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Tecnologia

Un attivista del Mar Morto è stato scambiato per un profeta dell'apocalisse

Abbiamo parlato con il fotogiornalista Noam Bedein che, dopo aver diffuso un'immagine che ritrae dei pesci nel Mar Morto, è stato eletto profeta della fine del mondo.
Matteo Lupetti
Asciano, IT
Noam Bedein pesci nel Mar Morto
Immagine: Noam Bedein/YouTube

Di recente potreste aver incrociato online la notizia di un tale Noam Bedein che — dopo aver visto dei pesci nel Mar Morto — si sarebbe convinto che sia in arrivo l’Apocalisse, perché così avrebbe predetto Ezechiele nella Bibbia.

La verità è un po’ meno catastrofica (anche perché quel passo di Ezechiele non parla davvero di Apocalisse): Noam Bedein infatti è un fotogiornalista israeliano da anni impegnato non a predire la fine del mondo ma a sensibilizzare il pubblico a una corretta gestione delle acque del Mar Morto, risorsa e tesoro naturale a rischio. “[Il Mar Morto] perde ogni giorno l’equivalente di acqua contenuto in 600 piscine olimpiche,” ha spiegato Bedein a Motherboard in una chiamata via Skype.

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“I pesci si trovano nelle doline fuori dal Mar Morto. Dove il livello dell’acqua recede, restano infatti delle doline che sono piene di acqua dolce, perché c’è acqua dolce sotto al livello del Mar Morto, e in alcune ci sono pesci. Nelle doline la salinità è inferiore all’1 percento, ed è per questo che ci può essere vita. Ma anche nel Mar Morto — che ha una salinità del 37 percento, cioè dieci volte superiore a quella degli oceani — c’è vita: ci sono microrganismi e formazioni saline meravigliose.”

Breaking Israel News — il sito a cui Bedein ha rilasciato l’intervista originale, che è stata poi gonfiata anche da testate italiane — tratta l’attualità da una prospettiva esplicitamente biblica. ”Nel video menziono quella specifica profezia, perché sto parlando a quel pubblico specifico,” ha chiarito Bedein in chiamata. “L’unica Apocalisse che è davvero in corso nel Ventunesimo secolo è la crisi idrica. Le Nazioni Unite lo hanno indicato come problema centrale del prossimo decennio. Non serve guardare troppo lontano nel futuro: due terzi della popolazione mondiale soffre di scarsità d’acqua, e la causa principale è la cattiva gestione.”

Per quanto riguarda il Mar Morto, “Il 30 percento del problema è l’industrializzazione,” ha continuato il fotogiornalista. “Il 70 percento è lo stesso che per qualsiasi altro specchio d’acqua nel mondo: il livello d’acqua diminuisce perché le sorgenti si stanno prosciugando. Tra le cause abbiamo il cambiamento climatico, la crescita della popolazione e la cattiva gestione delle acqua nell’area. La Giordania [che con Israele e Cisgiordania confina con il Mar Morto] è la quartultima nazione al mondo per quantità di acqua dolce pro capite. Ci sono più di un milione e mezzo di rifugiati siriani, e non hanno acqua.”

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La questione, come prevedibile, dipende anche da questioni politiche. “Parte del trattato di pace [di Israele] con la Giordania prevedeva il rifornimento della Giordania di [50] milioni di metri cubi di acqua dolce [all’anno], principalmente dal lago di Tiberiade,” ha spiegato Bedein a Motherboard. Gli accordi di pace siglati nel 1994 da Israele, avevano infatti lo scopo di compensare la perdita di flusso d’acqua dal lago di Tiberiade al fiume Giordano — che era stata provocata dall’istituzione del titanico progetto idrico National Water Carrier of Israel con cui, negli anni Cinquanta, Israele ha essenzialmente dirottato l’acqua del lago Tiberiade alle sue coste desertiche.

“Ovviamente il lago di Tiberiade è un disastro ecologico a sua volta e il livello delle acque è bassissimo,” ha specificato Bedein in chiamata. “In questo momento l’unica soluzione sul tavolo è il progetto che prevede un canale Mar Rosso-Mar Morto […], ma in realtà non ha molto a che fare con il Mar Morto: lo scopo principale è fornire acqua alla Giordania.” Per il Mar Morto la soluzione che Bedein promuove è, piuttosto, “ripristinare il flusso d’acqua originario” con il Lago di Tiberiade e il fiume Giordano, le cui acque, una volta, fluivano direttamente nel Mar Morto.

“Il cambiamento climatico non si contrasta solo con la tecnologia,” ha concluso il fotogiornalista, “ma soprattutto con le azioni dei governi per preservare e riciclare l’acqua, e non se ne occupa nessun paese. Israele se ne preoccupa particolarmente perché ricicla fino al 90 percento della sua acqua, ma il secondo paese in classifica è la Spagna [con il 20 percento]. Questa soluzione che coinvolge anche il lago di Tiberiade e il Giordano richiede diplomazia nella gestione delle acque con i paesi confinanti, la promozione di conoscenza ed educazione in merito, e la loro volontà di preservare il proprio patrimonio idrico. Certo la situazione può sembrare apocalittica, ma ci vedo molta speranza.”

Segui Matteo su Twitter: @ilsignorm