Attualità

Non voler "fare favori a Salvini" è l'ultima scusa del governo per non fare niente

Come se il leader della Lega ogni mattina si alzasse con la paura di veder approvato lo "ius soli" o il pollo nei tortellini, e non delle inchieste su Savoini e i russi.
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Matteo Salvini su La7.

Da quando Salvini non è più Ministro dell’Interno e vicepremier, è venuta meno una centralità politica che di fatto aveva grazie al primo governo Conte, e di conseguenza anche una centralità mediatica. Tuttavia, ve ne sarete accorti, il suo nome e la sua agenda politica continuano a essere usati come richiamo dagli avversari, o ad aleggiare come tormentoni buoni per tutte le occasioni. Fino a diventare, come è successo in questi giorni, una specie di ostacolo posto sulla strada delle più disparate proposte.

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La rimozione dei crocifissi dalle aule scolastiche citata in un'intervista dal ministro Fioramonti, ad esempio, secondo l'arcivescovo di Monreale Michele Pennisi "servirebbe solo ad aiutare il leader della Lega Matteo Salvini," perché "utilizzerebbe la vicenda per la sua battaglia contro il governo." Ma è sul ritorno in Commissione affari costituzionali di provvedimenti per l’estensione della cittadinanza—ius soli e ius culturae—che possiamo vedere come questo tormentone sia una specie di chiodo fisso.

Se Gian Antonio Stella, sul Corriere della Sera, spiega che insistere sullo ius soli sarebbe un "regalo a Salvini," nel Partito Democratico serpeggia più che mai la volontà di affossare qualunque provvedimento di estensione della cittadinanza—come già nel 2017, quando il dibattito su ius soli e ius culturae cadde un po’ vigliaccamente per mancanza del numero legale. Dimostrando di non aver imparato nulla da quella mancanza di coraggio e visione politica.

Emblematica, in questi giorni, è la posizione della deputata Alessia Morani, che su Facebook si fa interprete del sentiment del popolo italiano: "Una legge di questo tipo deve essere approvata solo dopo avere dimostrato che c’è un modo efficace e diverso da quello di Salvini di governare i flussi migratori e di fare sul serio politiche di integrazione."

Che nell’opinione pubblica si sia ormai sedimentata a livelli patologici una visione securitaria dell’immigrazione e dei relativi diritti non è una novità. Non si spiega altrimenti perché i circa 800mila minori che già nel 2018 attendevano di vedere regolarizzata la loro posizione debbano essere concepiti come contigui a chi arriva ora in Italia, o in concorrenza per la priorità politica. È come se si dicesse loro "stai buono, prima dobbiamo pensare ai tuoi amici sul barcone." Siamo sempre nell’ottica di Italiani vs Stranieri. E questo non è un favore A Chi Sapete Voi, vero?

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Ma, allargando il discorso, questa paura di "fare favori" evidenzia criticità che ormai si danno per scontate, tanto che pare fesso chi vorrebbe sottrarvisi. Prima di tutto, forse Matteo Salvini non si alza la mattina con la speranza o la certezza di ricevere favori; piuttosto spera che non escano altre notizie su Savoini e i russi, o novità dalla procura di Milano. Spera che giornalisti come Stella non battano su un tasto dove Salvini ha dimostrato di non sapersi difendere (chissà perché!), o spera che passino in secondo piano notizie come la condanna di Vito Nicastri. Poi, in un secondo momento, tira un bel sospiro di sollievo, specie nei giorni in cui mezzo paese si perde dietro a stronzate come i tortellini ripieni di pollo.

Un altro problema della logica—per modo di dire—del "non fare favori a Salvini" sta nell’equivalenza tra la propaganda politica di un partito di estrema destra e ciò che si suppone pensino gli italiani. Che è un po’ come fare propaganda a quel partito, senza però rilasciargli fatture da pagare. Forse è questo il vero favore, no?

Se in politica non bisogna usare il linguaggio dell’avversario, se il giornalismo, come contropotere, dovrebbe porsi in modo critico e un filino distaccato verso la propaganda, qui siamo a livelli di sindrome di Stoccolma. Siamo alla reiterazione passiva di slogan come "basterà partorire a bordo di un barcone per essere italiani." Non ci si rende nemmeno conto di propugnare quel falso e disumano immaginario secondo cui migrare per il Mediterraneo è affidarsi a un servizio taxi-ostetricia.

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Infine, si dà per scontato che il consenso attorno a un tema—in questo caso estensione della cittadinanza—sia un monolite inscalfibile, o si crea un’idea di consenso artificiosa, senza alcun dato a supporto. Così, per sentito dire.

In realtà, proprio su ius soli e ius culturae, in questi giorni è emerso il caso della campionessa di Taekwondo Alessia Korotkova. Nata in Russia ma cresciuta in Italia, da maggiorenne non può più gareggiare per il nostro paese. È una di quelle storie che, come già successo per Adam e Rami, gli “eroi italiani che italiani non sono,” mostrano in concreto l’assurdità che produce la situazione attuale, cosa significa davvero essere italiani in tutto, fuorché per la burocrazia. Ma se la politica è fatta anche di emozioni, queste storie aiutano a far capire attraverso l’empatia perché c’è bisogno di intervenire legislativamente sul diritto di cittadinanza, mostrano la realtà oltre la coltre di slogan e strumentalizzazioni.

Invece accade che storie di questo tipo, come scavalcando a stento un muro fatto di "gente che non capirebbe," o di "favori da non fare a…," diventano al più casi personali di rilevanza pubblica. Così, come per Adam e Rami, magari la situazione si risolve, magari la cittadinanza viene conferita, ma quello che dovrebbe essere un diritto specifico è svilito a premio del singolo. Al bravo straniero che ottiene la cittadinanza come medaglia.

Probabilmente questa perversa logica del "non fare favori" è figlia di due genitori rintracciabili. Il primo è il bisogno continuo di polarizzare l’opinione pubblica, inquadrando ogni fenomeno come qualcosa attorno cui ci si debba schierare. Se non c’è polemica non c’è notizia, e quando la polemica non è all’orizzonte tanto vale crearla.

L’altro genitore, che va a braccetto col primo, è il bisogno di protagonisti forti, che possano accentrare il dibattito pubblico per renderlo meno noioso. E siccome, a dispetto della crisi di governo di agosto, quando Salvini ha suicidato il proprio consenso elettorale a colpi di dj set, i casting politici non offrono niente di meglio, tanto vale riciclare il “Capitano” e il suo repertorio di grandi hit sovraniste. Tanto poi ci penseranno fior di analisti a spiegarci quanto sia un fenomeno di suo.

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