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Cosa devi fare se scopri di essere vittima di revenge porn

Abbiamo chiesto a un avvocato cosa fare quando le proprie foto intime vengono condivise senza consenso.
Niccolò Carradori
Florence, IT
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Foto Getty Images/iStockphoto/Erik Khalitov.

Negli ultimi giorni in Italia si è tornati a parlare molto di revenge porn per via di un canale Telegram in cui si condividevano foto intime di donne e ragazze (ma anche foto rubate dai profili Instagram) e materiale pedopornografico. Il gruppo si chiamava "Stupro tua sorella 2.0", conteneva decine di migliaia di iscritti e ora è stato chiuso a seguito delle segnalazioni.

Purtroppo, però, ci troviamo di fronte a un fenomeno che non comincia né finisce con quel canale. E per cui il problema di base non è l'esistenza di Telegram o il fatto che una persona si faccia delle foto intime, come tanti vogliono far credere. Il problema fondamentale è di tipo culturale, con la mancanza di una vera educazione che liberi da pregiudizi, stereotipi, doppi standard e riconosca concetti come libertà sessuale e consenso.

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Per questo motivo, gli strumenti per contrastare il revenge porn devono essere innanzitutto di tipo culturale. È importante continuare a parlarne—e che a parlarne siano anche gli uomini, dato che la condivisione di materiale non consensuale avviene nella maggioranza da parte di uomini (a danno di donne soprattutto, senza sottovalutare il problema nella comunità gay).

Questo post parla però degli strumenti legali a disposizione delle vittime. Per costruirlo ci siamo confrontati con Alice e Martina*, due ragazze che sono state vittime di revenge porn, e con l'avvocato Giuseppe Vaciago, esperto in diritto penale societario e delle nuove tecnologie, e socio fondatore del Tech and Law Center di Milano.

QUALI SONO LE TIPOLOGIE DI LEGGI CHE TUTELANO LE VITTIME DI CONDIVISIONE NON CONSENSUALE DI FOTO E VIDEO?

Ovviamente non parliamo di un solo tipo di foto e video: oltre ai filmati e alle immagini intime ed esplicite, online vengono caricate senza consenso anche foto ritoccate, ad esempio, per sembrare pornografiche (ne è un esempio il caso raccontato qualche giorno fa da Klaudia Poznanska) o trafugate dai social. Quest'ultimo è proprio il caso di Martina, 24enne le cui immagini in costume erano finite su un sito porno, e di Alice, 23enne. Alice è finita sul canale Telegram di cui si è parlato in questi giorni, e spiega: "Le mie foto non erano di nudo. Erano delle mie foto in costume, che avevo messo su Instagram, ma venivano presentate come qualcosa di osceno. Dando il via ad ogni genere di commento sessista e denigratorio."

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Come mi spiega l'avvocato Vaciago, in caso di condivisione non consensuale "ci sono una serie di leggi da tenere in considerazione. Innanzitutto c'è l’articolo 612 ter del codice penale, che riguarda la diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti. Tutte le diffusioni di immagini esplicite e illecite, non solo quelle condivise per vendetta." In secondo luogo, poi, c'è l'articolo 167 del codice della privacy, che tratta "il trattamento illecito di dati, effettuato senza consenso. Prevede delle fattispecie di penale rilevanza, che possono avere delle pene variabili fra sei mesi e tre anni."

Poi, mi spiega Vaciago, c'è il cyberbullismo. "Che non è un reato specifico, ma un insieme di reati. Violenza, diffamazione, revenge porn, stalking, ad esempio. La legge 71 del 2017, che dà una definizione del cyberbullismo, non fornisce però una pena. Quello che prevede è una procedura di ammonimento. E abbiamo una facoltà, che è la rimozione attraverso l’autorità garante per la produzione dei dati." C'è anche il reato di "pornografia virtuale," che si applica ad immagini pornografiche totalmente inventate.

Infine, c'è la pedopornografia. "Punita con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 24.000 a euro 240.000."

GLI SCREENSHOT STAMPATI NON BASTANO COME PROVA PER SPORGERE DENUNCIA

Un argomento spinoso, è la raccolta delle prove per poter denunciare. La prima reazione più comune, infatti, è quella di fare degli screenshot. Come è successo ad Alice: "quando ho deciso di andare a sporgere denuncia, ho realizzato delle immagini delle schermate, le ho stampate e le ho portate alla polizia."

Come chiarisce Vaciago, però, queste prove non sono sufficienti. "Qualsiasi avvocato difensore, in caso di processo, potrebbe sostenere che gli screenshot siano stati manipolati. Per fare una denuncia, servono le prove digitali. Che sono delle evidenze, raccolte attraverso dei servizi online, che garantiscono la veridicità di quanto raccolto. Il modo migliore per fare una denuncia è quello di presentarsi dalle autorità con una chiavetta usb, o un cd, che contengano queste prove, e un breve documento che illustra dove sono state repertate, con tutti i link giusti e diretti. Così si aiutano le autorità a svolgere le indagini nel modo più rapido e funzionale possibile."

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NON SCARICATE MATERIALE CHE NON VI RIGUARDA COME PROVA PER DENUNCIARE

Un'altra possibile reazione iniziale, è quella di estrapolare da queste chat e gruppi tutte le prove che si riescono a rintracciare, anche quelle non relative alla propria persona. Alice mi racconta che in commissariato ha portato solo prove che la riguardavano, ma che nella chat ha trovato molte cose che l'avevano mortificata e colpita: "immagini di donne incinte nude, foto di ragazze minorenni, tutte condivise con commenti osceni e ributtanti."

Nonostante l'indignazione, però, è importante mantenere la calma e non scaricare foto che non ci riguardano. Anche quando lo si vorrebbe fare in buona fede, per denunciare. "È importante capire," mi spiega Vaciago, "che scaricare quelle immagini, o fare degli screenshot, è innanzitutto un atto di rivittimizzazione dei soggetti coinvolti. Quando si sporge una denuncia, lo si deve fare portando solo le prove digitali che ci riguardano direttamente. Se invece si vuole denunciare un gruppo di cui siamo a conoscenza, ma di cui non si è vittime, si può fare un esposto. Le prove devono essere raccolte con grande prudenza, non scaricando niente. Perché, faccio un esempio estremo, se si tratta di foto di minori, si sta commettendo un reato grave anche solo detenendole."

TRE STRADE DIVERSE PER CHIEDERE AIUTO

L'aiuto che le vittime ricevono, e l'impressione che queste ne ricavano, spesso varia da situazione a situazione. Martina*, ad esempio, che si è ritrovata coinvolta nella diffusione di materiale non consensuale insieme a una cinquantina di ragazze collegate tra loro, dice: "io mi sono rivolta alla polizia e hanno agito quasi subito. Ma non so se sarebbe stato lo stesso senza fare leva sulle conoscenze." Per Alice, invece, non c'è stata una risposta immediata: "ho fatto denuncia lo scorso 28 febbraio, e non è successo praticamente niente. La persona che l'ha raccolta, poi, mi ha fatto anche un discorso polemico sull'opportunità di mettere certe foto sui social, facendomi sentire molto a disagio." Da allora, ha denunciato pubblicamente la sua esperienza discutendone anche sulla pagina dell'avvocata Cathy La Torre.

Come mi spiega Vaciago, ci sono tre livelli di sostegno: le forza dell'ordine, gli avvocati e le associazioni di categoria e forme di aiuto stragiudiziale. "Il primo caso è quello giudiziario: solitamente si va dalla polizia postale, che ha competenze in materia digitale. Ma è importante chiarire che la polizia postale non è l'unica forza dell'ordine che è competente in materia: si può anche andare dai carabinieri, in questura…"

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"Poi ci si può rivolgere ad un avvocato, o a un'associazione di categoria [ce ne sono svariate, come ad esempio Odiare Ti Costa], per ottenere supporto legale, e capire meglio come muoversi per denunciare e perseguire la strada giudiziale."

Infine c'è la via stragiudiziale: rivolgersi a delle start up a vocazione sociale (come Chi Odia Paga, ma anche qui ce ne sono molte), che offrono la cristallizzazione delle prove digitali, e aiutano le vittime ad ottenere rimozione dei contenuti sulle piattaforme, quando possibile. "Se la foto non è diventata virale—come purtroppo avvenuto in alcuni casi tristemente celebri—ci sono concrete possibilità di poterla rimuovere dalle piattaforme in cui è stata scaricata."

NON PUBBLICATE ONLINE I NOMINATIVI DI CHI HA CARICATO LE VOSTRE FOTO

Decidere di rendere pubblica la propria esperienza, spiega Alice, "mi ha aiutato molto, e ho ricevuto l'affetto e il supporto di tante ragazze che avevano subito lo stesso torto."

Ci sono, però, dei comportamenti da evitare quando si decide di rendere pubblica la propria storia online. Alcuni ad esempio, presi da un'indignazione sacrosanta, decidono di fare i nomi, quando li conoscono, di coloro che hanno condiviso le foto. Un'azione pericolosa. Secondo Vaciago è necessario mantenere la calma, e lasciare che la legge faccia il suo corso: "Si rischia seriamente una denuncia per diffamazione. Solo l'autorità giudiziaria può decretare la colpa definitiva di qualcuno, perché esiste la presunzione di innocenza. Quindi bisogna avere i nervi saldi, esercitare i propri diritti nelle sedi opportune, e renderle pubblici i nomi solo quando sono stati totalmente acclarati."

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COSA FARE SE SI VIENE AGGIUNTI IN CANALI DEL GENERE

Come sappiamo, a volte capita di essere aggiunti in questi canali o chat, senza sapere cosa contengono. Come comportarsi, quindi, quando accade? "Il primo consiglio che mi sento di dare in relazione a questa evenienza," mi dice Vaciago, "è quello di eliminare subito la condivisione automatica di foto dai sistemi di messaggeria istantanea alle gallerie (sia interne, che in cloud) del vostro dispositivo. Se dovesse capitarvi di scaricare senza volerlo delle immagini pedopornografiche, per fare un esempio estremo, vi trovereste in una situazione grave. Perché già detenerle è un reato, e cancellarle potrebbe essere considerata un'aggravante. Se dovreste trovarvi in questa situazione, vi consiglio di chiamare subito un avvocato."

Nel caso di immagini di non appartenenti a minori, scaricate senza volerlo, la soluzione migliore è quella di cancellare tutto immediatamente. "Stando attenti ad eliminare le foto anche dai sistemi cloud."

Per il resto, dovreste uscire subito da questi gruppi, segnalandoli subito alle piattaforme di competenza. Se volete, potete fare un esposto alle forze dell'ordine, ma dovete essere certi di raccogliere le prove nel modo giusto, senza scaricare immagini che non vi appartengono.

*Il nome è stato modificato per tutelarne la privacy.

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