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Tecnologia

Come funzionano i meccanismi di sfruttamento della gig economy

L’uberizzazione del lavoro è un nuovo e potente strumento di parcellizzazione di un lavoro che dev’essere sempre meno continuo e senza alcuna garanzia.
Un driver Foodora a Colonia. Foto via Flickr

Dando un'occhiata al modulo per candidarsi a Foodora, non sembra così male diventare un rider. Tutto sommato, chi non ha bisogno di un "lavoro flessibile" che "aiuta a integrare le entrate"?

La protesta dei dipendenti dell'azienda ha evidenziato cosa si cela dietro a vantaggi quali orari di lavoro elastici e aumento delle entrate. Tuttavia, il modello economico della on-demand economy, meglio conosciuta come gig economy, continua a funzionare e a diffondersi sempre di più. Per capire in che modo l'insieme di discorsi della on-demand economy si è introdotto e continua a dilagare in modo pervasivo nella società, focalizziamoci sui benefici che dovrebbe offrire il lavoro su richiesta.

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UN MERCATO DEL LAVORO PIÙ TRASPARENTE?
Leggiamo in un articolo del McKinsey Global Institute che pagine come Upwork, Freelancer.com e Toptal, stanno creando un "mercato del lavoro più trasparente". Piattaforme come Glassdoor, ad esempio, sono in grado di soddisfare le esigenze sia di chi è in cerca di lavoro sia dell'azienda, grazie a un doppio sistema di valutazione. I primi possono farsi un'idea dell'azienda prima di candidarsi attraverso i feedback degli attuali o precedenti dipendenti mentre la seconda può esaminare, con maggior precisione, le skill dei potenziali dipendenti.

Chi non ha bisogno di un "lavoro flessibile" che "aiuta a integrare le entrate"?

Se ci pensate, è un meccanismo analogo a quello di Airbnb, in cui l'utente valuta l'host in base alle recensioni degli altri guest e, al contempo, il guest è valutato dopo un soggiorno—da non dimenticare come il sistema di valutazione ha comportato, nel caso di Airbnb, una "profonda discriminazione degli ospiti e dei proprietari, in base all'origine etnica", come rileva Laetitia James, public advocate di New York City. Le piattaforme digitali sono, inoltre, uno strumento utile non soltanto per lo scopo di un'assunzione ma anche al fine di migliorare le capacità produttive di chi è già collocato in un determinato settore. Ad esempio, su Upwork si possono ritrovare molte richieste di lavoro per i traduttori freelance, incrementando la loro produzione e il loro guadagno. Attraverso questa prospettiva, la on-demand economy è dipinta come nutrimento vitale di una certa parte del mercato del lavoro.

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Continuando ad addentrarci nella narrazione positiva della on-demand economy, ritroviamo una ricerca della compagnia Intuit e di Emergent Research che descrive, in modo dettagliato, perché la on-demand workforce preferisce (o dovrebbe preferire) il lavoro su richiesta all'impiego tradizionale.

La loro indagine si basa su un'inchiesta condotta su 4.622 provider, vale a dire persone che lavorano grazie alle offerte di impiego fornite dai partner (aziende che utilizzando le piattaforme digitali). Il 91% dei provider sarebbe soddisfatto/a di lavorare su richiesta. La principale motivazione è che, grazie al sistema on-demand, si possono rendere malleabili i confini di un'attività lavorativa altrimenti restrittiva. Si introduce, nuovamente, il meccanismo della flessibilità, attraverso la possibilità di lavorare in un luogo e in arco temporale scelti da noi. Ma soprattutto, l'opportunità più accattivante e che differenzia, in modo ben preciso, la on-demand workforce dal traditional employee sarebbe la mancanza di un'autorità esterna. È il provider a essere il "capo di se stesso": non ha un datore di lavoro a cui sottostare, è lui stesso a decidere da dove e quando dedicarsi all'attività lavorativa.

Un driver Foodora a Colonia. Foto via Flickr

CAPI DI SE STESSI
Il punto chiave intorno a cui ruota questo concetto si basa su un modello, lavorativo e comportamentale, di un individuo concepito come impresa di se stesso, che plasma il proprio modus operandi a seconda delle necessità, aspettative ed esigenze di un mercato del lavoro composto da imprese. Nel testo La nuova ragione del mondo, P. Dardot e C. Laval, affermano che il "soggetto imprenditoriale" appare caratterizzato da un continuo superamento, che implica elasticità, plasticità e oltrepassare se stessi, in vista di un traguardo da raggiungere che si sposta sempre più in là. Potremmo riassumere questo obiettivo, vale a dire come plasmare se stessi attraverso l'incorporazione di un modello economico, attraverso la frase di Tatcher: "L'economia è il metodo, l'obiettivo è cambiare l'anima"—Economics are the method, the object is to change the soul.

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I due termini chiave della gig economy sono, dunque, la flessibilità e il superamento, che producono nuovi meccanismi di sfruttamento. A oggi, il 15% di 8000 lavoratori autonomi europei e statunitensi utilizza le piattaforme on-demand (una percentuale che è destinata a crescere, secondo il McKinsey Global Institute). Come ha evidenziato The Guardian, i self-employed, che costituiscono una parte rilevante della forza lavoro inglese ("This boom is not just a blip. This is the new normal", sottolinea Emma Jones, fondatrice di Enterprise Nation), hanno scarsissimi meccanismi di tutela giuridica e personale: pagamenti posticipati, nessuna sussidio per la maternità o per le cure mediche. L'avvento della gig economy cosa comporterà per una forza lavoro già priva di qualsiasi diritto?

L'uberizzazione del lavoro è un nuovo e potente strumento di parcellizzazione di un lavoro che dev'essere sempre meno continuo e senza alcuna garanzia.

Un altro discorso intorno a cui ruota la on-demand economy è la possibilità di incrementare i propri guadagni, presupponendo che chi scelga di lavorare su richiesta abbia già un impiego. Invece, la protesta dei rider di Foodora ha evidenziato come la maggior parte delle persone che avevano scelto di lavorare per l'azienda non aveva un lavoro o molte prospettive di trovarlo. L'uberizzazione del lavoro (da Uber, la prima piattaforma on-demand) è un nuovo e potente strumento di parcellizzazione di un lavoro che dev'essere sempre meno continuo e senza alcuna garanzia.

PROTESTA ON-DEMAND
Il caso Foodora non è di certo stato il primo tentativo di contrastare una piattaforma on-demand. È stato, infatti, preceduto da una serie di polemiche e misure regolamentari che hanno investito altri modelli della gig economy, quali Airbnb e Uber. A Barcellona, ad esempio, per combattere il sovraffollamento turistico del centro urbano e la fuga dei residenti, Ada Colau ha lanciato un appello ai cittadini, invitandoli caldamente a segnalare chi affitta in modo irregolare. Al contempo, la diffusione di Uber ha prodotto il divampare delle proteste da parte dei tassisti, che individuano in Uber una minaccia al loro business.

È possibile pensare a un modello alternativo alla on-demand economy, che non si basi sullo sfruttamento ma sulla condivisione? Si passerebbe da un tipo di economia basata sulla proprietà a un tipo di economia collaborativa, in breve dalla gig economy alla sharing economy. Come ha evidenziato Jeremy Rifkin, nell'articolo The rise of anti-capitalism (comparso sul New York Times), l'Internet of things è uno strumento che può essere usato per abbattere i costi della vita economica. Recenti avvenimenti ci hanno reso consapevoli della potenza distruttiva dell'Internet of things, ma non dobbiamo dimenticare la sua potenza trasformatrice. Attraverso nuove linee di congiunzione tra le persone e le cose, l'Internet of things può incrementare "collaboration, universal access and inclusion".

Un esempio può aiutarci a comprendere che cosa differenzia la gig economy dalla sharing economy. Foodora è il modello perfetto della gig economy e appoggiare la protesta dei rider, che incitano a non usare la piattaforma, è un gesto politico ed etico. In netto contrasto a Foodora, ritroviamo Smart, una "società mutualistica per artisti", che diventerà il punto di riferimento dei rider della start-up belga Take Eat Easy, fallita a luglio. Altri modelli sono Biofarm e La Nostrana, piattaforme in cui gli utenti sostengono gli agricoltori con contributi economici ricevendo, in cambio, prodotti non trattati.

Il passaggio dalla proprietà (di beni, risorse e servizi) alla condivisione, è possibile ed è un cambiamento che, in un mondo sempre più iperconnesso, riguarda tutto e tutti—Nessuno escluso.