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80 anni fa Orson Welles fece arrivare gli alieni sulla Terra

Oggi è l'80esimo anniversario dello stunt radiofonico di Orson Welles, in cui declamò ai suoi ascoltatori una trasposizione de La Guerra dei Mondi ambientata a New York e li fece impazzire.
Orson Welles legge La Guerra dei Mondi ai microfoni di CBS.
Immagine: Wikipedia

La sera del 30 ottobre del 1938 — 80 anni fa —, gli edifici della CBS Radio a New York erano pieni di uomini in uniforme che setacciavano gli studi per sequestrare le copie della sceneggiatura e delle registrazioni di uno show che era appena andato in onda.

Poco dopo, fece il suo roboante ingresso la stampa, che aggredì attori, supervisori e produttori con i resoconti della serata. Avevano idea, loro, del panico, dei suicidi, degli incidenti mortali e delle fughe precipitose per la strada? L'attore principale e ideatore dello show aveva 23 anni, e se ne stava seduto in disparte con aria scoraggiata, “Sono rovinato."

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Per fortuna, le cose andarono diversamente da come aveva previsto: di lì a poco Orson Welles avrebbe firmato un importante contratto con la RKO e avrebbe sfruttato l'esperienza di quella sera nel suo capolavoro Quarto potere.

Foto: Orson Welles dirige le prove al Mercury Theater nel 1938.

Foto: Orson Welles dirige le prove al Mercury Theater nel 1938.

Ma cos’era successo appena poche ore prima? Come ogni domenica da qualche mese, alle otto era andato in onda il Mercury Theater on Air, una serie di adattamenti dal vivo di classici letterari; un programma tutto sommato di nicchia, che non aveva attirato sponsor e per questo motivo non conteneva interruzioni pubblicitarie.

Era la vigilia di Halloween, e Welles pensò bene di giocare uno scherzetto agli ascoltatori: avrebbe portato ai microfoni una trasposizione del romanzo La Guerra dei Mondi, pubblicato dal suo quasi omonimo H. G. Wells quarant’anni prima. Lo sceneggiatore Howard Koch spostò l’ambientazione del romanzo dai sobborghi vittoriani di Londra all’area di New York, citandone via via i luoghi caratteristici lungo la narrazione. Inoltre, la struttura della storia fu modificata in modo da sembrare una cronaca in diretta dell’atterraggio e dell’attacco dei marziani, con tanto di interviste agli esperti, bollettini ufficiali, discorsi delle autorità, testimoni oculari ed effetti sonori di esplosioni, sirene e grida delle vittime.

Lo scherzo riuscì fin troppo bene. Un sondaggio svolto dalla CBS nei giorni successivi svelò che più di un terzo dei sei milioni di ascoltatori avevano creduto, almeno per un po’, che quello che ascoltavano fosse la realtà. I giornali, le emittenti e le centrali di polizia ricevettero centinaia di telefonate, e anche se oggi sappiamo che i primi resoconti della stampa erano oltremodo gonfiati, ci furono davvero ingorghi stradali causati dai cittadini che si riversavano in massa sulle strade per fuggire il più lontano possibile dalla minaccia marziana.

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Erano queste le aspettative di Welles e Koch? Probabilmente no. Analizzando il testo a mente lucida, sembra impossibile credere che gli ascoltatori non si fossero resi conto della quantità di indizi del fatto che si trattasse di un lavoro di finzione, a partire dai quattro annunci, disseminati nell’arco della trasmissione, che ne dichiaravano esplicitamente la natura di adattamento letterario. Non solo: era poco realistico pensare che in capo a un’ora — la durata dello show — l’azione si fosse spostata dall’atterraggio dei marziani, all’attacco, all’evacuazione di New York fino alla minaccia di annientamento per l’intera nazione. Infine, nessun’altra emittente radiofonica dava notizie analoghe.

Ma il terrore tenne testa alla razionalità. Raccontò un’ascoltatrice, “Mio marito cercò di calmarmi e disse: ‘Se fosse vero, sarebbe su tutte le stazioni’, e girò su una delle altre stazioni che trasmetteva musica. Ribattei, ‘Nerone suonava mentre Roma bruciava.’” Altre testimonianze documentano come la reazione di panico insensato fosse trasversale alla provenienza, al ceto sociale e al livello d’istruzione, “Mia madre si fidò della mia parola perché dopo tutto io ero laureato e lei no.”

La trasmissione suscitò uno scandalo nazionale, e nelle settimane successive riviste e quotidiani gli dedicarono più di 12.500 articoli: in altre parole, ci fu quasi più sgomento nella stampa che tra il pubblico. Due giorni dopo il The New York Times scaricava in un'editoriale la responsabilità dell’accaduto sull’industria radiofonica, allora considerata un mezzo di comunicazione nuovo, immaturo e incapace di gestirsi, e invocava riforme legali e misure preventive per impedire simili episodi in futuro (raccomandazioni che fortunatamente rimasero inascoltate).

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Nel corso dei decenni, l’episodio ricevette analisi più approfondite e divenne oggetto di numerosi libri e studi sociologici. Vale la pena citare come esempio quello condotto “a caldo” da Hadley Cantril, ricercatore dell’Università di Princeton, e pubblicato nel 1940 nel libro The Invasion From Mars: A Study in the Psychology of Panic (da cui sono tratte le testimonianze di questo articolo).

Già il 2 novembre Dorothy Thompson, giornalista del New York Herald Tribune, esprimeva viva preoccupazione per la facilità con cui era stato possibile scatenare un’isteria di massa, puntando il dito contro il “fallimento dell’educazione popolare” e la “stupidità, mancanza di sangue freddo e ignoranza di migliaia”, ma anche sottolineando come la performance di Welles avesse contribuito a chiarire in che modo, grazie alle strategie di propaganda e allo sfruttamento dei mezzi di comunicazione (soprattutto la radio), i regimi totalitaristi dell’epoca erano riusciti a conquistare tanto consenso in quegli anni, manipolando le reazioni emotive delle folle e orientandone la frustrazione verso minacce apparenti rappresentate da colori politici o minoranze etniche e religiose.

Proprio la radio, nei mesi precedenti a La Guerra dei Mondi, aveva portato la storia in diretta nei salotti privati delle famiglie, tenendole col fiato sospeso sui recenti accadimenti in Europa e nel mondo. Era un periodo instabile per gli americani, che non si erano ancora lasciati alle spalle le difficoltà economiche causate dalla Grande Depressione e che vivevano l’ansia di una possibile aggressione militare dalla Germania o dal Giappone. Alla luce dei fatti, non si può di certo dire che fossero ansie immotivate. Solo un mese prima, l’accordo di Monaco aveva concesso al Reich l’annessione di un’ampia porzione del territorio cecoslovacco, e meno di due settimane dopo si sarebbe consumato il pogrom antisemita della Notte dei Cristalli: eventi che risuonarono di una forte eco mediatica.

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Adolf Hitler di fronte ai microfoni il 1 febbraio del 1933.

Si può dunque comprendere come il pubblico americano fosse vulnerabile e predisposto a credere agli avvenimenti narrati alla radio, veri o fittizi che fossero. L’adattamento di Koch concorse alla sospensione dell’incredulità, portando il dramma a diretto contatto col pubblico, ricordando ai cittadini che, pur separati nelle proprie case, erano soggetti allo stesso comune destino guidato da forze troppo più grandi di loro, evocate con la potenza della suggestione sonora. Le vive voci dei presunti testimoni oculari crearono subito una connessione tra persone comuni che si trovavano da parti opposte, trasmittente e ricevente, del segnale radio, con un’immediatezza che la stampa non avrebbe potuto conseguire. La voce delle autorità interpellate conferì un’aura di rispettabilità ai fatti narrati: scienziati, leader militari, figure politiche tra cui un fantomatico Segretario degli Interni che, finalmente ammettendo la gravità delle circostanze, rivolgeva un accorato (e retorico) appello alla nazione.

Si aggiunsero poi altri fattori circostanziali. Alcuni ascoltatori si sintonizzarono sulla CBS a trasmissione iniziata, e il primo disclaimer sul carattere fittizio della storia fu trasmesso solo mezz’ora dopo, per non spezzare il ritmo narrativo. Chi non conosceva il romanzo di Welles non fu in grado di coglierne i riferimenti culturali; e le singole predisposizioni personali, come certe visioni religiose di tipo escatologico, rendevano una parte di pubblico ancora più sensibile a quel tipo di narrazione.

Non dimentichiamo infine che negli anni Trenta, almeno a livello di immaginario popolare, si speculava ancora sull’esistenza della vita marziana. Solo nel 1941 gli astronomi dell’Osservatorio di Mount Wilson dimostrarono in modo definitivo che c’era troppo poco ossigeno su Marte per la sopravvivenza di una qualunque forma di vita animale. E così, agli inizi dell’anno che avrebbe visto l’ingresso in guerra degli Stati Uniti, un altro editoriale del New York Times commentava: “Gli uomini su Marte sono definitivamente fuori discussione. È solo un’altra coincidenza che i mostri guerrieri della brillante immaginazione di H. G. Wells siano infine screditati proprio quando sembrano aver preso vita sulla Terra all’interno di maschere antigas, uniformi da paracadutista e carri armati”. Gli alieni, insomma, eravamo noi.

The War of the Worlds fu forse la prima dimostrazione esplicita di come uno strumento familiare, amichevole e diffuso come la radio potesse ingannare e mentire deliberatamente. Nel finale della storia, l’umanità si salva perché i marziani soccombono ai microrganismi patogeni ai quali, grazie a decine di migliaia di anni di evoluzione, gli umani hanno maturato le difese immunitarie. I commentatori dell’epoca si domandarono se il pubblico avrebbe approfittato di questa lezione per sviluppare gli anticorpi contro l’invasione della propaganda mediatica. Cosa direbbe Welles oggi?

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