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Tecnologia

Le nuove reazioni di Facebook sono un incubo

Quando il nostro visionario preferito le aveva presentate lo scorso ottobre mi avevano preoccupato, ma oggi mi hanno definitivamente rovinato la giornata.

Avevo appena finito di smaltire l'astio e la paura che mi erano serviti per spiegare pubblicamente perché Mark Zuckerberg abbia cominciato a farmi paura, ed ecco che il mio super-ricco-tech-visionario preferito ne fa un'altra delle sue.

Era l'ottobre dello scorso anno quando Facebook ha dato il via, in Spagna e Irlanda, alla fase di testing dei nuovi tasti 'Mi Piace'. Oggi Zuck, percependo l'evidente buon umore che la sua figura mi trasmette, ha deciso di estendere le nuove 'Reazioni' a tutto il mondo. In totale, da oggi, avremo sei modi per esprimere le nostre emozioni su Facebook: un classico 'Mi Piace', un 'Love', un 'Ahah', un 'Wow', un 'Sigh' e, infine, un eloquente 'Grr'.

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Sarò chiaro sin da subito: non mi piacciono — Grr, sigh. Il primo problema è che, andando a interferire con l'immediatezza del 'Mi Piace', disturbano 'l'esperienza Facebook' che Zuckerberg aveva costruito. Finora infatti, per specificare il tipo di reazione che un post su Facebook ci provocava, avevamo a disposizione tre strumenti estremamente chiari sia dal punto di vista pratico che semiotico: il 'Mi Piace' corrispondeva ad un apprezzamento generico e neutrale del contenuto, un 'Commento' implicava l'intenzione di contribuire con un valore aggiunto al contenuto, mentre un 'Condividi' evidenziava un'intenzione marcata di rendere partecipi i nostri amici di quel contenuto.

Come avevo già detto nel commento all'inizio della fase di testing, il meccanismo sfruttato finora ha permesso la creazione di un sistema di interazioni estremamente armonico: ci sono i commenti e le condivisioni per gli interventi più sentiti e per quanto riguarda i 'Mi Piace' tutto fila liscio perché, vista la velocità con la quale è possibile dispensarli, l'utente tende a non fare economia. Diversificare il tipo di reazioni che gli utenti possono esprimere non solo rende l'azione molto più lenta, in particolare perché da oggi l'utente dovrà capire come reagire al contenuto, ma consegna a Facebook anche altri frammenti del passepartout per la nostra privacy: a Zuckerberg non basta più un database di parole, immagini e pensieri che a noi piace avere sotto gli occhi, ora vuole anche sapere come quegli stessi contenuti ci fanno sentire.

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'Mi Piace', 'Love', 'Ahah', 'Wow', 'Sigh' e 'Grr'. Nel mondo di Facebook non c'è spazio per altro.

Non voglio essere frainteso: il cambiamento c'è stato e finirò per accettarlo — Non sarà oggi, non sarà domani, ma tra poco anche io mi interfaccerò a Facebook sfruttando questo nuovo meccanismo, e dopo forse qualche settimana di instabilità gli ingranaggi del sistema ricominceranno a ruotare fluidi e paciosi. Proprio a questo, però, il danno diventerà mostruoso.

Ciò che mi terrorizza, ancora più che l'ulteriore invasione della mia privacy, è la consapevolezza che il mio amico Zuckerberg abbia deciso di categorizzare in maniera così rigida i miei sentimenti. Infatti diversificare le reazioni significa, paradossalmente, rendere ancora più limitata la nostra capacità di espressione all'interno della piattaforma.

Questo nuovo sistema non è altro che un set predefinito di "modi di reagire" dai quali non si può scappare, uno spettro emotivo tagliato col coltello che prima poteva essere definito con un commento ma che da ora sarà inscatolato in una serie di piste cognitive già impacchettate e pronte per l'uso — Appunto: 'Mi Piace', 'Love', 'Ahah', 'Wow', 'Sigh' e 'Grr'. Nel mondo di Facebook non c'è spazio per altro. Se già oggi il termine 'Mi Piace' è entrato a far parte delle nostre espressioni idiomatiche comuni, cosa succederà quando le nuove 'Reazioni' verranno completamente assorbito dalla nostra 'Esperienza Facebook'?

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È vero, e l'avevo già confessato: ormai quando parlo di Facebook e Zuckerberg rasento i limiti della paranoia patologica — Il problema è che c'è un illustre precedente. Nel 2012, per una settimana, Facebook ha condotto un esperimento sociale sulla piattaforma alterando gli algoritmi che determinavano quali contenuti sarebbero dovuti apparire sulle bacheche di 689.003 utenti di Facebook scelti casualmente.

Due anni dopo, nel 2014, il team di ricerca ha pubblicato i risultati per Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). "Visto che gli amici di una determinata persona spesso producono molti più contenuti di quanti ne possano essere visti da una singola persona, Facebook sfrutta un algoritmo per determinare quali contenuti siano i più importanti e rilevanti per ogni utente," si legge nello studio.

L'esperimento in questione ha, per una settimana, filtrato determinati contenuti sulla base del loro valore 'emotivo'. Analizzando la semantica dei post, i contenuti venivano classificati come 'positivi' o 'negativi'. La teoria è piuttosto semplice: l'esperimento voleva verificare quali alterazioni colpissero gli utenti quando, sulle loro bacheche, venivano eliminati o i contenuti positivi o quelli negativi.

"Le persone che hanno subito una riduzione dei contenuti positivi nei loro feed hanno incominciato a utilizzare un maggior numero parole appartenenti a un campo semantico negativo, riducendo quelle positive — L'inverso succedeva quando i contenuti a essere ridotti erano quelli positivi," si legge nello studio. "Questi risultati suggerisono che le emozini espresse dagli amici sui social network online influenzano il nostro umore, costituendo, per quanto ne sappiamo, la prima prova sperimentale di contagio emotivo su larga scala su social network."

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In breve: sì, i social network come Facebook influenzano il nostro modo di pensare — Di conseguenza, credo di poter con sufficiente sicurezza che anche gli stessi strumenti offerti da Facebook per esprimere le nostre emozioni sulla piattaforma, come le nuove 'Reazioni', su lungo termine influenzeranno il nostro modo di pensare.

Nel caso dell'esperimento del 2012, però, gli utenti non erano stati messi formalmente al corrente di questo esperimento —

Ma questa è un'altra storia

. Quello che importa, ora, è essere coscienti delle influenze che cambiamenti di questo genere possono avere su di noi, gli utenti di Facebook. Riconosco che piegarsi a essi sarà inevitabile, ma, come si dice, riconoscere il problema è il primo passo per risolverlo.

Segui Federico su Twitter: @nejrottif