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Tecnologia

Ho scritto la parte mancante sulla politica digitale per il contratto di governo

Prego.
Riccardo Coluccini
Macerata, IT
Composizione: Giulia Trincardi

Il contratto di governo siglato negli ultimi giorni dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega ha già fatto discutere per la madornale confusione fra cybersicurezza e cyberbullismo — ma, ora che finalmente il governo sembra cominciare a delinearsi, è il caso di tornare a parlare dell’elefante nella stanza: nel contratto manca completamente la governance di internet e del mondo digitale.

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Alla luce delle audizioni del Parlamento Europeo e del Congresso degli Stati Uniti sulla gestione dei nostri dati personali da parte di Facebook — audizioni che hanno sottolineato per l’ennesima volta la tossicità del capitalismo della sorveglianza — e considerando i continui sviluppi nel campo dell’intelligenza artificiale, è quantomeno strano che nel contratto attuale l’unico riferimento a internet degno di nota sia il seguente: “È opportuno introdurre il principio della cittadinanza digitale dalla nascita, prevedendo l’accesso gratuito alla rete internet per ogni cittadino.”

Lodevole, non c’è che dire. Ma poca cosa se guardiamo a tutte le questioni irrisolte e praticamente mai affrontate dall’Italia. Per questo, ho deciso di scrivere la parte di contratto mancante.

Il mondo della sorveglianza in Italia sembra godere di particolari sacche d’ombra che permettono alle forze dell’ordine di agire indisturbate.

Ci sono chiaramente alcuni punti che hanno la precedenza, visto che ci troviamo già nella situazione di infrangere alcune direttive e principi europei, come nel caso della conservazione dei dati telefonici e telematici. La legge attuale prevede che questi dati siano conservati per 6 anni, nonostante in nessun altro paese europeo si raggiunga un periodo così esteso. Persino il Garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro, aveva sottolineato che c’è il rischio di disporre così di una sorveglianza generalizzata e massiva.

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Queste criticità sono già state segnalate al governo, come dimostra questo documento del Senato caricato online nella giornata del 23 maggio.

E sempre per rimanere nel tema della sorveglianza di Stato, sarebbe opportuno rimettere mano anche alla legge sui captatori informatici che, secondo un parere ampiamente condiviso dagli avvocati, rasenta il disastro. La legge agisce solo in parte sull’uso dei malware di Stato per le attività investigative, estendendoli anche a reati minori e non prevedendo misure specifiche per tutte le altre capacità di questi malware — estrazione di file, cattura di screenshot delle chat, attivazione delle videocamere.

Il mondo della sorveglianza in Italia sembra godere di particolari sacche d’ombra che permettono alle forze dell’ordine di agire indisturbate. Come abbiamo recentemente sottolineato, sembra persino che gli operatori telefonici possano essere costretti a inviare sms per l’installazione dei malware.

L’Italia ha quindi bisogno di una discussione aperta e trasparente sull’uso delle tecnologie di sorveglianza — dal riconoscimento facciale a quello vocale, passando per le spese e l’export di queste tecnologie.

Tutti questi temi riguardano delle modifiche a leggi e regolamenti già adottati, ma nel caso della condivisione dei dati personali e dello sviluppo e impiego di algoritmi di intelligenza artificiale la questione si trasforma in una vera e propria scelta politica che necessita di un approccio programmatico per indicare la direzione che vogliamo intraprendere.

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Se da un lato la pubblicazione del libro bianco sull’intelligenza artificiale lascia ben sperare, dall’altra ci troviamo con vere e proprie cessioni di dati dei cittadini ad aziende che li possono usare per allenare i propri algoritmi. Il caso di IBM Watson a Milano è un esempio eclatante di gestione poco trasparente. E questo approccio deve necessariamente cambiare.

Al momento ancora non si conoscono con chiarezza quali sono i termini dell’accordo che prevederebbe la condivisione dei dati sanitari dei cittadini lombardi con l’azienda IBM. Il giornalista Gianni Barbacetto continua nella sua attività di inchiesta e pur avendo ottenuto dei documenti relativi all’accordo, è stato costretto a rimuoverli per una diffida ricevuta per conto di un legale incaricato da IBM.

Il governo italiano dovrà necessariamente riflettere e fare i conti con questa domanda: le piattaforme digitali come Facebook e Amazon sono dei monopoli?

Ma per quanto riguarda la raccolta, il controllo, e l’accesso ai dati, la discussione è ancora più ampia e coinvolge anche un tema rimarcato durante l’audizione di Zuckerberg presso il Parlamento europeo. Il governo italiano dovrà necessariamente riflettere e fare i conti con questa domanda: le piattaforme digitali come Facebook e Amazon sono dei monopoli?

Allo stesso tempo, malgrado sia stata parzialmente accettata una mozione in Parlamento sul tema delle armi autonome — in grado quindi di individuare ed eliminare gli obiettivi senza alcun intervento umano — la discussione a livello europeo sembra in una fase di stallo, se non addirittura muoversi in direzione opposta alla regolamentazione.

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Sembra infatti che l’Europa abbia deciso di stanziare alcuni fondi per tutte quelle aziende che sviluppano tali tecnologie. La campagna organizzata da Stop Killer Robots sta cercando di raggiungere un divieto internazionale per lo sviluppo e l’impiego di armi autonome, ma l’Italia fino ad ora è rimasta parecchio in disparte.

I temi sottolineati fino a questo punto sono completamente assenti dal contratto di governo, ma se vogliamo soffermarci sull’unico punto incluso, l’accesso a internet, non possiamo prescindere dal parlare del principio della neutralità della rete. Come abbiamo già segnalato diversi operatori telefonici italiani offrono contratti che prevedono pratiche cosiddette di zero-rating — che rischiano di creare un mondo digitale a diverse velocità: alcune applicazioni saranno favorite rispetto ad altre. Garantire sì l’accesso alla rete, ma che sia un accesso uguale per tutti.

Tutti questi temi, però, rischiano di rimanere vuoti concetti che riempiono pagine digitali. I governi che si sono susseguiti in questi anni hanno cercato — chi più in maniera lungimirante chi completamente senza senso — di interfacciarsi con il mondo digitale. Hanno tutti fallito miseramente, rivelandosi inadeguati.

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L’unica soluzione, a questo punto, come suggerito anche dall’associazione Copernicani in un loro recente appello, sembra effettivamente quella di prevedere un Ministro e una commissione permanente per il digitale. Quest’ultima, però, non dovrà occuparsi solamente dell’innovazione ma avere un approccio critico e attivo sulla governance di internet e del mondo digitale.

Altrimenti continueremo ad essere un paese che è la copia esatta del contratto di governo: privo di ogni riferimento a internet.

Segui Riccardo su Twitter: @ORARiccardo