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Tecnologia

Gli acceleratori del futuro faranno surf sull'antimateria

Letteralmente.

Non ci saranno pause per la fisica delle particelle dopo il Large Hadron Collider. La comunità di ricerca internazionale ha infatti stabilito il prossimo progetto ancora prima che il LHC cominciasse a fracassare protoni. Il progetto più avanzato con simili intenti è l'International Linear Collider, che diventerà il più lungo acceleratore di particelle del mondo, con un sistema di tunnel lungo almeno 30 km.

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La lunghezza è importante per via di un parametro conosciuto come gradiente massimo di energia. Se, metaforicamente, la carica equivale alla gravità e le particelle a delle palle da bowling, il gradiente massimo di energia sarebbe la pendenza di una collina. Una collina ripida può far rotolare la palla da bowling molto velocemente in uno spazio contenuto, mentre una collina poco ripida può ottenere lo stesso risultato aumentando la propria lunghezza. Una volta raggiunto il gradiente massimo di energia siamo obbligati ad aggiungere altro spazio per ottenere le energie desiderate. Ecco spiegate le dimensioni di questi tunnel.

E se ci fosse un altro modo? I fisici allo SLAC National Accelerator Laboratory negli Stati Uniti hanno ipotizzato un'alternativa più efficace, secondo quanto scritto in un articolo pubblicato la settimana scorsa su Nature. Si chiama plasma wakefield acceleration [accelerazione al plasma] ed è nota dal 2007, ma finora è stata in grado di accelerare solo elettroni. Per la prossima generazione di esperimenti gli scienziati sono interessati alle collisioni tra elettroni e positroni (i compagni anti-materici degli elettroni), per il fatto che i risultati sono più "definiti." Il punto è che far schiantare positroni ed elettroni tra loro richiede un sacco di energia.

Il principio che sta alla base dell'accelerazione al plasma è piuttosto semplice. Si inizia con un fascio di plasma, dove un mucchio di atomi sono in pratica sminuzzati in elettroni liberi e nuclei atomici puri, ovvero ioni carichi positivamente. Questo fascio è elettricamente neutro nel complesso, ma non lo è atomo per atomo—si tratta di una media. Le cariche positive e negative sono pari tra loro, ma non sono incastrate insieme a formare atomi neutri. Qualsiasi plasma ha una "densità," che è relativa alla proporzione di elettroni liberi in giro (rispetto a quelli legati a un nucleo).

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Si spara poi un raggio di elettroni contro il plasma, il cui effetto è quello di respingere tutti gli elettroni liberi, che sono allontanati in onde dense. Subito dopo il primo raggio di elettroni ne arriva un secondo, che è in grado di scivolare tra queste onde e "surfare" con successo nella cavità che si è creata. Questa però è l'accelerazione al plasma che riguarda gli elettroni: servono due raggi. Quella che coinvolge i positroni è un po' diversa.

Immagine: Combe et al

Per prima cosa, usare un raggio di positroni comporta di per sé un ostacolo piuttosto ovvio. Un raggio di elettroni respinge gli elettroni con la stessa carica nel plasma, mentre i positroni li attraggono; al posto di una cavità, dunque, i positroni si trovano davanti un muro di elettroni. Di conseguenza, rallentano piuttosto che accelerare. C'è, però, un momento in cui un componente del campo elettrico del plasma cambia segno e le cariche positive sono quelle che respingono i positroni. La carica positiva attrae le cariche negative e, alla fine, ne colleziona abbastanza da far sì che i positroni siano accelerati e lanciati via.

Il problema è che, a questo punto, non ci sono positroni avanzati da lanciare. La soluzione proposta dal gruppo dello SLAC è di allungare il fascio di positroni, in modo che diventi una sorta di cilindro. La parte frontale del fascio "carica" il plasma per la coda, che sfrutta l'energia aggiunta al plasma dai primi positroni. Badate bene: non stiamo parlando di energia libera qui.

"L'energia complessiva dell'insieme non risulterà aumentata, perché l'energia deve essere conservata," ha detto a Physics World Sebastien Corde, ricercatore allo SLAC e co-autore dell'articolo. "Stiamo solo trasferendo energia dalla testa alla coda. Ciò che conta per gli acceleratori di particelle è che ogni particella abbia molta energia."

In un commento separato su Nature, Philippe Pion, fisico alla Northern Illionis University non coinvolto direttamente in questa ricerca, fornisce qualche spiegazione in più: "Corde e colleghi hanno osservato come l'abbondante popolazione positronica (circa un miliardo di positroni) che affronta il campo di accelerazione 'carichi' effettivamente il campo e ne influenzi la forma, comportando un guadagno energetico approssimativamente uniforme per i positroni accelerati. L'esperimento dimostra dunque che, utilizzando i parametri operativi appropriati, basta un solo un gruppo di positroni per l'accelerazione: parte della popolazione della coda è 'intrappolata' e accelerata in modo quasi uniforme a energie più alte, così da separarsi dal gruppo iniziale."

Si parla di un miglioramento sostanziale, forse è come raddoppiare le energie offerte da un acceleratore convenzionale, benché esistano ancora degli ostacoli tra cui il fatto che, con questo metodo, solo una piccola porzione di positroni è davvero accelerata. "Abbiamo una buona idea che potrebbe funzionare," ha proseguito Corde, "ma è anche un esperimento che rappresenta una sfida tecnica molto difficile."