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Tecnologia

Firme, petizioni e politica: la democrazia può passare per internet?

La piattaforma per petizioni online Change.org ha superato recentemente i 5 milioni di utenti solo in Italia — Ma la democrazia può davvero passare per internet?
Immagine via change.org

Nel corso dell'ultimo secolo il concetto di democrazia è cambiato in maniera radicale: qualunque sia la formula attraverso la quale viene declinata, la democrazia prevede, per il suo corretto funzionamento, la presenza di un elettorato informato — "Le evoluzioni della tecnologia stanno trasformando il nostro sistema politico e stanno creando un nuovo tipo di 'repubblica elettronica'; una forma ibrida che unisce elementi della democrazia elettronica diretta alle strutture politiche," spiega Lawrence Grossman, ex presidente di NBC News e Public Broadcasting Service, durante la conferenza dell'MIT 'Changing Concepts of Democracy' nel maggio 1998.

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Nel corso degli anni moltissimi hanno tentato di concretizzare il concetto di repubblica elettronica, prima con siti internet dedicati a questioni sociali e politiche locali, poi, come nel caso del Movimento 5 Stelle in Italia, con progetti di partito fortemente radicati nella partecipazione diretta dell'elettorato. In molti casi, però, i risultati sono stati quantomeno deludenti.

Uno dei più grossi spettri di questo slancio sono le petizioni — Costrette fino a pochi anni fa a essere limitate dalla presenza fisica dei firmatari, oggi grazie a internet le petizioni stanno vivendo una nuova giovinezza: chiunque può firmare stando comodamente seduto davanti al suo laptop o stravaccato sul divano con lo smartphone in mano.

Anche in questo caso, sono moltissimi ad averci provato: valanghe di siti, piattaforme e progetti nati appositamente per ospitare petizioni, e che nel tempo si sono inevitabilmente estinti. Sembra quindi che l'idea delle petizioni su internet, sfruttate per far emergere problematiche sociale molto sentite, soffra di un qualche tipo di difetto strutturale invalidante.

In un ecosistema in cui chiunque può farsi promotore di una petizione online e chiunque la può firmare, lo strumento perde di rilevanza e credibilità. Infatti, molte petizioni non sono mai riuscite ad andare oltre la petizione stessa — È, appunto, un problema strutturale, senza dubbio dovuto alla natura intrinseca di queste piattaforme. Sono convinto, però, che gran parte del peso di questa croce sia dovuto a una questione più generazionale che funzionale: basta tornare indietro di pochissimi anni per rendersi conto che solo oggi quel pugno di firme virtuali possono contare veramente qualcosa, abbastanza da giustificare delle ricerche sul fenomeno. Tipo questa, quest'altra o quest'altra ancora.

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L'idea che una petizione possa davvero aiutare a cambiare le cose deve ancora convincermi, e se domani la mia esistenza fosse disturbata da un problema insormontabile dubito mi affiderei ad una petizione per cercare di risolverlo — Non posso però negare di essermi fermato un attimo a riflettere quando qualche settimana fa ho letto un lancio ANSA che annunciava il traguardo dei 5 milioni di utenti per Change.org, probabilmente la più popolare piattaforma per petizioni online al momento.

"Vogliamo essere il primo posto a cui le persone che vogliono cambiare le cose pensano."

Cinque milioni di utenti in Italia sono tanti, e sono ancor di più se si considera che Change.org in Italia è arrivato nel 2012 e i ritmi di crescita sono stati letteralmente esponenziali. Nonostante ciò, per i contrasti che ho descritto sopra, non mi riuscivo a spiegare questo successo— Così ho chiamato i ragazzi della piattaforma, "Di certo c'è che siamo la piattaforma più grande nell'ambito, e probabilmente le persone ci usano così tanto perché la user experience che offriamo è la migliore," mi spiega Elisa Liberatori Finocchiaro, direttrice italiana di Change.org. "Vogliamo essere il primo posto a cui le persone che vogliono cambiare le cose pensano, — Ultimamente anche i politici la stanno cominciando a sfruttarla per strutturare le loro campagne sociali," continua.

Il dubbio però rimane: in che modo Change.org è stato capace di rendere concrete le petizioni che ha ospitato? "Ogni petizione ha una storia a sé. In primo luogo, le petizioni sono pubbliche e permettono al promotore di comunicare con i firmatari: si crea quindi una discussione, e quando la petizione diventa abbastanza grande si comincia a riflettere su come concretizzare il desiderio di cambiamento," mi spiega Elisa.

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"Infatti, al di là della petizione online e dunque della raccolta di firme, è difficile che il cambiamento si consumi da sé. Quando i volumi dei firmatari diventano importanti si va a parlare con chi di dovere, con chi prende le decisioni: le petizioni sono un termometro sociale importante e sempre più spesso vengono prese in considerazione da chi, nei fatti, prende le decisioni — quando le firme sono tante non passano inosservate."

I risultati mi hanno sorpreso: per Change.org una petizione ha successo quando il promotore dell'iniziativa dichiara raggiunto l'obiettivo della petizione — La pagina dedicata alle petizioni riuscite è davvero ricca e tocca i temi più disparati con numeri effettivamente concreti. Parlo, solo in Italia, di oltre 500 vittorie dal 2012 a oggi, con una media di 11 vittorie al mese: oltre 500.000 firme per lo stop al vitalizio per gli ex parlamentari condannati per mafia e corruzione, 300.000 firme per un inasprimento della legge sullo scambio elettorale politico-mafioso, 150.000 firme per la richiesta di una discussione parlamentare sulla legalizzazione dell'eutanasia e, ancora, 150.000 firme per la richiesta di cancellazione del vitalizio per i deputati e i senatori condannati in via definitiva a pene superiori a due anni per reati di mafia. Tutti obiettivi raggiunti.

Se da un lato la piattaforma può favorire l'emergere di problematiche sociali sentite "dal basso", dall'altro lato però il rischio è che si tramuti in un ottimo vettore per iniziative popolari disinformate, "La problematica si divide in due parti — Per esempio, sulla questione delle unioni civili noi garantiamo la possibilità di discussione sia che tu sia pro che contro, l'importante è rispettare le nostre linee guida," mi spiega Elisa. "Dall'altro lato c'è la disinformazione: può capitare che una persona porti avanti un'iniziativa disinformata in buona fede, in questi casi comunichiamo con il promotore per verificare le sue informazioni, e se necessario interveniamo."

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"Non è il numero di firme a interessarci, l'importante è che la petizione sia valida e che la storia sia importante."

Change.org è una piattaforma orizzontale, e la sua natura prevede un rapporto orizzontale con tutte le iniziative. Spesso però la buona volontà non basta: può capitare che una questione sociale importante non abbia sufficiente 'appeal' per diventare rilevante, "Non è il numero di firme a interessarci, l'importante è che la petizione sia valida e che la storia sia importante," mi spiega Elisa.

"Il nostro team lavora su dieci petizione a settimana, mentre la maggior parte delle iniziative si sviluppa autonomamente. In alcuni casi decidiamo di provare a dare una mano, includendo alcune petizioni in homepage o nella newsletter che inoltriamo ai nostri iscritti — scegliamo pensando a quanto una richiesta possa essere realisticamente raggiungibile, analizziamo la storia personale che c'è dietro a una petizione. Normalmente lavoriamo su petizioni che sono promosse da singoli individui — non ci piace lavorare su iniziative promosse da un partito. In questo senso, nel processo di analisi e valutazione, svolgiamo un lavoro prettamente giornalistico."

Resta da chiedersi in che modo Change.org possa diventare un organo effettivamente funzionale alla struttura della democrazia, "L'anno scorso eravamo a Perugia per il festival del giornalismo — Peter Gomez , direttore del Fatto Quotidiano, disse che secondo lui Change.org sarebbe diventata una piattaforma cruciale nelle prossime elezioni. È lì che i cittadini si attivano, discutono e dibattono," mi spiega Elisa. "Abbiamo messo a disposizione uno strumento, il decision maker tool, che permette ai personaggi pubblici di mettersi in contatto con le petizioni che li interessano: in breve, la politica si fa coi cittadini — i cittadini da noi ci sono già, cosa aspettano i politici?"

"Sulla nostra piattaforma emergono declinazioni sociali che non sempre riescono a farsi notare nel flusso dei media tradizionali, tempo fa un ragazzo molto giovane aveva lanciato una petizione per chiedere a Marino di ritirare le dimissioni — Ai tempi i media tradizionali erano tutti particolarmente schierati sulla vicenda, mentre la petizione aveva rivelato un supporto sociale proveniente dal basso nei confronti di Marino: in pochi giorni l'iniziativa aveva superato le 50.000 firme," conclude Elisa.

La domanda quindi rimane la stessa: può la democrazia passare per internet? Molti ci provano, moltissimi falliscono, pochissimi ci riescono — A mio avviso, Change.org nel suo (mica tanto) piccolo ci sta riuscendo meglio di altri.

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