FYI.

This story is over 5 years old.

Tecnologia

Siamo stati a lezione di Zanshin Tech, la prima arte marziale digitale

E abbiamo scoperto che gli stronzi da tastiera non sono mai invincibili come sembrano.
Uno stage fisico che aiuta a gestire l'aggressività altrui e a capire le proprie paure. Tutte le foto: Giorgia Zoe Righini

"I ragazzini, quando vengono da noi, sono convinti che il cyberbullismo sia un enorme mostro che arriva, ti prende, ti mangia, ti divora e ti spinge al suicidio. Ma il cyberbullismo nella sua interezza non esiste, è un'aggressione, e in quanto tale è fatta di singoli attacchi" ha detto Claudio Canavese, ideatore di Zanshin Tech, nell'introduzione del talk all'Italian Hacker Camp di quest'anno. La lezione-tipo di Zanshin Tech è poi proseguita con Silvia Perfigli e Stefano Chiola, due fondatori della disciplina, che hanno raccontato la storia di Megan Meier — vittima tristemente nota di un perfido caso di cyberbullismo negli USA. Invitando la platea ad analizzare il caso in un'ottica di attacchi e reazioni, lo hanno smontato e trasformato in un vero e proprio incontro di arti marziali figurato.

Pubblicità

È questo l'approccio della prima arte marziale digitale mai creata, Zanshin Tech: per diventare guerrieri digitali bisogna avere il controllo di se stessi, essere lucidi dietro lo schermo, analizzare i fatti, chiedere sempre aiuto agli amici e non attaccare mai per primi. Per farci spiegare questi e altri principi basilari della disciplina — insegnati in veri e propri dojo a ragazzini dagli 11 anni in su e adulti aspiranti maestri — abbiamo parlato con Silvia Perfigli, aka Phoenix, 2° Dan Istruttore e fondatore.

Motherboard: Ci spiegheresti meglio che cos’è Zanshin Tech?
Silvia Perfigli (Phoenix): Zanshin Tech è una vera e propria arte marziale, ma non si occupa del conflitto fisico bensì di quello digitale. Come noterai, il nome è composto da due parole: 'zanshin' e 'tech'. La prima è una parola giapponese che indica la mentalità del maestro di arti marziali che è sereno e concentrato ma pronto a rispondere a un aggressore in qualunque momento. In caso di attacco, affronta e mette a terra l’avversario, poi torna nel suo stato di zanshin. Questo principio noi lo applichiamo alla vita digitale, per questo 'tech'.

È una disciplina unica nel suo genere, che non esiste altrove nel mondo. Come è nata l'idea?
Claudio Canavese, l’ideatore, stava studiando alcuni casi di cyberbullismo e, leggendoli con gli occhi di chi ha fatto judo per molti anni, è riuscito a riconoscervi le tecniche di attacco delle arti marziali. Visto che è anche un programmatore, ha teorizzato lo Zanshin Tech. Noi altri fondatori — siamo in quattro — ci abbiamo creduto fin dall’inizio.

Pubblicità

E avete raccolto consensi fin da subito?
Inizialmente abbiamo proposto Zanshin Tech alle scuole, ma erano poco ricettive. Si credeva che in Italia il cyberbullismo non esistesse. Dopo poco, purtroppo, il caso Carolina Picchio ha fatto squillare i nostri telefoni. Le scuole ci chiamavano, ma ci siamo resi conto di quanto avesse poco senso fare solo lezioni frontali in assemblea. Così abbiamo istituito la nostra prima classe.

Cosa insegnate nei vostri corsi?
I nostri allievi imparano sia a gestire se stessi in caso di situazioni di stress emotivo, quando sono bersagli di cyberbullismo o di aggressione digitale in generale, che a gestire la tecnologia per poter reagire. Da una parte insegniamo loro a capire le dinamiche d'attacco e a gestire le emozioni, dall'altra forniamo anche delle conoscenze tecnologiche, principalmente tecniche, per affrontarli. Il corso completo è di 122 ore di lezione.

Una lezione-tipo di Zanshin Tech a Italian Hacker Camp 2018. A sinistra, Claudio Canavese, a destra, Phoenix.

E come è strutturato? Il talk che avete fatto a Italian Hacker Camp è una prima lezione-tipo?
A Italian Hacker Camp abbiamo analizzato un caso reale di cyberbullismo. Di solito, nei corsi, il primo caso lo affrontiamo quando il gruppo si è già amalgamato. Durante il primo mese si affrontano gli argomenti più tecnici e analizziamo il concetto di aggressione nell’ambito delle arti marziali.

Nella primissima lezione, per esempio, oltre a spiegare le regole di base dello Zanshin Tech e delle arti marziali in generale, insegniamo ai ragazzi come ricavare dati da qualunque tipo di file. Per esempio, insegniamo loro a chiedere una foto dell’interlocutore per ricavarne i metadati e capire dove è stata scattata. Se l'interlocutore mente, hanno modo di scoprirlo. Ovviamente lo facciamo con cautela, assicurandoci che certi trucchetti non vengano usati per attaccare. Infine, facciamo fare anche degli esercizi fisici per conoscere noi stessi e ciò che ci fa paura in modo da non essere impreparati e finire nel panico quando veniamo aggrediti, nel fisico o nel digitale, indifferentemente.

Uno dei casi più di successo, tra i vostri allievi?
Una nostra allieva di 14 anni, che chiamerò Beatrice, è stata contattata da un ragazzo di 16 anni, Fabio, che ha cercato di conquistarla. Ma lei sapeva che ogni identità su internet, fino a prova contraria, è falsa. Quindi, seguendo uno dei principi delle arti marziali, cioè che il bersaglio è più forte e l’aggressore lo segue, gli ha proposto di spostarsi da Facebook a WhatsApp. Ottenendo il suo numero di telefono, ha scoperto che Fabio non aveva 16 anni, non era di Torino, ed era un fascista estremista probabilmente pedofilo. Beatrice ha risposto all’aggressione chiamandolo con il suo vero nome, e lui si è allontanato nel giro di 9 minuti. Avete già molte scuole in giro per l’Italia?
Attualmente abbiamo diversi dojo: uno a Genova, uno a Milano, due a Roma e prossimamente ne apriremo uno a Verona. Con che spirito i genitori portano i ragazzi nei dojo? Vedono i corsi come un diversivo rispetto alla piscina o alla scuola calcio?
Spesso i ragazzi ci vedono a scuola e decidono di venire ai nostri corsi, riconoscendo l’importanza della cosa. Molti genitori sono entusiasti, per altri è un modo come un altro per far fare delle attività ai figli. Collaborate anche con le scuole pubbliche?
Ogni tanto andiamo nelle scuole per introdurre il tema del cyberbullismo ai ragazzi, ma questi incontri sono sufficienti soltanto a far capire che esiste. Ci è difficile fare lezioni vere e proprie in un’aula scolastica, perché uno dei nostri punti forti è la costruzione di un gruppo omogeneo. In un’aggressione digitale il gruppo è fondamentale, la solitudine rende vulnerabili. Nelle classi scolastiche, invece, i gruppi precostituiti e certi ruoli resteranno sempre gli stessi.

E il Ministero dell’Istruzione non promuove in nessun modo la vostra attività?
Quest’anno abbiamo aperto un corso di 122 ore per diventare consulente mediatore esperto in cyberbullismo. Rilasciamo un certificato di competenze professionali riconosciuto sia dal MIUR che in tutta Europa. Quindi in un certo senso sì. Avete vari gradi come le cinture delle arti marziali?
Sì, abbiamo 10 livelli segnati da braccialetti in paracord, ovvero corda di paracadute che regge fino a 250 kg. Il primo è bianco e l’ultimo è nero, quelli in mezzo hanno i colori dei fili del cavo ethernet. La nostra cintura nera è il bracciale blu.