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Perché la fantascienza di Ursula K. Le Guin ha ancora tanto da insegnarci

La letteratura di Le Guin è in grado di cambiare il modo di raccontare il reale e, forse, di salvarlo.
Giulia Trincardi
Milan, IT
Immagine: Jack Liu

Ursula K. Le Guin — illustre autrice americana di numerosi romanzi fantastici e di fantascienza — è morta lo scorso 22 gennaio a 88 anni, nella sua casa di Portland, in Oregon. La notizia è circolata questa mattina, insieme ai messaggi di commiato espressi da altri grandi scrittori, come Stephen King e Neil Gaiman, su Twitter.

La sua produzione letteraria ha spaziato da titoli per bambini e cicli fantasy — come quello di Earthsea, da cui è stato poi tratto il film in animazione I racconti di Terramare dello Studio Ghibli — a elaborati romanzi di fantascienza — come i più famosi La mano sinistra delle tenebre e I reietti dell’altro pianeta, per cui ha vinto diversi premi —, che dipingono in modo sfaccettato società utopiche e futuribili.

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I mondi di finzione che Le Guin ha creato a partire dagli anni Sessanta sono comunemente descritti come “utopie femministe,” per il tipo di critica politica che l’autrice ha rivolto a dinamiche sociali, economiche e culturali dominanti del contemporaneo, riflettendo su temi come sessualità e genere, razzismo, capitalismo ed ecologia — il tutto tra astronavi e pianeti in galassie lontane.

Quella di Le Guin è una letteratura in grado di cambiare il modo di raccontare il reale e, forse, di salvarlo.

Per quanto la fantascienza in generale sia un genere che si presta storicamente a commentare il contemporaneo più di altri, quella di Le Guin è — per dirlo con le parole di un’altra grande filosofa femminista, Donna Haraway — una letteratura in grado di cambiare il modo di raccontare il reale e, per questo, forse, anche in grado di salvarlo.

È possibile dire che la realtà che ci circonda sia stata co-costruita almeno in parte dalla fantascienza dei decenni passati: ci troviamo a parlare di robot e intelligenze artificiali, di colonizzare Marte, di come scoprire pianeti abitabili ad anni luce da qui. Il modo in cui lo facciamo è esattamente quello che prevedevano autori come Philip K. Dick e Isaac Asimov: siamo pronti a colonizzare l’universo e a introdurre la massiccia forza lavoro di robot progettati a nostra immagine e somiglianza, ma ci contrapponiamo a entrambi ancora su un piano esistenziale, con la diffidenza che riserviamo, come razza umana, a tutto ciò che è altro da noi.

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L’altra faccia di questa medaglia è il rischio — in un momento in cui il genere in questione è ormai lontano dall’essere considerabile come una nicchia —, che la fantascienza sia più visiva che visionaria: abbiamo costruito immaginari immensi per trasformarli in un canone facile da replicare ma forse difficile da de-costruire.

Suona paradossale — considerato come tante delle sue opere risalgano a quasi mezzo secolo fa — ma la fantascienza di Le Guin è forse quella di cui abbiamo maggiormente bisogno ora, se vogliamo confidare in mondi fantastici che riflettano ad ampio spettro i dibattiti più urgenti del nostro tempo. Questo, perché offre un’interpretazione inattesa delle nostre preoccupazioni e mettendo al centro di ognuna di esse il ruolo complesso dell’individualità umana.

L’ambigua utopia della società anarchica del pianeta Anarres di I reietti dell’altro pianeta, per esempio, insieme alla fragilità del protagonista nel relazionarsi con il proprio egoismo intellettuale e il bene collettivo, fanno eco alla critica del capitalismo e alle potenziali rivoluzioni (o tracolli) socio-economici dati dall’avvento dell’automazione.

La popolazione ermafrodita del pianeta Gethen di La mano sinistra delle tenebre, vista tramite gli occhi del protagonista “alieno” del libro, ci spinge a riflettere sulla sessualità e la definizione di generi sessuali — sul valore e il diritto alla diversità d'identità.

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"Ci siamo moltiplicati e ci siamo ingozzati e abbiamo combattuto finché non è rimasto più nulla, e poi siamo morti."

Persino la seduzione come arma sociale — un tema al centro di numerosi e faticosi dibattiti ultimamente —, nel dialogo che Le Guin instaura tra donne “trofeo” di Urras e la sessualità libera e paritaria di Anarres, è analizzata con un’umanità rara ed esente da giudizi morali, che sottolinea il potere che un sistema ha sulla percezione e sulla definizione di libertà personale. La nostra funzione sociale, ci dice Le Guin, è tale solo finché accettiamo come immutabile il sistema che la impone.

Ancora, l’ecologia — una tematica di sicuro comune a molta letteratura di fantascienza, ma imperante nella produzione di Le Guin — è vista tramite gli occhi di un’umanità che ha fallito nel conservarsi come specie. "Il mio mondo, la mia Terra, è una rovina. Un pianeta rovinato dalla specie umana. Ci siamo moltiplicati e ci siamo ingozzati e abbiamo combattuto finché non è rimasto più nulla, e poi siamo morti," racconta l'unico, malinconico personaggio terrestre di I reietti dell'altro pianeta. "Puoi vedere ancora dappertutto le vecchie città. Le ossa e i mattoni vanno in polvere, ma i piccoli pezzi di plastica no… anch’essi non s’adattano. Noi abbiamo fallito come specie, come specie sociale.”

Non sono cataclismi, forze aliene o rivolte artificiali che i personaggi di Le Guin devono affrontare, ma le proprie responsabilità umane. I suoi personaggi non lottano per definire la propria identità come intrinsecamente opposta all'altro, ma per comprendere fino in fondo un universo intero che non può che mutare costantemente e così il ruolo degli esseri umani al suo interno.

Ora più che mai, questa ricerca di consapevolezza come specie dovrebbe essere il motore delle nostre riflessioni, tanto quelle fantascientifiche che quelle reali. Per fortuna, Ursula K. Le Guin ci ha dato gli strumenti per imparare a farlo.