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Identità

Sono intersessuale: mi hanno detto che non esistevo

Essere intersex significa avere caratteri sessuali che non rientrano nelle tipiche nozioni di maschile e femminile: per Marleen era un segreto, ma ora vuole parlarne.
Giacomo Stefanini
traduzione di Giacomo Stefanini
Milan, IT

Marleen è una ballerina e commediografa olandese. È anche intersex.

Le persone intersessuali hanno caratteri sessuali esterni ed interni—come ormoni, organi genitali, organi riproduttivi—che differiscono dalla definizione normativa di “uomo” o “donna”. Le statistiche riportano una moltitudine di dati diversi: alcune sostengono che nasca intersex una persona ogni 2000, altre che sia più frequente, fino all’1,7 percento della popolazione.

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Marleen ha la sindrome da insensibilità agli androgeni: è nata con i tipici cromosomi maschili, ma essendo insensibile agli ormoni maschili, ha sviluppato caratteri sessuali femminili.

Di recente ha concluso l’Accademia delle arti ad Amsterdam presentando una pièce teatrale sull’intersessualità, interpretata insieme ad altri cinque attori intersex. Ho parlato con Marleen dell’opera e di come essere intersex abbia influito sulla sua vita e sulle sue relazioni.

VICE: Ciao Marleen, la tua performance s’intitola XY WE. Che cosa significa?
Marleen:
Quando avevo 14 anni, a lezione di biologia abbiamo studiato i cromosomi. Io ho chiesto al mio insegnante se era possibile che una persona nascesse con i cromosomi XY, quindi maschio, ma fosse insensibile agli ormoni maschili, essenzialmente diventando femmina—praticamente, la mia condizione. “No, è impossibile,” ha risposto lui. In pratica, mi ha detto che io non esistevo. XY WE rappresenta la nostra esistenza.

Voglio che le persone capiscano che non è tutto bianco o tutto nero. Si sente spesso dire che in natura esistono solo maschi e femmine, ma l’intersessualità è la testimonianza pratica che ciò non è vero. C’è chi chiede: “Quante altre lettere dobbiamo aggiungere a LGBTQI+?” Ma non è che “saltano fuori” altre identità, siamo sempre state lì. Solo che, oggigiorno, non abbiamo paura di farci notare.

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Marleen, persona intersex

Marleen.

Come hai trovato gli attori intersex?
Non sono “veri” attori, e comunque c’è voluto un bel po’ di tempo. Ma sono riuscita a contattarli grazie a NNID, un’associazione per la diversità di genere con cui collaboro. La cosa più bella è che tra tutti e sei siamo la prova vivente che non esiste uno standard di persona intersex. L’attore più anziano ha 79 anni, il più giovane 18.

Come si sono accorti che eri intersex i tuoi genitori?
Quando avevo cinque anni sono stata ricoverata per un’ernia inguinale bilaterale. Avevo i testicoli ritenuti nell’addome. Oggi vengono lasciati dove sono, ma a me li hanno rimossi. I dottori hanno detto che erano cancerosi, ma io ne dubito. Penso che volessero solo seguire delle norme sociali, tipo: “Se non corrisponde al genere, togliamoli.”

Non ho il ciclo mestruale perché non ho l’utero, né le ovaie, né le tube di Falloppio.

A che età ti sei resa conto del significato di tutto ciò?
Dai dieci anni in poi i miei genitori hanno iniziato a farmelo capire per gradi. Come il fatto che non posso avere figli. Allora pensavo che fosse una capacità speciale. A 12 anni mi hanno spiegato la questione dei cromosomi XX e XY, e da lì sono entrata in un gruppo di sostegno.

I dottori hanno sempre detto che era meglio non parlarne con nessuno, perché nessuno avrebbe capito. Di conseguenza, sono cresciuta nascondendo questa parte. Se dovevo andare all’ospedale, mi inventavo qualcosa. Facevo anche finta di avere il ciclo. Mi portavo sempre dietro degli assorbenti per poterli prestare a un’amica se ne aveva bisogno.

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Che conseguenze hanno avuto su di te tutte queste bugie?
Mi sentivo sola. Mi sentivo diversa e strana, come se ci fosse un mostro dentro di me. Pensavo che se la gente l’avesse visto mi avrebbe inseguita con le torce e i forconi gridando “bruciate quella strega!” Con questa performance ho imparato che è un sentimento molto comune tra le persone intersex. Abbiamo sempre dovuto tenere un segreto. È per questo che ci è voluto così tanto a trovare il coraggio di parlarne.

Hai avuto altre conseguenze di tipo medico, a parte dover prendere gli ormoni per lo sviluppo puberale?
A 16 anni il mio canale vaginale era di dimensioni ancora molto ridotte. Un medico mi ha dato questo aggeggio per “allargarlo”, senza però aggiungere delle istruzioni. Mi ha visitata sei mesi dopo e mi ha detto che stavo sbagliando tutto e che dovevo usare il lubrificante. La porta di camera mia non si chiudeva a chiave, quindi lo facevo nell’angolo dietro la porta dove nessuno poteva vedermi. Un po’ di tempo dopo, una sessuologa mi ha spiegato che avrei dovuto farlo da sdraiata. Trovo curioso anche che nessuno si sia preoccupato di chiedermi se ero attratta dagli uomini o dalle donne, o di spiegarmi che c’erano altri modi di fare sesso al di là della penetrazione.

Eri in grado di parlarne con i tuoi?
Era un argomento talmente spinoso che preferivo evitare. Se ne parlavamo, chiudevano le porte in modo che nessuno potesse sentire. Quando ne ho parlato con mia cugina, mia madre mi ha chiesto se avessi specificato che non poteva dirlo a nessuno. Durante una sessione di psicoterapia, ho fatto una litigata furiosa con i miei riguardo a tutta questa segretezza. Così ho scoperto che stavano seguendo i consigli di otto diversi professionisti, tra medici e psicologi, che dicevano che era meglio così. Non è stato facile neanche per loro.

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Quando hai iniziato a parlarne apertamente?
È stato bello poter parlare con persone come me nel gruppo di sostegno ed esprimere i miei sentimenti quando avevo 12 anni. A parte loro, non ne ho mai parlato più di tanto con nessuno a parte un’amica. Quando avevamo 22 anni mi ha fatto capire che secondo lei avrei dovuto consultare uno psicoterapeuta perché avevo iniziato a considerarmi un’aliena. Se un tipo diceva di essere attratto da me, mi sembrava impossibile—perché non mi conosceva. Non ero in grado di avere relazioni, mi spaventavano, mentre tutte le mie amiche erano fidanzate. Il mio psicologo mi ha spiegato che quei ragazzi mi conoscevano eccome, a parte quel lato di me. Ho dovuto imparare che il fatto di essere intersex fa parte di me, ma non è tutto.

Piano piano, ho iniziato a dirlo ai miei amici. Io ho pianto ogni volta, ma tutti hanno reagito normalmente. Una ha detto: “E chi se ne frega di che cromosomi hai. Tu sei e sarai sempre Marleen.”

Quando avevo 25 anni, ho deciso di raccontare la mia storia con una performance. Avevo deciso di salire su un palco davanti a dei completi sconosciuti, nonostante avessi ancora zie e zii che non sapevano nulla. A 15 giorni dalla prima, ho condiviso su Facebook un video di divulgazione medica a cui avevo partecipato. Quello è stato il mio “vero” coming out. Tremavo, pensavo che sarei stata aggredita da una folla inferocita, ma ho ricevuto soltanto risposte incoraggianti. A ogni risposta tiravo un sospiro di sollievo vedendo che quella persona voleva ancora avere a che fare con me. Qualcuno ha scritto “Bad bitch!” e mi sono sentita sollevata vedendo che si riferiva ancora a me come a una donna.

Come stai oggi? Senti ancora il ‘mostro’ dentro di te?
Oggi lo vedo come una specie di mostro interessante e artistico. L’ho interiorizzato così tanto che mi sembra ancora innaturale parlarne “normalmente”. Stamattina il mio ottico mi ha chiesto di che cosa parla la mia performance. La mia prima reazione è stata di inventarmi qualcosa, ma poi ho detto che trattava di persone intersex, come me. “Ah, autobiografica!” ha detto, con un tono di compiaciuta sorpresa.

I miei genitori a volte mettono in dubbio se sia giusto continuare a farlo, ma condividere la mia esperienza mi aiuta ad affrontarla. Se ripenso alla pubertà, la solitudine è la sensazione che sento di più. Se solo non mi avessero detto di tenere tutto segreto. Mi fa arrabbiare, ma il mio attuale medico dice che a quei tempi non sapevano proprio come gestire questa cosa. I dottori oggi riconoscono che non era una buona idea, e all’attore 18enne della nostra pièce nessuno ha consigliato di tenerlo per sé. Ma c’è ancora molto lavoro da fare.