il posto dove è più probabile imbattersi in poesie scritte da robot. È lì che gli automi scrivono di loro “pugno” i sonetti, e lo fanno già da un po'. Dopotutto, prima di rivelarsi un banale trucchetto da PR, Horse_ebooks aveva catturato l'interesse di tutti. Ci sono parecchi esperimenti validi di poesia automatizzata su Twitter e @Pentametron è tra i migliori.

Max Read l'ha analizzato su Gawker, e ci spiega che Pentametron “usa un algoritmo per trovare e retwittare versi in pentametro giambico—il verso classico della poesia inglese, composto da dieci sillabe con accenti alternati—e li pubblica in sonetti di 14 righe su Pentametron.com.” Il software è stato ideato dal programmatore Ranjit Bhatnagar, che lo fa girare su un server economico, pensato appositamente per la poesia digitale.

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Questo è l'esempio che usa per illustrare un lavoro ben fatto, estrapolato dai tweet quotidiani:

1. I'm going swimming after school #hooray
2. I wanna hear a special song today :) !
3. Last project presentation of the year!!!!
4. Miami Sunset Drive/A. normal clear :)

5. Good music always helps the morning squat!!!!
6. McDonalds breAkfast always hit the spot
7. do you remember ? that october night ..
8. Alright alright alright alright alright

9. I taught y'all bitches half the shit y'all know.
10. Why pablo hating on Hondurans though ?
11. I wonder who the Broncos gonna pick?
12. I gotta get myself a swagger stick

13. By Changing Nothing, Nothing changes. #Right?
14. Why everybody eagle fans tonight

Riesce abbastanza bene a catturare il ritmo e lo spirito della vita moderna, vero?

La cosa interessante è che Pentametron crea poesie artificialmente a partire da espressioni e sentimenti del tutto umani. E comunque i Twitter bot come questo non sono che l'inizio di quella che potremmo chiamare robopoetica. Si possono utilizzare software ben più sofisticati per comporre versi. SwiftKey, per esempio, è l'algoritmo che sta dietro a una versione “intelligente” della tastiera Android e sa adattarsi al comportamento dell'utente e correggere gli errori di battitura. J.Nathan Matias, un ricercatore dell'MIT, gli sta insegnando Shakespeare.

“Per scrivere una buona poesia, avevo bisogno di qualcosa in più che sapere soltanto quale parola mettere dopo,” spiega Matias a TechCrunch. “Avevo bisogno di previsioni più sofisticate—cosa impossibile da fare se si sceglie una parola dopo l'altra. Così ho creato un'interfaccia in grado di visualizzare sul touchscreen delle previsioni “poetiche.”

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A quanto riporta TechCrunch, l'interfaccia che prende il nome di Swift-speare, “estende l'essenza delle tecnologie di apprendimento automatico alla creazione di poesie.”

Ecco il risultato, un sonetto shakespeariano creato con l'aiuto di un robot.

When I in dreams behold thy fairest shade
Whose shade in dreams doth wake the sleeping morn
The daytime shadow of my love betray’d
Lends hideous night to dreaming’s faded form
Were painted frowns to gild mere false rebuff
Then shoulds’t my heart be patient as the sands
For nature’s smile is ornament enough
When thy gold lips unloose their drooping bands
As clouds occlude the globe’s enshrouded fears
Which can by no astron’my be assail’d
Thus, thyne appearance tears in atmospheres
No fond perceptions nor no gaze unveils
Disperse the clouds which banish light from thee
For no tears be true, until we truly see

Gli esempi abbondano; un software automatico che rovista negli articoli del New York Times alla ricerca di haiku—metriche giapponesi di tre versi per 17 sillabe. Messo a punto dallo stesso software architect del Times, il programma, dopo aver analizzato articoli come The Fear of Surrendering Again,” se ne esce con queste perle:

He has a mind as
fascinating to me as
the city itself.

Ci stiamo avvicinando al nocciolo della questione: queste sono poesie niente male. Sono sorprendenti, strane e quasi toccanti; ripeto, buone poesie.

Stiamo arrivando al punto in cui poeti veri e robotici potranno unire le proprie forze—solo creative in questo caso, come fanno Skryf, Gijs van Bon e questo progetto:

O anche questo novello amanuense, un Kuka bot che scrive su carta pregevoli miniature della bibbia.

Peccato che la carta stia diventando qualcosa di “esoterico” e se in futuro leggeremo ancora poesie, di certo lo faremo su internet. E leggeremo per lo più sonetti creati da robot, anche se gli autori dei programmi di robopoetica saranno—forse—ancora umani. È oramai provato che quasi niente di quello che gli uomini possono creare sia da considerare una loro prerogativa. Il lavoro, le idee, l'arte; i robot ci stanno rimpiazzando in ogni campo e sarà meglio che ci mettiamo comodi al nostro posto. Il futuro in cui gli automi ci leggeranno le loro poesie è già qui, sempre che siate pronti ad ascoltarli.