FYI.

This story is over 5 years old.

News

A Catania ci si immola in piazza

Il 19 settembre, il 56enne Salvatore La Fata si è dato fuoco dopo essere stato multato dai vigili urbani per la sua bancarella. Dopo 11 giorni è morto, eppure la sua storia è passata praticamente inosservata.

Uno dei mercati storici di Catania in piazza Carlo Alberto. Foto via Flickr.

Due anni fa sembrava che i suicidi-per-disperazione-causa-crisi avrebbero estinto la popolazione italiana nel giro di pochi mesi. La Repubblica, ad esempio, parlava di “drammatico bilancio,” mentre Il Messaggero di “lungo stillicidio.” Toni allarmistici di questo genere sono andati avanti per mesi, finché un’analisi di Wired, conclusasi con un perentorio “i suicidi non sono aumentati per la crisi,” calmò i titolisti e i redattori dei principali media italiani. “L’emergenza suicidi” cadde poi nel dimenticatoio, come se all'improvviso questi fossero cessati.

Pubblicità

L’allarme è riemerso all’inizio del 2014, quando una seconda fase di “allarme suicidi” è seguita alla pubblicazione dello studio di LinkLab. Secondo il laboratorio di ricerca socio-economico dell’Università Link Campus, i suicidi avvenuti in Italia nel corso del 2013 per motivazioni economiche sarebbero stati 149, rispetto agli 89 del 2012. “Un suicidio ogni due giorni e mezzo” è stato per diversi giorni il mantra di quegli stessi titolisti e redattori (qui, qui, qui, e la lista potrebbe continuare a lungo).

Ed esattamente come nel 2012 sono tornati anche i dubbi statistici. Un post sul blog Il Salto Di Rodi evidenza tutte la difficoltà (se non l’impossibilità) di dimostrare un legame causale tra crisi economica e suicidi. Di conseguenza, le conclusioni dell’università privata romana sono ben poco attendibili se non false, o addirittura—speriamo di no—pensate dall’istituto per promuoversi sui media nazionali.

Ma se la statistica è fallace, questo non significa che i suicidi non avvengano. Recentemente, nel silenzio pressoché generalizzato, il siciliano Salvatore La Fata—operaio edile 56enne senza lavoro da due anni e mezzo, attivo sul versante sindacale (era iscritto alla Fillea-Cgil) e reinventatosi venditore ambulante per poter mantenere la moglie e i due figli adolescenti—ha deciso di suicidarsi a Catania.

Il 19 settembre scorso in piazza Risorgimento, appena fuori dal centro storico cittadino, La Fata si è dato fuoco dopo essere stato multato per 3.000 euro dai vigili urbani. L’uomo è poi morto il 30 settembre all’ospedale Cannizzaro di Catania, dopo undici giorni di agonia causati dalle gravissime ustioni sul corpo.

Pubblicità

Se la morte di La Fata potrebbe per certi versi evocare l’immolazione di Mohammed Bouazizi, il venditore ambulante tunisino che nel 2011 ha contribuito a innescare quella che da lì a poco sarebbe diventa la rivoluzione contro l’ex presidente tunisino Ben Ali, quanto successo dopo è totalmente diverso. In Italia, infatti, nonostante gli appelli della famiglia—uniti a un sit-in in piazza, un presidio dei sindacati e una menzione in parlamento da parte dell'On. Giulia Grillo, M5S—la storia del 56enne è presto finita nel dimenticatoio.

Negli ultimi anni in Italia gli episodi di uomini che hanno deciso di darsi fuoco per protestare contro una situazione economica diventata insostenibile sono stati diversi. Alcuni esempi: l’11 agosto del 2012 Angelo Di Carlo, 54 anni, si è immolato all’una di notte davanti alla Camera dei Deputati; il 17 maggio 2013 Mauro Sari, 47 anni, si è bruciato a Vado Ligure, provincia di Savona; il 18 ottobre 2012, Florian Damian, 55enne romeno, ha deciso darsi fuoco davanti al Quirinale; e ancora, nel vibonese, l’aprile scorso, un camionista di 38 anni si è dato fuoco dopo sei mesi di disoccupazione.

Foto del sit-in a Catania, via Facebook.

Il 30 settembre scorso, il giorno della morte di La Fata, ero a Catania, e ho cercato di ricostruire gli eventi di 11 giorni prima, poiché non è ancora del tutto chiaro come siano andate le cose. Secondo una giornalista catanese occupatasi del caso, e che che ho intervistato, dopo aver ricevuto la multa il 56enne avrebbe tentato in ogni modo di spiegare ai vigili la propria situazione economica senza però riuscire a suscitare simpatia o solidarietà.

Pubblicità

A quel punto La Fata ha afferrato una bottiglietta, ha attraversato la strada per raggiungere la stazione Eni davanti a lui, ha riempito quella bottiglietta di benzina e si è versato addosso il liquido mentre tornava verso i vigili per un ultimo disperato tentativo. “Mi do fuoco, se non mi togliete la multa mi do fuoco,” avrebbe detto. Secondo quanto affermato da un passante, i vigili—considerandola probabilmente una provocazione—avrebbero riposto con queste parole: “Bruciati pure, ma fallo più in là che noi dobbiamo fare il verbale.” Detto, fatto: è bastato un attimo perché La Fata fosse in fiamme.

“I vigili non si aspettavano nulla del genere,” mi dice il vice-comandante dell’unità di Catania Stefano Sorbino. “Sono rimasti increduli, paralizzati. Sono certo che non volessero in alcun modo contribuire a quanto poi effettivamente accaduto.” Una volta datosi fuoco, l’uomo avrebbe camminato avvolto dalle fiamme per diverse decine di secondi prima di riuscire ad afferrare un secchio d’acqua e tentare di estinguere le fiamme. Per i vigili, La Fata si muoveva troppo per poter correre in suo soccorso con una coperta che avevano a portata di mano. In città, raccontano, i casi di ambulanti che bruciano i propri banchetti dopo essere stati fermati dai vigili sono stati diversi.

“Ero in negozio e ho visto una fiammata dalla finestra,” mi racconta la titolare di un negozio situato proprio davanti al luogo dell’accaduto, “e ho impiegato diversi secondi per capire esattamente cosa stesse succedendo. Quello che fa male però, e fa male davvero, è che sì La Fata era un abusivo, ma quello dei vigili è stato l’ennesimo gesto di uno stato forte con i deboli, e debole con i forti. Sapesse quante persone ci sono a Catania che andrebbero multate prima di La Fata.”

Pubblicità

Dopo la tragedia non sono mancate le solite dichiarazioni post-mortem dei rappresentanti delle parti sociali. Su Repubblica Palermo si leggono per esempio quelle del segretario generale della Camera del lavoro di Catania, Giacomo Rota, a cui fanno eco quelle della segreteria provinciale della Cgil: “A Catania sta montando una rabbia pericolosa che deve preoccuparci tutti. Le istituzioni devono subito farsi carico di questa situazione. Catania resta ancora una straordinaria realtà industriale in Sicilia che può assicurare sviluppo e lavoro, non può essere abbandonata come sta avvenendo da troppo tempo”.

Da troppo tempo, appunto. La situazione economica della seconda città della Sicilia è grave da anni, anche prima della recessione, e i dati su disoccupati e ricorsi alla Cassa Integrazione lasciano poco spazio ai dubbi. Inoltre, proprio il giorno prima del gesto di La Fata l’ex sindaco Raffaele Stancanelli, assieme a due ex assessori al Bilancio, il responsabile pro tempore della direzione ragioneria generale del Comune e altri 16 funzionari, sono stati accusati di aver falsato i bilanci del comune nel 2009, 2010 e 2011 per un totale di 78 milioni di euro.

E se le casse del comune sono vuote, in città la situazione non è certo migliore. Girando per Catania lo stato di abbandono è per lo meno percepibile: in quartieri popolari come San Cristoforo, dietro al centro storico, molti negozi sono chiusi e le saracinesche abbassate sono ricoperte di graffiti. Secondo i  numeri di un recente studio di Confesercenti, con il 27 percento Catania è la terza città d’Italia per numero di botteghe non affittate.

Pubblicità

Nonostante una situazione al limite del sopportabile, persino ricostruire gli ultimi minuti del 56enne è difficile, specialmente se in casi come questi ci sono di mezzo le forze dell’ordine.

Tra i negozianti di Piazza Risorgimento presenti quella mattina e che ho provato a intervistare non parla quasi nessuno, e quando qualcuno racconta non è quasi mai la verità. Quando chiedo a un uomo se ha visto qualcosa risponde, “No, no, ero girato in quel momento. Non ho visto nulla purtroppo, mi dispiace, vorrei aiutarla.” Vado dal vicino per fare la stessa domanda e questo spiega che “lui [quello a cui avevo parlato prima] ha visto tutto e forse potrebbe dirti qualcosa.”

Torno, quel lui adesso è sparito; c’è però il figlio, che racconta come il padre ha visto e anche scattato delle foto quella mattina. Me le mostra e si nota il vicino (che ha appena detto di non aver visto nulla) con in mano un estintore mentre si avvicina a La Fata tra le fiamme ormai spente. E se alcuni cittadini non parlano, le autorità non sono da meno. La procura di Catania si sarebbe  rifiutata di aprire un fascicolo sul caso nonostante la famiglia abbia presentato una denuncia in cui si accusano i vigili di “istigazione al suicidio e omissione di soccorso.”

Anche l’unico video in grado di fare un po’ di chiarezza sulla vicenda (quello della stazione dell’Eni in cui La Fata ha preso la benzina) sembra essere sparito nel nulla. Stando a quanto riporta Repubblica Palermo, il video sarebbe stato consegnato ai carabinieri. Ma il maresciallo Meli smentisce la circostanza, dicendomi che il video si trova in mano “ai vigili, i quali seguendo la procedura l’avranno probabilmente consegnato alla magistratura.”

Questi ultimi, dal canto loro, affermano di non avere né il filmato, né la lista dei nomi degli agenti in pattuglia lo scorso 19 settembre. Nel frattempo, il 5 ottobre si sono svolti i funerali di La Fata; il giorno seguente il comune ha indetto un “giorno di lutto”. Ma anche in questo caso, la sensazione è che la morte di La Fata rimarrà l'ennesima storia da dimenticare.

Segui Alberto su Twitter: @albertomucci1