Per favore, ridateci la blockchain di una volta
Immagine: collage da Shutterstock.

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Tecnologia

Per favore, ridateci la blockchain di una volta

No, molto probabilmente la tua azienda non ha bisogno di una blockchain.
Riccardo Coluccini
Macerata, IT

Nel giro di un anno, il valore di un bitcoin è aumentato di oltre il 1400%, partito da 753€ a dicembre 2016, si è lanciato in una corsa verso l’alto che continua a sembrare inesorabile. Così ora tutti parlano di bitcoin: sia chi è attratto dalla possibilità di investimenti facili e scommesse finanziarie sia chi ci si imbatte perché persino televisione e radio non fanno che parlarne. In parallelo, stanno spuntando nuove criptovalute che attirano l’attenzione degli investitori che sperano di poter fare soldi, sfruttando lo slancio dei bitcoin.

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Sembra quindi già scomparsa l’attenzione per il progetto originario, descritto da Satoshi Nakamoto — l’ideatore di Bitcoin la cui identità è ancora segreta — nel suo paper pubblicato nel 2008, Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System: creare un sistema di pagamenti elettronici che non necessita di autorità centrali che validano le transazioni. Addio Visa e Mastercard, per intenderci. Un progetto libertario che paradossalmente è stato inglobato dagli stessi giganti che cercava di distruggere.

Di quel paper, però, rimane ancora l’importanza di una tecnologia innovativa che promette di rivoluzionare e trasformare completamente la nostra struttura socio-economica: la blockchain.

La blockchain è un database decentralizzato, immutabile e verificabile da ogni singolo utente che può scaricarne i dati sul proprio computer. Questo database è costituito da blocchi che contengono informazioni riguardo il blocco che li precede, l’ora e la data della nuova transazione da aggiungere e le informazioni di quest’ultima. Inoltre, delle funzioni crittografiche ne garantiscono l’affidabilità e la verificabilità.

Grazie alla sua natura di catena di blocchi collegati da funzioni crittografiche, è impossibile modificare retroattivamente un blocco poiché tale modifica sarebbe in contrasto con i blocchi che la seguono. Inoltre, il fatto che il database sia distribuito fra tutti gli utenti è un’ulteriore garanzia di integrità dei dati. In questo modo, non vi è più la necessità di un’autorità centrale che monitori i valori e ne garantisca la veridicità: persone che non si conoscono, attraverso la blockchain, possono creare un sistema di fiducia che si autosostiene.

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Quando si parla di blockchain, però, è importante capire che si sta parlando di un protocollo, ovvero, un insieme di regole che stabiliscono come due dispositivi comunicano fra di loro. Quindi, non esiste un unico tipo di blockchain e, soprattutto, non vuol dire che il funzionamento di una particolare blockchain non possa mai essere modificato nel tempo.

Se la tecnologia del Bitcoin ha introdotto per prima la blockchain, uno degli impieghi più affascinanti è fornito da quella sviluppata con la piattaforma Ethereum, ideata da Vitalik Buterin.

Questa blockchain prevede infatti un linguaggio di programmazione che permette di produrre dei contratti intelligenti che si applicano automaticamente una volta che le condizioni specificate sono soddisfatte: si possono prevedere ad esempio dei contratti per cui ogni volta che la canzone di un’artista viene riprodotta, quest’ultimo riceve un compenso, oppure semplicemente un gioco con cui scambiarsi gattini.

Logicamente la blockchain non ha già risolto tutti i problemi della nostra società odierna e tantomeno possiamo definirla la soluzione perfetta a tutto. Moltissime aziende stanno cercando di cavalcare l’attenzione mediatica aggiungendo la blockchain ai proprio prodotti — se non addirittura semplicemente aggiungendo la parola al loro nome.

Al momento, però, alla domanda “la mia azienda dovrebbe sfruttare la blockchain?” c’è solo una risposta:

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La tecnologia della blockchain fa alcune cose che altri normali database già fanno, con l’aggiunta però di complessi calcoli crittografici. Inoltre, la possibilità di avere degli smart contracts è già prevista da alcuni servizi, ad esempio, AWS che adatta il prezzo dei server in base al traffico — si tratta quindi di un contratto che si modifica automaticamente.

Per non parlare poi di alcuni rischi che, se osservati dal punto di vista dell’utente medio, sono disarmanti: dal momento che la blockchain si basa sulla public-key encryption, la chiave pubblica è il nostro indirizzo mentre quella privata è la nostra chiave di accesso e, se perdiamo quest’ultima perdiamo, qualunque bene, importo, o contenuto che abbiamo messo sulla blockchain — ci sono diverse storie terribili al riguardo. Abbiamo mai sentito di qualcuno perdere l’accesso ai propri risparmi in banca per essersi dimenticato un pin? Inoltre, a causa del funzionamento stesso della blockchain, vi sono gravi problemi legati al consumo di energia elettrica: per validare l’aggiunta di un blocco alla catena è necessario risolvere un problema crittografico complesso — proof of work — che richiede notevole quantità di energia elettrica per alimentare i calcolatori in cambio di una remunerazione in criptovalute.

Allo stato attuale la blockchain funziona perché ci sono individui che, seguendo solamente i propri interessi personali, minano i blocchi della catena in modo da ottenere un guadagno.

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Il punto però è che siamo stati costretti a dover ricreare il denaro in un formato elettronico poiché avevamo fallito fino ad ora, sottolinea l’esperto di crittografia Matthew Green su Twitter: Visa e Mastercard spolpano tutti i nostri pagamenti elettronici prendendosi le commissioni.

Malgrado queste gravi problematicità della blockchain, non è tutto da buttare. La sua natura decentralizzata può essere utile in specifiche applicazioni in cui non si può avere completa fiducia a priori sulle persone con cui stiamo collaborando.

Un caso interessante che potrebbe migliorare l’infrastruttura di internet è Filecoin, sviluppata da Protocol Lab. Si tratta di una criptovaluta che viene utilizzata per remunerare chi mette a disposizione lo spazio inutilizzato sul proprio hard disk per conservare file di altre persone. Il protocollo prevede la crittografia dei file per proteggerne il contenuto e la possibilità di verificare la loro esatta conservazione.

Un altro esempio interessante è l’utilizzo della blockchain da parte del browser Brave che blocca in automatico le inserzioni pubblicitarie online e i cookie di tracciamento, permettendo di pagare direttamente chi crea i contenuti utilizzando il Basic Attention Token, un token che si basa sulla tecnologia Ethereum.

Sfruttando il database distribuito ed immutabile sarà possibile registrare gli accessi da parte di enti e terze parti ai dati degli individui.

Quando si parla di privacy, le modalità con cui le aziende si scambiano ed accedono ai nostri dati digitali sono spesso segrete e riuscire a ridurre i monopoli che gestiscono i nostri dati è sicuramente una possibilità offerta dalla blockchain. Il progetto DECODE, finanziato con i fondi europei di Horizon 2020, vuole combinare la tecnologia della blockchain con il controllo granulare dei dati personali da parte dei cittadini. Sfruttando il database distribuito ed immutabile sarà possibile registrare gli accessi da parte di enti e terze parti ai dati degli individui, mettendo così a disposizione di tutti la possibilità di valutare e controllare trasparentemente la propria vita digitale. DECODE introdurrà dei progetti pilota ad Amsterdam e a Barcellona.

Sulla carta sembrano tutte applicazioni promettenti della tecnologia blockchain, giustificate dalla necessità di decentralizzare il controllo su uno specifico oggetto. È ancora presto, però, per dire se avranno successo e potranno modificare per sempre la nostra struttura socio-economica.

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Il rischio, inoltre, è che nel frattempo altre aziende si approprino del protocollo blockchain per creare delle infrastrutture private o non del tutto condivise, a cui per accedere bisogna essere ammessi da un ente che ne detiene il controllo — cosa che sta già avvenendo.

Al momento, però, la maggior parte delle applicazioni della blockchain sembrano solamente trainate dall’interesse finanziario dettato dal valore crescente dei bitcoin. Non a caso, il numero delle Initial Coin Offerings (ICO), l’equivalente in criptovalute delle quotazioni in borsa con l’offerta al pubblico dei titoli di una società, sta salendo vertiginosamente. Sembra di trovarci di fronte all’ennesima manovra che tenta di cavalcare l’onda dell’attenzione mediatica, come accaduto con l’intelligenza artificiale.

Quando un concetto viene talmente abusato si rischia di diluirne completamente il suo significato e la sua importanza. Al momento la blockchain rischia di finire sommersa dal notevole interesse finanziario e la storia sembra quindi ripetersi: abbiamo creato di nuovo il denaro per finire inesorabilmente nel vortice della finanza.

La blockchain, però, non era destinata a questo. Ridateci la blockchain.

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