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Tecnologia

Facebook continua a scusarsi per il proprio business model

Ma non fa mai niente per cambiarlo.

Domenica sono state rese pubbliche alcune delle ricerche condotte da Facebook sugli stati emotivi della gente che usa la piattaforma. È a dir poco inquietante, e ancora una volta l'azienda chiede scusa per qualcosa che fa sempre e comunque, ma a cui non vuole che i suoi utenti pensino troppo.

Un documento interno del 2017 di Facebook lungo 23 pagine, preparato per una banca australiana importante e riportato da The Australian, conterrebbe informazioni dettagliate sulla grossa base utenti che il social network ha tra studenti delle superiori e giovanissimi. Inoltre, avrebbe anche descritto il modo in cui Facebook può capire quando i ragazzini si sentono "inutili" o delusi da loro stessi. La cosa è preoccupante, perché apre alla possibilità di produrre pubblicità che facciano leva sul tesoro infinito di dati utenti che Facebook custodisce, con lo scopo di sfruttare le insicurezze emotive delle persone.

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All'indomani dell'articolo uscito su The Australian, Facebook ha rilasciato una dichiarazione in cui chiarisce che il documento avrebbe contenuto solo una ricerca relativa al comportamento degli utenti, non un nuovo strumento per la pubblicità. Facebook ha anche dichiarato di disporre di un processo di verifica per le ricerche che non è stato seguito in questo caso. Anche se così fosse, Facebook crea queste presentazioni così che i soci pubblicitari possano modellare le proprie campagne sul modo in cui le persone utilizzano la piattaforma.

La differenza tra costruire uno strumento per propinare pubblicità ai giovani quando si sentono di merda e dire alle aziende di fabbricare pubblicità che prendano di mira i giovani che si sentono di merda, non sembra proprio abissale.

A prescindere, la scena è un deja-vu per Facebook: emerge un nuovo bolo raccapricciante che viene rigurgitato dalle viscere più profonde dell'azienda e Facebook si scusa come se, per qualche motivo, quella cosa non riflettesse l'intera strategia economica dell'azienda. Ovvero, fare leva su una conoscenza dettagliata della vita delle persone e del loro stato mentale (nella misura in cui è possibile ricavarlo dalle attività su Facebook), il tutto per trarne ovviamente un profitto.

La maggior parte di noi ha accettato il fatto che essere online oggi voglia dire barattare la propria privacy per servizi fatti ad hoc, come Google Maps o i consigli di Amazon. Ma c'è una preoccupazione crescente rispetto al fatto che alcune di queste aziende, come Uber, usino ciò di cui sono a conoscenza in un modo che svantaggia l'utente, facendo affari sulle nostre debolezze cognitive. O, nel caso della presentazione fatta a una banca da Facebook, sulle nostre insicurezze.

Se non altro, è un promemoria utile di come tutto ciò sia una caratteristica di Facebook, non un bug momentaneo. Il prossimo giro di scuse ufficiali non lo renderà meno ovvio.